Create an account
Welcome! Register for an account
La password verrà inviata via email.
Recupero della password
Recupera la tua password
La password verrà inviata via email.
-
- container colonna1
- Categorie
- #iorestoacasa
- Agenda
- Archeologia
- Architettura
- Arte antica
- Arte contemporanea
- Arte moderna
- Arti performative
- Attualità
- Bandi e concorsi
- Beni culturali
- Cinema
- Contest
- Danza
- Design
- Diritto
- Eventi
- Fiere e manifestazioni
- Film e serie tv
- Formazione
- Fotografia
- Libri ed editoria
- Mercato
- MIC Ministero della Cultura
- Moda
- Musei
- Musica
- Opening
- Personaggi
- Politica e opinioni
- Street Art
- Teatro
- Viaggi
- Categorie
- container colonna2
- container colonna1
Nora Ness – Fetishouse
Una mostra in Italia. Una selezione di opere inedite datate 2007 e 2008. Una donna chiusa in casa, in compagnia dei propri feticci erotici, della biancheria e delle tante scarpe con cui modifcarsi per brevi ma impassibili momenti
Comunicato stampa
Segnala l'evento
FETISHOUSE
Gianluca Marziani
Una donna chiusa in casa, in compagnia dei propri feticci erotici, della biancheria e delle tante scarpe con cui modificarsi per brevi ma impassibili momenti. La nostra protagonista si chiama Nora Ness ed è una madame dell’ossessione casalinga, regina di un narcisismo solitario e agonistico, maestra sexy di cerimonie ad invito unico. Il suo universo vive dentro pochi metri quadrati ma sembra sconfinato nelle invenzioni attorno alla propria geografia corporea. Un’estasi organica che si ciba di protesi fetish in modo fantasioso e scultoreo, rompendo la centralità didascalica dello scatto, frammentando la scena con un misto di incastri, astrattismi, sovrapposizioni, nebulosità, angoli anomali.
Ma partiamo un attimo indietro, dalle radici necessarie del recente erotismo fotografico. Ed entriamo in un settore dai riferimenti sicuri e dai temi riconoscibili. Diciamo subito che diversi esiti (passati e attuali) si mantengono distanti dal risultato artistico, restando nelle competenze di una buona fotografia che non si libera dallo status più documentativo. Poi, come eccezioni che confermano le troppe regole, ecco quei fotografi con la visione astratta, il giusto impatto iconografico e una costruzione pittorica degli elementi. Helmut Newton, tanto per cominciare dalle vette, ha portato il feticismo d’arte nei contesti della fotografia patinata, introducendo le sue dominatrici chic nei luoghi luccicanti del lusso. Robert Mapplethorpe ha nobilitato il gesto sessuale, anche il più estremo, con la logica figurativa di una costruzione neoclassica, sospesa oltre il tempo e lo spazio. Nobuyoshi Araki ha reso la geisha un’icona metropolitana per fantasie ricorrenti e abbordabili. Ben Westwood ha costruito immagini retrò e riabilitato a lunga vita il concetto erotico di pin-up. Jan Saudek ha mescolato corpo e natura in un tripudio di crudeltà surreali. Tony Ward ha ricreato un’aggressività porno dai toni sballati. Gilles Berquet ha reinventato il surrealismo da camera con raffinate perfomance solitarie. Christophe Mourthé, Eric Kroll e Peter W. Czernich hanno elevato le ragioni del travestimento fetish, rendendo il latex il nuovo colore pittorico dell’arte erotica. Sono casi che oggi rappresentano alcuni archetipi di riferimento, ideatori di quella visione mancante con cui l’eros ha individuato percorsi di pregevole interesse artistico. Con loro e altri maestri la fotografia ha letto il costume antropologico, la vitalità antagonista, il senso di una trasgressione che rompe il tabù sociale in modo categorico. Qualcuno (forse purtroppo, forse per fortuna) ancora crede che l’arte erotica non sia profonda e duratura come altri ambiti tematici. La verità è che l’arte in genere ruota da sempre attorno al corpo erotico: ce lo insegnano le statuarie greche e romane, l’arte murale di Pompei, la pittura religiosa, l’arte africana, le stampe giappponesi, le avanguardie del Novecento. Il corpo rimane il campo su cui crescono menti e messaggi, analisi e provocazioni, conferme e spaccature. Quel corpo umano, così riconoscibile eppure sconfinato, ha trattenuto le ragioni del saggio e del disagio, le domande esterne ed eterne, la rivoluzione morbida o radicale. Tutto è accaduto sulla sua superficie e tutto continuerà a formularsi sulla sua pelle instabile. Il corpo quale principale sismografo della natura umana, della società, della vita quotidiana, delle aspirazioni oltre il terreno. Il corpo come forma alta del pensiero.
Per tutti il cuore sacro si chiama ossessione ed è la benzina che alimenta il motore sessuale con le sue variabili velocità fisiche. Senza un moto ossessivo non sarebbe nata alcuna cultura erotica o pornografica, proprio perché la centralità del sesso si ciba di desiderio indomabile, pensieri crescenti, ripetizione verso un epilogo inarrivabile. L’ossessione regola il quotidiano, detta le priorità, escludendo tutto ciò che non serve alla bulimia del desiderio mentale. La sessualità, insomma, come metro di valutazione e orientamento, cifra di un modus esistenziale e di una spinta tra carne e spirito.
Nora Ness procede con la coerenza di chi mette a frutto il meglio della propria ossessione. Che significa, innanzitutto, aderire ai gesti, ai modi, ai dettagli che determinano il personale immaginario. Poi significa trasformare la propria vita in un progetto, usando il voyeurismo come completamento finale di uno stile che diviene metodo. Ai processi formulativi si aggiunga la personalità del dettaglio, il segno che timbra il lavoro con un codice di propria appartenenza. E poi, ultimo ma mai ultimo, il talento iconografico, la qualità dell’architettura visiva con cui un semplice scatto si tramuta in propulsore erotico senza tempo. Mi vengono in mente alcuni progetti dalle ossessioni radicali: “Motel Fetish” di Chas Ray Krider, ovvero, ritratti inventivi di donne in pose solitarie nelle camere di classici motel americani a basso costo; “Luba” di Petter Hegre, ovvero, un uomo che mette in posa per anni la propria giovane compagna, anche lei artista oltre che bellissima musa dal corpo perfetto; Ken-Ichi Murata, ovvero, un uomo che fotografa la compagna Yumiko Kawasaki, mescolando la sensualità da geisha con una flora dai toni surreali, finché con gesti manuali vengono dipinte le stampe fotografiche in bianconero. Nei vari casi l’autore non perde di vista la propria ossessione e procede come un rullo compressore, sempre in avanti con quella coazione a ripetere che solo l’impulso sessuale rende ogni volta diversa, avvincente, unica.
Il sesso al centro dello sguardo. Un sesso che nasce dal pensiero, da un’ossessione ideale che impegna la mente e il desiderio recondito. Un sesso esplosivo anche quando l’atto è puro gesto intellettuale. L’artista che racconta l’eros detiene una relazione elettrica con la forma compiuta del sesso, come se la tensione scorresse in modo continuo e implacabile. L’arte diventa forma del desiderio, costruzione evocativa di un’emozione adrenalinica ma anche poetica. Non è un caso che diversi artisti dell’erotismo si isolino dal mondo, privandosi di ogni contatto che non sia quello con il proprio viaggio mentale. Perché l’ossessione chiede un’ottusa concentrazione, una sorta di timida solitudine in cui nulla deve allontanarti dal tuo fuoco vitale.
Assieme alla Ness non manca mai una seconda protagonista scenica: la macchina fotografica. Resta allo scoperto, sempre nelle mani scattanti dell’artista, a conferma di un chiaro gioco di specchi che disvela l’evidente in uno scenario senza supporti e comparse. La Ness conferma la sua solitudine ossessiva nel gesto dichiarato dello scatto autoreferenziale. La macchina digitale invade l’immagine come feticcio ulteriore, condizionando le stesse posture, gli sguardi, le tensioni muscolari. La solitudine apparente si trasforma nel mondo prismatico di un clic rivelatorio, espressione oggettuale di un’aderenza completa a quanto si sta compiendo in scena.
Il luogo domestico
Le stanze in cui l’artista lavora sono ambienti essenziali, arredati con pochi complementi, appena stravolti dalle luci su cavalletto e dagli spot professionali sul pavimento. Muri bianchi con qualche raro quadro, pavimenti monocromi, teli colorati a rivestire alcuni mobili, un bagno disadorno con la sua vasca: il mondo di Nora Ness ruota nelle stanze silenti in cui il corpo diventa un magnete energetico che cattura le luci da set e galleggia come lampo di carne. L’apparente casualità delle cose indica, in realtà, una spiccata attenzione per le relazioni tra pieno e vuoto, calibrate da quel corpo che catalizza gli oggetti, gioca con gli spazi liberi, si adatta ai perimetri e alle superfici.
Le scarpe
La scelta delle calzature assume un’importanza centrale quando gli elementi attrattivi chiedono al corpo massima predisposizione feticistica. Come ogni buon tocco fetish che si rispetti, il mondo della Ness cammina su tacchi alti e (spesso) sottili, punte (spesso) affilate, colori che tendono al nero e al rosso ma anche con uscite nell’arancio o nel verde. La scarpa prende il centro scenico con la sua elegante aggressività, sembra calamitata in avanti, verso lo spettatore disponibile. Non è più un accessorio ma una dimensione centrale che dialoga con gli abiti, la biancheria, i colori e i complementi d’ambiente. La scarpa si conferma il cuore pulsante del feticismo, l’elemento che aggredisce lo scenario e cambia le coordinate emozionali dell’immagine. Importante che non divenga unica protagonista ma che, come nel caso della Ness, sia amalgamata alle silenti posture del corpo.
Abbigliamento e accessori
Veli semitrasparenti, biancheria intima, corpetti, occhiali scuri, guanti, collane… pochi elementi ma ben mescolati, una giusta calibratura tra abito e disvelamento, darsi e nascondersi, romanticismo e grinta aggressiva. L’artista ama stratificare gli elementi sul suo corpo, evitando qualsiasi pornografia o forzatura stilistica. Vuole esserci e, al contempo, creare una giusta distanza, avvicinarsi senza uscire da quel perimetro domestico. Anche gli occhi non sono mai perfettamente centrati verso di noi, al contrario tendono a stare chiusi o appena aperti, spesso in direzioni laterali, come se la Ness cercasse un personale punto di fuga.
Le posture
Un elemento determinante è la postura che il corpo assume in scena. Una semplice piega di pochi centimetri può evocare misteri ancestrali, così come una chiusura può interpretare la chiave catartica. Nell’arte erotica non conta ciò che mostri ma il modo in cui disveli le forme. Conta la maniera in cui non riveli mentre sussurri. Conta l’attitudine del soggetto in posa, l’empatia che si mantiene con l’obiettivo, il coinvolgimento onesto di cui gradualmente ci accorgiamo. Noterete subito la precisione con cui la Ness si fotografa in posizioni mai troppo canoniche, a conferma di un mondo complesso che si dispone al meglio nei pochi metri delle sue stanze. Il corpo si trasforma in una geografia inquieta, irriverente rispetto agli usi facili dell’erotismo da annuncio sul web. La scena ha qualcosa del backstage eppure, non essendo frutto del caso, vive di equilibrati incastri tra pieni e vuoti, luci e ombre, primo piano e fondale.
Dalle foto non si respira solitudine melanconica ma una vitalità solitaria, un narcisismo purificato che tocca l’essenza della sessualità, l’intimo delle private trasgressioni, fino al cuore della bellezza rivelatoria. La verità della Ness si legge nella caparbia determinazione a disvelarsi, confrontandosi con il completamento dello sguardo altrui. Perché un lavoro del genere chiede il (nostro) voyeurismo in risposta al suo esibizionismo. L’eccitazione solitaria dei preparativi, delle azioni e dei ricordi si completa con l’estasi mentale di un futuro sguardo estraneo, come se dietro la porta il pubblico osservasse l’artista nella sua volontaria lontananza. Il mondo si condensa nelle camere private di un film dal realismo crudele, dentro ogni viaggio privato di un corpo ormai astratto e universale. L’arte erotica rimane una forma di profonda aderenza tra vita vissuta e attitudine artistica. L’empatia tra verità e costruzione si riassume nell’energia che le foto emanano, nel loro potere evocativo e liberatorio, nella calibrata critica sociale che un corpo libero può richiamare.
Nessuna falsificazione. Nessun gesto superficiale. La pelle diviene complessità e atto poetico. La postura si trasforma in una frase viva e universale. Da una scarpa e da un clic rinasce l’altezza profonda della visione.
Gianluca Marziani
Una donna chiusa in casa, in compagnia dei propri feticci erotici, della biancheria e delle tante scarpe con cui modificarsi per brevi ma impassibili momenti. La nostra protagonista si chiama Nora Ness ed è una madame dell’ossessione casalinga, regina di un narcisismo solitario e agonistico, maestra sexy di cerimonie ad invito unico. Il suo universo vive dentro pochi metri quadrati ma sembra sconfinato nelle invenzioni attorno alla propria geografia corporea. Un’estasi organica che si ciba di protesi fetish in modo fantasioso e scultoreo, rompendo la centralità didascalica dello scatto, frammentando la scena con un misto di incastri, astrattismi, sovrapposizioni, nebulosità, angoli anomali.
Ma partiamo un attimo indietro, dalle radici necessarie del recente erotismo fotografico. Ed entriamo in un settore dai riferimenti sicuri e dai temi riconoscibili. Diciamo subito che diversi esiti (passati e attuali) si mantengono distanti dal risultato artistico, restando nelle competenze di una buona fotografia che non si libera dallo status più documentativo. Poi, come eccezioni che confermano le troppe regole, ecco quei fotografi con la visione astratta, il giusto impatto iconografico e una costruzione pittorica degli elementi. Helmut Newton, tanto per cominciare dalle vette, ha portato il feticismo d’arte nei contesti della fotografia patinata, introducendo le sue dominatrici chic nei luoghi luccicanti del lusso. Robert Mapplethorpe ha nobilitato il gesto sessuale, anche il più estremo, con la logica figurativa di una costruzione neoclassica, sospesa oltre il tempo e lo spazio. Nobuyoshi Araki ha reso la geisha un’icona metropolitana per fantasie ricorrenti e abbordabili. Ben Westwood ha costruito immagini retrò e riabilitato a lunga vita il concetto erotico di pin-up. Jan Saudek ha mescolato corpo e natura in un tripudio di crudeltà surreali. Tony Ward ha ricreato un’aggressività porno dai toni sballati. Gilles Berquet ha reinventato il surrealismo da camera con raffinate perfomance solitarie. Christophe Mourthé, Eric Kroll e Peter W. Czernich hanno elevato le ragioni del travestimento fetish, rendendo il latex il nuovo colore pittorico dell’arte erotica. Sono casi che oggi rappresentano alcuni archetipi di riferimento, ideatori di quella visione mancante con cui l’eros ha individuato percorsi di pregevole interesse artistico. Con loro e altri maestri la fotografia ha letto il costume antropologico, la vitalità antagonista, il senso di una trasgressione che rompe il tabù sociale in modo categorico. Qualcuno (forse purtroppo, forse per fortuna) ancora crede che l’arte erotica non sia profonda e duratura come altri ambiti tematici. La verità è che l’arte in genere ruota da sempre attorno al corpo erotico: ce lo insegnano le statuarie greche e romane, l’arte murale di Pompei, la pittura religiosa, l’arte africana, le stampe giappponesi, le avanguardie del Novecento. Il corpo rimane il campo su cui crescono menti e messaggi, analisi e provocazioni, conferme e spaccature. Quel corpo umano, così riconoscibile eppure sconfinato, ha trattenuto le ragioni del saggio e del disagio, le domande esterne ed eterne, la rivoluzione morbida o radicale. Tutto è accaduto sulla sua superficie e tutto continuerà a formularsi sulla sua pelle instabile. Il corpo quale principale sismografo della natura umana, della società, della vita quotidiana, delle aspirazioni oltre il terreno. Il corpo come forma alta del pensiero.
Per tutti il cuore sacro si chiama ossessione ed è la benzina che alimenta il motore sessuale con le sue variabili velocità fisiche. Senza un moto ossessivo non sarebbe nata alcuna cultura erotica o pornografica, proprio perché la centralità del sesso si ciba di desiderio indomabile, pensieri crescenti, ripetizione verso un epilogo inarrivabile. L’ossessione regola il quotidiano, detta le priorità, escludendo tutto ciò che non serve alla bulimia del desiderio mentale. La sessualità, insomma, come metro di valutazione e orientamento, cifra di un modus esistenziale e di una spinta tra carne e spirito.
Nora Ness procede con la coerenza di chi mette a frutto il meglio della propria ossessione. Che significa, innanzitutto, aderire ai gesti, ai modi, ai dettagli che determinano il personale immaginario. Poi significa trasformare la propria vita in un progetto, usando il voyeurismo come completamento finale di uno stile che diviene metodo. Ai processi formulativi si aggiunga la personalità del dettaglio, il segno che timbra il lavoro con un codice di propria appartenenza. E poi, ultimo ma mai ultimo, il talento iconografico, la qualità dell’architettura visiva con cui un semplice scatto si tramuta in propulsore erotico senza tempo. Mi vengono in mente alcuni progetti dalle ossessioni radicali: “Motel Fetish” di Chas Ray Krider, ovvero, ritratti inventivi di donne in pose solitarie nelle camere di classici motel americani a basso costo; “Luba” di Petter Hegre, ovvero, un uomo che mette in posa per anni la propria giovane compagna, anche lei artista oltre che bellissima musa dal corpo perfetto; Ken-Ichi Murata, ovvero, un uomo che fotografa la compagna Yumiko Kawasaki, mescolando la sensualità da geisha con una flora dai toni surreali, finché con gesti manuali vengono dipinte le stampe fotografiche in bianconero. Nei vari casi l’autore non perde di vista la propria ossessione e procede come un rullo compressore, sempre in avanti con quella coazione a ripetere che solo l’impulso sessuale rende ogni volta diversa, avvincente, unica.
Il sesso al centro dello sguardo. Un sesso che nasce dal pensiero, da un’ossessione ideale che impegna la mente e il desiderio recondito. Un sesso esplosivo anche quando l’atto è puro gesto intellettuale. L’artista che racconta l’eros detiene una relazione elettrica con la forma compiuta del sesso, come se la tensione scorresse in modo continuo e implacabile. L’arte diventa forma del desiderio, costruzione evocativa di un’emozione adrenalinica ma anche poetica. Non è un caso che diversi artisti dell’erotismo si isolino dal mondo, privandosi di ogni contatto che non sia quello con il proprio viaggio mentale. Perché l’ossessione chiede un’ottusa concentrazione, una sorta di timida solitudine in cui nulla deve allontanarti dal tuo fuoco vitale.
Assieme alla Ness non manca mai una seconda protagonista scenica: la macchina fotografica. Resta allo scoperto, sempre nelle mani scattanti dell’artista, a conferma di un chiaro gioco di specchi che disvela l’evidente in uno scenario senza supporti e comparse. La Ness conferma la sua solitudine ossessiva nel gesto dichiarato dello scatto autoreferenziale. La macchina digitale invade l’immagine come feticcio ulteriore, condizionando le stesse posture, gli sguardi, le tensioni muscolari. La solitudine apparente si trasforma nel mondo prismatico di un clic rivelatorio, espressione oggettuale di un’aderenza completa a quanto si sta compiendo in scena.
Il luogo domestico
Le stanze in cui l’artista lavora sono ambienti essenziali, arredati con pochi complementi, appena stravolti dalle luci su cavalletto e dagli spot professionali sul pavimento. Muri bianchi con qualche raro quadro, pavimenti monocromi, teli colorati a rivestire alcuni mobili, un bagno disadorno con la sua vasca: il mondo di Nora Ness ruota nelle stanze silenti in cui il corpo diventa un magnete energetico che cattura le luci da set e galleggia come lampo di carne. L’apparente casualità delle cose indica, in realtà, una spiccata attenzione per le relazioni tra pieno e vuoto, calibrate da quel corpo che catalizza gli oggetti, gioca con gli spazi liberi, si adatta ai perimetri e alle superfici.
Le scarpe
La scelta delle calzature assume un’importanza centrale quando gli elementi attrattivi chiedono al corpo massima predisposizione feticistica. Come ogni buon tocco fetish che si rispetti, il mondo della Ness cammina su tacchi alti e (spesso) sottili, punte (spesso) affilate, colori che tendono al nero e al rosso ma anche con uscite nell’arancio o nel verde. La scarpa prende il centro scenico con la sua elegante aggressività, sembra calamitata in avanti, verso lo spettatore disponibile. Non è più un accessorio ma una dimensione centrale che dialoga con gli abiti, la biancheria, i colori e i complementi d’ambiente. La scarpa si conferma il cuore pulsante del feticismo, l’elemento che aggredisce lo scenario e cambia le coordinate emozionali dell’immagine. Importante che non divenga unica protagonista ma che, come nel caso della Ness, sia amalgamata alle silenti posture del corpo.
Abbigliamento e accessori
Veli semitrasparenti, biancheria intima, corpetti, occhiali scuri, guanti, collane… pochi elementi ma ben mescolati, una giusta calibratura tra abito e disvelamento, darsi e nascondersi, romanticismo e grinta aggressiva. L’artista ama stratificare gli elementi sul suo corpo, evitando qualsiasi pornografia o forzatura stilistica. Vuole esserci e, al contempo, creare una giusta distanza, avvicinarsi senza uscire da quel perimetro domestico. Anche gli occhi non sono mai perfettamente centrati verso di noi, al contrario tendono a stare chiusi o appena aperti, spesso in direzioni laterali, come se la Ness cercasse un personale punto di fuga.
Le posture
Un elemento determinante è la postura che il corpo assume in scena. Una semplice piega di pochi centimetri può evocare misteri ancestrali, così come una chiusura può interpretare la chiave catartica. Nell’arte erotica non conta ciò che mostri ma il modo in cui disveli le forme. Conta la maniera in cui non riveli mentre sussurri. Conta l’attitudine del soggetto in posa, l’empatia che si mantiene con l’obiettivo, il coinvolgimento onesto di cui gradualmente ci accorgiamo. Noterete subito la precisione con cui la Ness si fotografa in posizioni mai troppo canoniche, a conferma di un mondo complesso che si dispone al meglio nei pochi metri delle sue stanze. Il corpo si trasforma in una geografia inquieta, irriverente rispetto agli usi facili dell’erotismo da annuncio sul web. La scena ha qualcosa del backstage eppure, non essendo frutto del caso, vive di equilibrati incastri tra pieni e vuoti, luci e ombre, primo piano e fondale.
Dalle foto non si respira solitudine melanconica ma una vitalità solitaria, un narcisismo purificato che tocca l’essenza della sessualità, l’intimo delle private trasgressioni, fino al cuore della bellezza rivelatoria. La verità della Ness si legge nella caparbia determinazione a disvelarsi, confrontandosi con il completamento dello sguardo altrui. Perché un lavoro del genere chiede il (nostro) voyeurismo in risposta al suo esibizionismo. L’eccitazione solitaria dei preparativi, delle azioni e dei ricordi si completa con l’estasi mentale di un futuro sguardo estraneo, come se dietro la porta il pubblico osservasse l’artista nella sua volontaria lontananza. Il mondo si condensa nelle camere private di un film dal realismo crudele, dentro ogni viaggio privato di un corpo ormai astratto e universale. L’arte erotica rimane una forma di profonda aderenza tra vita vissuta e attitudine artistica. L’empatia tra verità e costruzione si riassume nell’energia che le foto emanano, nel loro potere evocativo e liberatorio, nella calibrata critica sociale che un corpo libero può richiamare.
Nessuna falsificazione. Nessun gesto superficiale. La pelle diviene complessità e atto poetico. La postura si trasforma in una frase viva e universale. Da una scarpa e da un clic rinasce l’altezza profonda della visione.
04
aprile 2008
Nora Ness – Fetishouse
Dal 04 aprile al 02 maggio 2008
fotografia
arte moderna e contemporanea
arte moderna e contemporanea
Location
GALLERIA CARINI & DONATINI
San Giovanni Valdarno, Via Gruccia, 192b, (Arezzo)
San Giovanni Valdarno, Via Gruccia, 192b, (Arezzo)
Orario di apertura
da martedi a sabato 10-13 e 15-19
Vernissage
4 Aprile 2008, ore 18,30
Autore
Curatore