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Fausto Melotti – Opere (1939-1973)
Due gruppi di lavori distinti per tecnica, materiali e linguaggio a riprova dell’apertura concettuale di Melotti che con la stessa convinzione e ispirazione frequentava il mondo delle figure e quello dei simboli astratti
Comunicato stampa
Segnala l'evento
Lunedì 31 marzo alla galleria Christian Stein di Corso Monforte 23
inaugura una mostra di sculture e bassorilievi di Fausto Melotti.
Sono opere eseguite in due diverse stagioni della sua operosa vita
d’artista (Rovereto 1901-1986): due gruppi di lavori distinti per
tecnica, materiali e linguaggio - a riprova dell’apertura concettuale
di Melotti che con la stessa convinzione e ispirazione frequentava il
mondo delle figure e quello dei simboli astratti.
Le tre sculture, tutte di carattere figurativo, sono state realizzate
dall’artista tra la fine del 1939 e gli inizi del 1940. Si tratta di
tre modelli in gesso alti un metro circa, rappresentanti la
Decorazione, la Pittura e l’Architettura: da queste invenzioni
vennero ricavate le grandi statue commissionate dalla VII Triennale
di Milano per il vestibolo del Palazzo dell’Arte, opere già distrutte
alla fine della manifestazione ( lo si apprende da una lettera di
Agnoldomenico Pica).
In questi tre gessi sono decifrabili i riferimenti culturali di
Melotti che in quel decennio (1930-1940) frequenta prima gli
esponenti dell’astrattismo italiano, poi Arturo Martini e Marino
Marini, e s’informa sull’arte europea - soprattutto attraverso
Sartoris che era in contatto con Klee, Kandinsky, Cocteau e
Strawinsky. Negli stessi anni l’artista raggiunge Parigi e La Sarraz
in Svizzera, dove in occasione di una premiazione incontra Raoul
Haussmann, uno dei fondatori del gruppo dadaista di Zurigo. A Parigi
visita l’Esposizione Universale e ha modo di ammirare le opere di
Cézanne, Picasso, Matisse, Zadkine. Nella Ville lumière conosce
personalmente Kandinsky. Il padre dello “spirituale nell’arte” e del
Cavaliere Azzurro (almanacco fondato nel 1912) e autore di opere e di
testi assai importanti per lo scultore italiano che sente come suoi i
richiami al mondo della musica e dei ritmi geometrici. L’incontro
avviene nello studio parigino del nostro artista che mostra a
Kandinsky le proprie opere e questi esclama: “ Ici arrivés, n’est
plus question de sculpture. C’est l’art”.
Fin dai primi disegni databili tra il 1925 e il 1929, il mondo di
Melotti è abitato da figure femminili e forse in questo
vagheggiamento dell’“eterno femminino” si riscontra il suo sodalizio
con Lucio Fontana, conosciuto nell’aula di Adolfo Wildt, professore
di entrambi gli artisti all’Accademia di Brera. In ognuna di queste
figure femminili scopriamo ancora oggi i lineamenti e le pose di muse
e di vestali, esseri mitici senza tempo, incarnazioni di un mondo
spirituale e fisico che contemporaneamente sprofonda nella parte
ctonia della natura e si innalza verso la dimensione più immateriale
e luminosa del trascendente. Melotti prima degli anni Quaranta ha già
realizzato una Madonna con bambino (1930) e soprattutto Euridice
(1933), risultato paradigmatico di questo periodo, in cui già si
prefigurarano le note misteriose e struggenti della futura poesia dei
teatrini. Il femminile per Melotti è anche la voce della procreazione
e della rigenerazione, il tramite fra l’azione e la contemplazione,
tra l’interiorità e la forma creata. In molti casi le figure
femminili, le piccole teste, i volti di donne dai lineamenti felini o
estatici, evocano il tema della danza e del canto.
L’Architettura, la Decorazione e la Pittura stanno sedute e
incastonate in una sorta di mandorla metafisca, una nicchia
medioevale rivisitata in termini modernamente sintetici (Melotti fu
vicino al mondo del razionalismo italiano e frequentò, assieme al
cugino Carlo Belli, il “Gruppo 7” di Pollini, Terragni, Rava e
Figini). Le tre figure sono vestite di morbidi panni, che aderiscono
bagnati o si gonfiano increspandosi come se le sete fossero agitate
da un vento mediterraneo. Melotti ha qui ricercato un genere di
arcaicità sostanziale e non stilistica, di valore assoluto ma pur
naturalmente vitale: gesti e soluzioni formali che Martini ad esempio
poneva al centro della lingua plastica “perché la scultura trasformi
la creta in mari in tempesta”. Le tre entità sono personificazioni
delle arti, da percepire non solo come mestiere e disciplina, ma come
esperienza misteriosa e noumenica. In questo senso certi dettagli
fungono propriamente da simboli e arrichiscono di significati
letterari le figure: un vaso, cubi, e altri particolari
significativi. La pittura in particolare rivela dettagli
dechirichiani. Nella parte inferiore del corpo, tra gli arti
divaricati, è modellato a bassorilievo un paesaggio iniziatico: è
forse un bosco sacro, di quelli che De Chirico incastrava tra le
pieghe ioniche dei suoi manichini. Sembra di riconoscere il profilo
di una fonte e di un tempietto, una scalinata, ulivi e allori. La
vestale della pittura è bloccata in posa estatica e le braccia sono
stese in un abbraccio spirituale, le palme rivolte verso l’alto, lo
sguardo anche. La figura sta contemplando verosimilmente il sole
(Apollo) e lo scorrere delle nuvole bianche (il proteiforme del divino).
Con sprezzatura formale e conoscenza intima della classicità - intesa
in questi anni anche come mondo di misure e di ritmi visivi e
musicali - Melotti ha qui dato un senso tutto moderno a quel villuppo
di sentimenti e immaginazioni che un artista italiano sapeva essere
magicamente sospesi tra naturalismo e metafisica. E proprio da questo
mondo scaturirà poi l’altro suo mondo, quello dei teatrini, dei
contrappunti spaziali e cromatici, delle città invisibili, il
favoloso e il fantastico, il lirico e il drammatico di certe sue
invenzioni filiformi, aeree e vibratili. Così egli passava dall’arte
alla poesia e viceversa: con leggerezza e arguzia, come chi conosce
il ritmo del gioco e le sue coloratissime variazioni.
La Decorazione, l’Architettura e la Pittura saranno attorniate da
opere degli anni Sessanta e Settanta (1965-1973), grandi superfici di
acciaio inox lucidato e specchiante: tavole iper-moderne movimentate
da lamiere ritagliate in forme geometriche, da losanghe, cerchi e
triangoli, da tondini piegati in linee sinuose e per questo musicali,
da sfere sospese e bloccate come in attesa silenziosa, da barrette
intrecciate a creare una griglia o una rete, il senso del vuoto e
dell’immaterialità. In tutte queste opere i simboli e le strutture
geometriche in realtà agiscono come canoni musicali e non solo
spaziali e volumetrici: sono alla base dell’armonia (la logica
classica dell’arte che contempla la relazione tra arte e musica).
Armonia su cui è possibile organizzare un catalogo aperto di
variazioni fino a spingersi nel mondo della dissonanza - alla ricerca
di contrappunti e di intrecci dodecafonici che l’artista conosceva e
sperimentava in quell’epoca. Il mondo poetico più noto di Melotti,
quello dello scultore che con spazi teatrali abitati da creature del
mito o della favola evoca mondi arcaici e metafisici, qui si incrocia
in un concerto quasi sinfonico a quello pià austero e geometrico del
compositore astratto: è un’astrazione però che dissimula dietro il
vocabolario di segni geometrici un simbolismo sacrale, di antica
discendenza magico-alchemica.
Nel suo esoterismo l’artista trentino però non si compiace da erudita
di segni e di formule criptiche: la sua semantica è misteriosa ed
ermetica perché nasce da un sentimento profondo del linguaggio
simbolico. Scrive a questo proposito Germano Celant: “Il suo
astrattismo va assunto in una prospettiva spiritualista e metafisica,
con riferimenti alla simbologia del sacro e del magico. E sebbene
appaia dissacratorio da un punto di vista figurativo, esso ammette
sempre all’origine lo spirito e il verbo, il suono o l’afflato con
cui l’universo è stato costruito”. Come a dire che cerchi, triangoli,
ellissi, curve - oppure piani e prospettive aeree e trasparenti
costruite complicando le dimensioni e le profondità o alluse con
tratteggi e segni grafici - sono in realtà le forme corrispettive di
una lingua universale e cosmica. Linguaggio scultoreo attraversato
dal vento e dalla luce che fin dall’inizio vive sospeso tra il
simbolico e l’informale, tra l’astratto e il naturale.
Tutto questo mondo plastico aveva già trovato la sua aurorale
formulazione in opere astratte come i bassorilievi in gesso e le
sculture realizzati intorno al 1935, dove si evidenziano riferimenti
sia a Carrà o Morandi, sia a Vantongerloo e van Doesburg. Va
ricordato inoltre che lo scultore in giovane età aveva frequentato la
facoltà di Fisica e Matematica a Pisa e si era poi laureato al
Politecnico di Milano nel 1924 in ingegneria elettronica. Il moto
imprevedibile di oscillazioni visive, la costruzione di universi
continui, paralleli o contrapposti è ancor più evidente quando al
plastico e al visuale si sommano le vibrazioni tattili di catenelle o
le parabole virtuali di pendoli. Si assiste a un passaggio dallo
spazio al tempo che ancora una volta evidenzia l’interesse e la
passione di Melotti per la musica: arte studiata da giovane e
coltivata per sempre, qualcosa di personale e di speciale che
travalica un mero aggiornamento avanguardistico e concettuale.
Sulla rivista “Quadrante” Carlo Belli ha scritto: “Il sogno è questo,
raggiungere l’ordine, origine e meta di tutte le cose… Fausto ha
avuto in comune con me il periodo d’una adolescenza indimenticabile,
tonificata da una disciplina estremamente formativa: la musica. Egli
conosce le leggi del contrappunto… Egli conosce la geometria nei
segreti della sua struttura logica e ama la formula come istituzione
di sintesi estrema. L’arte è istituzione matematica… Io amo queste
sculture di Fausto Melotti perché le comprendo nella loro logica
silenziosa e musicale. Melotti imbalsama le sue forme in un fluido
cristallino, trasparente. Si capisce che questo è il risultato di una
inesorabile calibrazione”.
Dunque per l’artista la musica e la poesia furono depositarie di
segreti cosmici, di leggi e ritmi universali, di regole e proporzioni
auree che si organizzano e si manifestano sempre diverse nel tempo e
nello spazio. Fausto Melotti amava citare Costantin Brancusi, artista
rumeno arrivato all’essenziale coniugando la conoscenza sacrale ed
esoterica del cosmo a quella arcaica della natura. Pure Melotti ha
abbracciato la natura delle cose in un’estensione che collegava
all’intuizione logica la percezione sensibile e quasi mitica della
realtà. Questi bassorilievi allora sono spartiti da leggere e da
contemplare. E’ il ritmo il punto di riferimento poetico e formale
del nostro artista: la melodia segreta con la quale il demiurgo ha
costruito il mondo visibile. A questo spettacolo egli si è sempre
rivolto felicemente meravigliato. Forse perché - noi diciamo - doveva
acquietare una sua inspiegabile malinconia.
Sergio Risaliti
inaugura una mostra di sculture e bassorilievi di Fausto Melotti.
Sono opere eseguite in due diverse stagioni della sua operosa vita
d’artista (Rovereto 1901-1986): due gruppi di lavori distinti per
tecnica, materiali e linguaggio - a riprova dell’apertura concettuale
di Melotti che con la stessa convinzione e ispirazione frequentava il
mondo delle figure e quello dei simboli astratti.
Le tre sculture, tutte di carattere figurativo, sono state realizzate
dall’artista tra la fine del 1939 e gli inizi del 1940. Si tratta di
tre modelli in gesso alti un metro circa, rappresentanti la
Decorazione, la Pittura e l’Architettura: da queste invenzioni
vennero ricavate le grandi statue commissionate dalla VII Triennale
di Milano per il vestibolo del Palazzo dell’Arte, opere già distrutte
alla fine della manifestazione ( lo si apprende da una lettera di
Agnoldomenico Pica).
In questi tre gessi sono decifrabili i riferimenti culturali di
Melotti che in quel decennio (1930-1940) frequenta prima gli
esponenti dell’astrattismo italiano, poi Arturo Martini e Marino
Marini, e s’informa sull’arte europea - soprattutto attraverso
Sartoris che era in contatto con Klee, Kandinsky, Cocteau e
Strawinsky. Negli stessi anni l’artista raggiunge Parigi e La Sarraz
in Svizzera, dove in occasione di una premiazione incontra Raoul
Haussmann, uno dei fondatori del gruppo dadaista di Zurigo. A Parigi
visita l’Esposizione Universale e ha modo di ammirare le opere di
Cézanne, Picasso, Matisse, Zadkine. Nella Ville lumière conosce
personalmente Kandinsky. Il padre dello “spirituale nell’arte” e del
Cavaliere Azzurro (almanacco fondato nel 1912) e autore di opere e di
testi assai importanti per lo scultore italiano che sente come suoi i
richiami al mondo della musica e dei ritmi geometrici. L’incontro
avviene nello studio parigino del nostro artista che mostra a
Kandinsky le proprie opere e questi esclama: “ Ici arrivés, n’est
plus question de sculpture. C’est l’art”.
Fin dai primi disegni databili tra il 1925 e il 1929, il mondo di
Melotti è abitato da figure femminili e forse in questo
vagheggiamento dell’“eterno femminino” si riscontra il suo sodalizio
con Lucio Fontana, conosciuto nell’aula di Adolfo Wildt, professore
di entrambi gli artisti all’Accademia di Brera. In ognuna di queste
figure femminili scopriamo ancora oggi i lineamenti e le pose di muse
e di vestali, esseri mitici senza tempo, incarnazioni di un mondo
spirituale e fisico che contemporaneamente sprofonda nella parte
ctonia della natura e si innalza verso la dimensione più immateriale
e luminosa del trascendente. Melotti prima degli anni Quaranta ha già
realizzato una Madonna con bambino (1930) e soprattutto Euridice
(1933), risultato paradigmatico di questo periodo, in cui già si
prefigurarano le note misteriose e struggenti della futura poesia dei
teatrini. Il femminile per Melotti è anche la voce della procreazione
e della rigenerazione, il tramite fra l’azione e la contemplazione,
tra l’interiorità e la forma creata. In molti casi le figure
femminili, le piccole teste, i volti di donne dai lineamenti felini o
estatici, evocano il tema della danza e del canto.
L’Architettura, la Decorazione e la Pittura stanno sedute e
incastonate in una sorta di mandorla metafisca, una nicchia
medioevale rivisitata in termini modernamente sintetici (Melotti fu
vicino al mondo del razionalismo italiano e frequentò, assieme al
cugino Carlo Belli, il “Gruppo 7” di Pollini, Terragni, Rava e
Figini). Le tre figure sono vestite di morbidi panni, che aderiscono
bagnati o si gonfiano increspandosi come se le sete fossero agitate
da un vento mediterraneo. Melotti ha qui ricercato un genere di
arcaicità sostanziale e non stilistica, di valore assoluto ma pur
naturalmente vitale: gesti e soluzioni formali che Martini ad esempio
poneva al centro della lingua plastica “perché la scultura trasformi
la creta in mari in tempesta”. Le tre entità sono personificazioni
delle arti, da percepire non solo come mestiere e disciplina, ma come
esperienza misteriosa e noumenica. In questo senso certi dettagli
fungono propriamente da simboli e arrichiscono di significati
letterari le figure: un vaso, cubi, e altri particolari
significativi. La pittura in particolare rivela dettagli
dechirichiani. Nella parte inferiore del corpo, tra gli arti
divaricati, è modellato a bassorilievo un paesaggio iniziatico: è
forse un bosco sacro, di quelli che De Chirico incastrava tra le
pieghe ioniche dei suoi manichini. Sembra di riconoscere il profilo
di una fonte e di un tempietto, una scalinata, ulivi e allori. La
vestale della pittura è bloccata in posa estatica e le braccia sono
stese in un abbraccio spirituale, le palme rivolte verso l’alto, lo
sguardo anche. La figura sta contemplando verosimilmente il sole
(Apollo) e lo scorrere delle nuvole bianche (il proteiforme del divino).
Con sprezzatura formale e conoscenza intima della classicità - intesa
in questi anni anche come mondo di misure e di ritmi visivi e
musicali - Melotti ha qui dato un senso tutto moderno a quel villuppo
di sentimenti e immaginazioni che un artista italiano sapeva essere
magicamente sospesi tra naturalismo e metafisica. E proprio da questo
mondo scaturirà poi l’altro suo mondo, quello dei teatrini, dei
contrappunti spaziali e cromatici, delle città invisibili, il
favoloso e il fantastico, il lirico e il drammatico di certe sue
invenzioni filiformi, aeree e vibratili. Così egli passava dall’arte
alla poesia e viceversa: con leggerezza e arguzia, come chi conosce
il ritmo del gioco e le sue coloratissime variazioni.
La Decorazione, l’Architettura e la Pittura saranno attorniate da
opere degli anni Sessanta e Settanta (1965-1973), grandi superfici di
acciaio inox lucidato e specchiante: tavole iper-moderne movimentate
da lamiere ritagliate in forme geometriche, da losanghe, cerchi e
triangoli, da tondini piegati in linee sinuose e per questo musicali,
da sfere sospese e bloccate come in attesa silenziosa, da barrette
intrecciate a creare una griglia o una rete, il senso del vuoto e
dell’immaterialità. In tutte queste opere i simboli e le strutture
geometriche in realtà agiscono come canoni musicali e non solo
spaziali e volumetrici: sono alla base dell’armonia (la logica
classica dell’arte che contempla la relazione tra arte e musica).
Armonia su cui è possibile organizzare un catalogo aperto di
variazioni fino a spingersi nel mondo della dissonanza - alla ricerca
di contrappunti e di intrecci dodecafonici che l’artista conosceva e
sperimentava in quell’epoca. Il mondo poetico più noto di Melotti,
quello dello scultore che con spazi teatrali abitati da creature del
mito o della favola evoca mondi arcaici e metafisici, qui si incrocia
in un concerto quasi sinfonico a quello pià austero e geometrico del
compositore astratto: è un’astrazione però che dissimula dietro il
vocabolario di segni geometrici un simbolismo sacrale, di antica
discendenza magico-alchemica.
Nel suo esoterismo l’artista trentino però non si compiace da erudita
di segni e di formule criptiche: la sua semantica è misteriosa ed
ermetica perché nasce da un sentimento profondo del linguaggio
simbolico. Scrive a questo proposito Germano Celant: “Il suo
astrattismo va assunto in una prospettiva spiritualista e metafisica,
con riferimenti alla simbologia del sacro e del magico. E sebbene
appaia dissacratorio da un punto di vista figurativo, esso ammette
sempre all’origine lo spirito e il verbo, il suono o l’afflato con
cui l’universo è stato costruito”. Come a dire che cerchi, triangoli,
ellissi, curve - oppure piani e prospettive aeree e trasparenti
costruite complicando le dimensioni e le profondità o alluse con
tratteggi e segni grafici - sono in realtà le forme corrispettive di
una lingua universale e cosmica. Linguaggio scultoreo attraversato
dal vento e dalla luce che fin dall’inizio vive sospeso tra il
simbolico e l’informale, tra l’astratto e il naturale.
Tutto questo mondo plastico aveva già trovato la sua aurorale
formulazione in opere astratte come i bassorilievi in gesso e le
sculture realizzati intorno al 1935, dove si evidenziano riferimenti
sia a Carrà o Morandi, sia a Vantongerloo e van Doesburg. Va
ricordato inoltre che lo scultore in giovane età aveva frequentato la
facoltà di Fisica e Matematica a Pisa e si era poi laureato al
Politecnico di Milano nel 1924 in ingegneria elettronica. Il moto
imprevedibile di oscillazioni visive, la costruzione di universi
continui, paralleli o contrapposti è ancor più evidente quando al
plastico e al visuale si sommano le vibrazioni tattili di catenelle o
le parabole virtuali di pendoli. Si assiste a un passaggio dallo
spazio al tempo che ancora una volta evidenzia l’interesse e la
passione di Melotti per la musica: arte studiata da giovane e
coltivata per sempre, qualcosa di personale e di speciale che
travalica un mero aggiornamento avanguardistico e concettuale.
Sulla rivista “Quadrante” Carlo Belli ha scritto: “Il sogno è questo,
raggiungere l’ordine, origine e meta di tutte le cose… Fausto ha
avuto in comune con me il periodo d’una adolescenza indimenticabile,
tonificata da una disciplina estremamente formativa: la musica. Egli
conosce le leggi del contrappunto… Egli conosce la geometria nei
segreti della sua struttura logica e ama la formula come istituzione
di sintesi estrema. L’arte è istituzione matematica… Io amo queste
sculture di Fausto Melotti perché le comprendo nella loro logica
silenziosa e musicale. Melotti imbalsama le sue forme in un fluido
cristallino, trasparente. Si capisce che questo è il risultato di una
inesorabile calibrazione”.
Dunque per l’artista la musica e la poesia furono depositarie di
segreti cosmici, di leggi e ritmi universali, di regole e proporzioni
auree che si organizzano e si manifestano sempre diverse nel tempo e
nello spazio. Fausto Melotti amava citare Costantin Brancusi, artista
rumeno arrivato all’essenziale coniugando la conoscenza sacrale ed
esoterica del cosmo a quella arcaica della natura. Pure Melotti ha
abbracciato la natura delle cose in un’estensione che collegava
all’intuizione logica la percezione sensibile e quasi mitica della
realtà. Questi bassorilievi allora sono spartiti da leggere e da
contemplare. E’ il ritmo il punto di riferimento poetico e formale
del nostro artista: la melodia segreta con la quale il demiurgo ha
costruito il mondo visibile. A questo spettacolo egli si è sempre
rivolto felicemente meravigliato. Forse perché - noi diciamo - doveva
acquietare una sua inspiegabile malinconia.
Sergio Risaliti
31
marzo 2008
Fausto Melotti – Opere (1939-1973)
Dal 31 marzo al 10 maggio 2008
arte contemporanea
Location
CHRISTIAN STEIN
Milano, Corso Monforte, 23, (Milano)
Milano, Corso Monforte, 23, (Milano)
Orario di apertura
da martedì a venerdì ore 10– 19, sabato ore 10– 13/15–19
Vernissage
31 Marzo 2008, ore 19
Autore