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Roberto Polillo – Swing, Bop&Free. Il jazz degli anni ’60
Dal 1962 al 1974, Roberto Polillo ha fotografato per la rivista Musica Jazz, diretta dal padre Arrigo Polillo, il noto critico e storico del jazz, oltre un centinaio di concerti di jazz, prevalentemente (ma non solo) in Italia
Comunicato stampa
Segnala l'evento
Dal 1962 al 1974, Roberto Polillo ha fotografato per la rivista Musica Jazz, allora diretta dal padre Arrigo Polillo, il noto critico e storico del jazz, oltre un centinaio di concerti di jazz, prevalentemente (ma non solo) in Italia.
Un’ampia selezione di queste foto è stata recentemente pubblicata nel libro Swing, Bop&Free – Il jazz degli anni’60 (Marco Polillo Editore, Milano), che raccoglie i ritratti dei protagonisti della scena del jazz di quell’epoca (oltre 120 musicisti), commentati con brani tratti dagli scritti di Arrigo Polillo e di altri autori, o da interviste concesse dagli stessi musicisti.
Questa mostra presenta una selezione di immagini tratte dal libro: una galleria di circa 40 ritratti in bianco e nero, presi in concerto o dietro le quinte dei teatri, dei grandi maestri del jazz attivi in quegli anni: dai capiscuola della vecchia generazione a coloro che avrebbero guidato la rivoluzione del free jazz negli anni ’60, fra i più entusiasmanti della storia del jazz: Louis Armstrong, Duke Ellington, Coleman Hawkins, Miles Davis, Charles Mingus, John Coltrane, Ornette Coleman, Archie Shepp, e molti altri.
La mostra, itinerante per tutto il 2007, verrà ospitata nelle Gallerie Fnac italiane (Milano, Torino, Genova, Verona, Napoli e Roma).
Roberto Polillo
Nato a Milano nel 1946, vive tra Milano e Roma. Fin dalla giovane età si è interessato di fotografia e di musica. Dal 1962, per una dozzina d’anni, ha collaborato con la rivista mensile Musica Jazz raccogliendo la testimonianza fotografica dei più importanti concerti svoltisi in quegli anni, soprattutto in Italia. Si è poi dedicato all’informatica, come imprenditore e professore universitario. In anni recenti ha ripreso a occuparsi attivamente di fotografia, sia riordinando il vecchio archivio jazzistico, sia affrontando nuove tematiche, anche con l’uso delle tecnologie digitali. Un’ampia raccolta delle sue immagini di jazz è in esposizione permanente a Siena, presso la Fondazione Siena Jazz.
Le fotografie di Roberto Polillo hanno colto quella che è stata giustamente definita l’ultima età dell’oro del jazz, un periodo di straordinaria fertilità in cui erano ancora attivi i musicisti che hanno definito le coordinate storiche di questa musica – Armstrong ed Ellington con le loro orchestre – e allo stesso tempo operavano Miles Davis, Charles Mingus, John Coltrane: coloro che dall'interno hanno operato quell'eversione stilistica che ha trasformato il jazz in un movimento policentrico e multistilistico impossibile da chiudere in una definizione, tanto distanti sembrano le sue ali.
Per fornire una approssimata periodizzazione, il decennio chiave è quello simbolicamente delimitato dal 1959 – l'anno di “Kind of Blue” e dell'esplosione del free jazz con l'arrivo di Ornette Coleman a New York – e dal 1969, segnato tra le altre cose dalla svolta “elettrica” di Miles con la registrazione di “Bitches' Brew” da parte di un gruppo che magistralmente integra il jazz modale post-coltraniano, il free e il funk.
Per chi non c'era, e per chi non ricorda, in quegli anni l'ambiente culturale e politico afroamericano è caratterizzato da una grande ondata di speranza e di maturazione politica. Gli anni '50 si erano chiusi con i violentissimi scontri razziali a Little Rock, nell'Arkansas, quando il governatore di quello stato decide di chiudere le scuole pubbliche per non accettare l'integrazione razziale stabilita dalla Corte Suprema: sarà immortalato da Charles Mingus nella sua corrosiva “Fables of Faubus” – la versione pubblicata dalla Columbia è depurata, ma quella Candid contiene l'aspramente ironico dialoghetto con Richmond: “Name me someone who's ridiculous, Dannie!” “Governor Faubus!” “Why is he so sick and ridiculous?” “He won't permit integrated schools!” “Then he's a fool! Boo! Nazi Fascist supremists! Boo! Ku Klux Klan (with your Jim Crow plan)”. Gli anni 60 si aprono con l'elezione del Democratico John Kennedy alla presidenza, e nel 1962 James Meredith entra scortato dalle truppe federali all'Università del Missisippi, mentre gli USA entrano a pieno titolo nella guerra del Vietnam. Gli anni successivi vedono la marcia a Washington della National Association for the Advancement of Colored People, sotto la guida del Reverendo Martin Luther King, che pronuncia il suo famoso discorso “I Have A Dream”. La Corte Suprema dichiara la segregazione razziale incostituzionale in ogni ambito sociale, e il sogno sembra destinato ad avverarsi, prima di essere brutalmente frantumato da una serie di assassini politici: John Kennedy viene ucciso nel 1963, Malcom X nel 1964, Martin Luther King nel 1968, e lo stesso anno anche Robert Kennedy, che forse ancora più di John si era impegnato nel campo dei diritti civili. Il movimento degli afroamericani conosce un drammatico riflusso, mentre le avanguardie si radicalizzano: il decennio si chiude con la fortissima immagine delle mani guantate di nero e strette a pugno levate dagli atleti afroamericani nel segno del Black Power alle Olimpiadi del 1968 di Città del Messico durante l'inno americano alla premiazione dei 100 metri. Gli anni Settanta si aprono con l'assassinio di George Jackson – autore dei “Fratelli di Soledad” - e con il bagno di sangue in cui viene soffocata la rivolta di Attica, organizzata dai prigionieri neri più politicizzati.
Nel mondo del jazz, Armstrong e Ellington cercano di mantenere la loro olimpica distanza, fedeli al personaggo pubblico che si sono faticosamente creati; ad Armstrong scappa detta qualche parola di troppo in occasione di uno dei molti attentati razzisti, ma poi recupera, mentre il messaggio di Ellington è affidato alla sua musica e ad alcune significative collaborazioni con le punte di diamante del nuovo jazz come Charles Mingus e John Coltrane. Nel trio con Mingus suona Max Roach, in quel periodo particolarmente impegnato nei diritti civili: la sua “We Insist! - Freedom Now Suite” riporta in copertina un gruppo di avventori neri seduti a un bar dove serve un cameriere bianco. Il manifesto musicale del free è l'omonima suite pubblicata nel 1960 da Ornette Coleman, ed è un suo disco, “Crisis” a rappresentare plasticamente la chiusura del decennio delle grandi speranze: il titolo è lo stesso della rivista della NAACP, ma in copertina c'è una copia della Dichiarazione dei Diritti, il “Bill of Rights” del 1791, con i primi 10 emendamenti alla costituzione americana, migliorata in direzione delle libertà individuali, assicurate anche al di là del volere dei singoli stati. Il disco non è mai stato ristampato in Cd.
Il jazz in quel periodo vede una fioritura straordinaria di talenti e di idee: basti pensare alle opere fondamentali di Coltrane, Taylor, Mingus, Shepp e Dolphy, agli arrangiamenti di Gil Evans, Oliver Nelson, Carla Bley, ai gruppi di Bill Evans, Dexter Gordon, Jackie McLean, Thelonious Monk, Art Pepper, Stan Getz con Joao Gilberto, Wayne Shorter, Roland Kirk e Albert Ayler. Buona parte della musica che allora sembrava “di rottura” e “difficile” ha raggiunto oggi uno status classico, e viene analizzata nelle Università; gli stili e le personalità hanno rivelato nel tempo un tessuto connettivo più forte di quello che sembrava all'epoca, e i musicisti delle generazioni più giovani possono giovarsi della diversità delle loro ispirazioni.
I contraccolpi di questi avvenimenti non arrivarono immediatamente in Italia, a causa delle comunicazioni lentissime rispetto a quelle di oggi, della necessità di aspettare le mediazioni delle riviste specializzate e delle etichette di importazione dei dischi: il fatto che Polillo sia stato attivo come fotografo di jazz tra il 1962 e il 1972 lo pone al centro della espressione italiana di questo decennio ricchissimo di momenti drammatici ed esaltanti. Il movimento jazzistico italiano si è sviluppato tardivamente rispetto a quelli del nord Europa – Francia, Inghilterra, paesi scandinavi: questo ha reso più difficile l'elaborazione di una estetica jazzistica localizzata, ma ha evitato le dolorose divisioni tra “conservatori” e “rivoluzionari” che soprattutto in Francia ed Inghilterra hanno via via isolato le varie scuole stilistiche: Dixieland, Bebop, Free. Talmente piccola era la “parrocchia” jazzistica italiana che ogni occasione di celebrare era buona, tanto arretrata la fame di concerti dal vivo lasciata dal Fascismo e dalla guerra che nessuno si sognava di non andare a un concerto di un musicista importante perché non era del suo stile preferito. La scoperta della letteratura americana del dopoguerra, l'entusiasmo della ricostruzione lasciavano il posto alla tensione della Guerra Fredda, mentre il fermento politico e culturale degli anni Sessanta culmina nei movimenti studenteschi e giovanili in tutta Europa nel 1968, per spegnersi poi nel decennio tragico degli anni di piombo, con la violenza politica che a metà degli anni Settanta investe anche i festival jazz.
Le prime edizioni del Festival Internazionale del Jazz di Sanremo, iniziato nel 1956, hanno di internazionale solo il nome: i musicisti non italiani sono prevalentemente europei di scuola tradizionale o americani residenti in Europa come Sidney Bechet. Dopo l'arrivo del Modern Jazz Quartet saranno Rollins e Silver a destare grande impressione nel 1959, ma solo dopo vari momenti di crisi gli organizzatori Arrigo Polillo e Pino Maffei nel 1963 riescono a portare Blakey e i The Jazz Messengers (all'epoca con Hubbard, Fuller, Shorter, Walton, Workman); “Cannonball” Adderley, con tra gli altri Yusef Lateef e Joe Zawinul; e la troupe del Jazz at the Philarmonic con la Fitzgerald e Oscar Peterson. Lo stesso anno Coltrane suona a Milano con il suo gruppo, e il concerto desta tali polemiche da richiedere su “Musica Jazz” due articoli redazionali – di Polillo e Testoni – oltre a due pagine di commenti contrastanti da parte di vari musicisti italiani: come ricorda Polillo, è l'anno della svolta. Quello che non si vede ancora nel libro, perchè si manifesta in Italia solo più tardi, è l'ondata dei musicisti della Association for the Advancement of Creative Musicians fondata nel 1966 (Art Ensemble of Chicago, Anthony Braxton) e dei gruppi di fusion nati delle esperienze elettriche di Miles (Hancock, i Weather Report): i due estremi di una musica che negli anni '70 sembra irrimediabilmente scissa. Sarà Enrico Rava, il primo jazzman italiano ad acquisire status internazionale, a rappresentare le istanze più estreme del jazz non solo americano con un memorabile concerto insieme a Steve Lacy, John Dyani e Louis Moholo a Sanremo nel 1966: il sintomo di un nascente approccio europeo al jazz che solo dopo prenderà radici nel nostro paese, tra nuovi contrasti e polemiche.
Ma è nella atmosfera di grande passione dei primi anni del decennio che Arrigo regala una macchina fotografica al giovanissimo Roberto – vale la pena ricordarlo, non ha ancora 16 anni quando comincia a scattare – stimolando una vocazione che si dimostra subito capace di interpretare l'evento e la personalità dei musicisti, inventandosi uno stile. Al momento i fotografi di jazz in Italia sono sostanzialmente due, Giuseppe Pino, che comincia poco dopo, e Ugo Mulas, che ben presto lascia per dedicarsi alla sua attività artistica. Grazie all'attività di giornalista e organizzatore del padre, Roberto documenta sistematicamente i maggiori concerti del decennio in Italia, ma anche in Francia e Svizzera; forse nessun altro può svolgere una attività di tale ampiezza, con la libertà di accedere alle prove e ai concerti, sul palco e dietro le quinte, alla ricerca dell'immagine che sintetizza la personalità di un musicista.
L'obiettivo di Roberto Polillo focalizza la molteplicità del jazz di quel periodo: le personalità esplosive di Armstrong, di Eldridge, dei fratelli Adderley, di Garner e Blakey; l'impeccabile Ellington compositore e direttore; le espressioni enigmatiche di Rollins e Don Cherry, di Max Roach e dei nuovi intellettuali del jazz, il cui capostipite è senza dubbio Konitz, e con lui Bley, Burton, Coleman. Indimenticabili le intense espressioni di Coltrane e Dolphy, e atipico un Davis giocherellone, con il sassofono in mano, che scherza con Arrigo Polillo. Dal canto suo, Arrigo valorizza questo lavoro con la Galleria di “Musica Jazz”, che in terza di copertina presenta con il massimo di qualità possibile immagini di grande valore che educano generazioni di appassionati a vedere oltre che ad ascoltare: le 240 foto sono ora disponibili sul sito di Siena Jazz.
Contagiato dall'atmosfera irripetibile e ispirato dal contatto diretto con i musicisti, il giovane fotografo riesce a catturare il dinamismo, la riflessività, il rapporto con il pubblico e con gli altri musicisti, l'atteggiamento sul palco e fuori, la comunicatività o viceversa l'introversione, cercata o subita: tutto quello che si manifesta in una musica che mette a nudo la personalità come nessun'altra.
Gli strumenti sono ancora quelli classici, i gruppi si alternano sui palchi senza che nessuno – fatte salve le dovute forme di rispetto – si atteggi a superstar, il divismo commerciale non ha ancora fatto il suo ingresso nel mondo del jazz: è questa l'atmosfera che le foto di Roberto Polillo ci fanno ancora respirare.
Francesco Martinelli, Direttore del Centro Studi “Arrigo Polillo”, Sezione Ricerca della Fondazione Siena Jazz.
Un’ampia selezione di queste foto è stata recentemente pubblicata nel libro Swing, Bop&Free – Il jazz degli anni’60 (Marco Polillo Editore, Milano), che raccoglie i ritratti dei protagonisti della scena del jazz di quell’epoca (oltre 120 musicisti), commentati con brani tratti dagli scritti di Arrigo Polillo e di altri autori, o da interviste concesse dagli stessi musicisti.
Questa mostra presenta una selezione di immagini tratte dal libro: una galleria di circa 40 ritratti in bianco e nero, presi in concerto o dietro le quinte dei teatri, dei grandi maestri del jazz attivi in quegli anni: dai capiscuola della vecchia generazione a coloro che avrebbero guidato la rivoluzione del free jazz negli anni ’60, fra i più entusiasmanti della storia del jazz: Louis Armstrong, Duke Ellington, Coleman Hawkins, Miles Davis, Charles Mingus, John Coltrane, Ornette Coleman, Archie Shepp, e molti altri.
La mostra, itinerante per tutto il 2007, verrà ospitata nelle Gallerie Fnac italiane (Milano, Torino, Genova, Verona, Napoli e Roma).
Roberto Polillo
Nato a Milano nel 1946, vive tra Milano e Roma. Fin dalla giovane età si è interessato di fotografia e di musica. Dal 1962, per una dozzina d’anni, ha collaborato con la rivista mensile Musica Jazz raccogliendo la testimonianza fotografica dei più importanti concerti svoltisi in quegli anni, soprattutto in Italia. Si è poi dedicato all’informatica, come imprenditore e professore universitario. In anni recenti ha ripreso a occuparsi attivamente di fotografia, sia riordinando il vecchio archivio jazzistico, sia affrontando nuove tematiche, anche con l’uso delle tecnologie digitali. Un’ampia raccolta delle sue immagini di jazz è in esposizione permanente a Siena, presso la Fondazione Siena Jazz.
Le fotografie di Roberto Polillo hanno colto quella che è stata giustamente definita l’ultima età dell’oro del jazz, un periodo di straordinaria fertilità in cui erano ancora attivi i musicisti che hanno definito le coordinate storiche di questa musica – Armstrong ed Ellington con le loro orchestre – e allo stesso tempo operavano Miles Davis, Charles Mingus, John Coltrane: coloro che dall'interno hanno operato quell'eversione stilistica che ha trasformato il jazz in un movimento policentrico e multistilistico impossibile da chiudere in una definizione, tanto distanti sembrano le sue ali.
Per fornire una approssimata periodizzazione, il decennio chiave è quello simbolicamente delimitato dal 1959 – l'anno di “Kind of Blue” e dell'esplosione del free jazz con l'arrivo di Ornette Coleman a New York – e dal 1969, segnato tra le altre cose dalla svolta “elettrica” di Miles con la registrazione di “Bitches' Brew” da parte di un gruppo che magistralmente integra il jazz modale post-coltraniano, il free e il funk.
Per chi non c'era, e per chi non ricorda, in quegli anni l'ambiente culturale e politico afroamericano è caratterizzato da una grande ondata di speranza e di maturazione politica. Gli anni '50 si erano chiusi con i violentissimi scontri razziali a Little Rock, nell'Arkansas, quando il governatore di quello stato decide di chiudere le scuole pubbliche per non accettare l'integrazione razziale stabilita dalla Corte Suprema: sarà immortalato da Charles Mingus nella sua corrosiva “Fables of Faubus” – la versione pubblicata dalla Columbia è depurata, ma quella Candid contiene l'aspramente ironico dialoghetto con Richmond: “Name me someone who's ridiculous, Dannie!” “Governor Faubus!” “Why is he so sick and ridiculous?” “He won't permit integrated schools!” “Then he's a fool! Boo! Nazi Fascist supremists! Boo! Ku Klux Klan (with your Jim Crow plan)”. Gli anni 60 si aprono con l'elezione del Democratico John Kennedy alla presidenza, e nel 1962 James Meredith entra scortato dalle truppe federali all'Università del Missisippi, mentre gli USA entrano a pieno titolo nella guerra del Vietnam. Gli anni successivi vedono la marcia a Washington della National Association for the Advancement of Colored People, sotto la guida del Reverendo Martin Luther King, che pronuncia il suo famoso discorso “I Have A Dream”. La Corte Suprema dichiara la segregazione razziale incostituzionale in ogni ambito sociale, e il sogno sembra destinato ad avverarsi, prima di essere brutalmente frantumato da una serie di assassini politici: John Kennedy viene ucciso nel 1963, Malcom X nel 1964, Martin Luther King nel 1968, e lo stesso anno anche Robert Kennedy, che forse ancora più di John si era impegnato nel campo dei diritti civili. Il movimento degli afroamericani conosce un drammatico riflusso, mentre le avanguardie si radicalizzano: il decennio si chiude con la fortissima immagine delle mani guantate di nero e strette a pugno levate dagli atleti afroamericani nel segno del Black Power alle Olimpiadi del 1968 di Città del Messico durante l'inno americano alla premiazione dei 100 metri. Gli anni Settanta si aprono con l'assassinio di George Jackson – autore dei “Fratelli di Soledad” - e con il bagno di sangue in cui viene soffocata la rivolta di Attica, organizzata dai prigionieri neri più politicizzati.
Nel mondo del jazz, Armstrong e Ellington cercano di mantenere la loro olimpica distanza, fedeli al personaggo pubblico che si sono faticosamente creati; ad Armstrong scappa detta qualche parola di troppo in occasione di uno dei molti attentati razzisti, ma poi recupera, mentre il messaggio di Ellington è affidato alla sua musica e ad alcune significative collaborazioni con le punte di diamante del nuovo jazz come Charles Mingus e John Coltrane. Nel trio con Mingus suona Max Roach, in quel periodo particolarmente impegnato nei diritti civili: la sua “We Insist! - Freedom Now Suite” riporta in copertina un gruppo di avventori neri seduti a un bar dove serve un cameriere bianco. Il manifesto musicale del free è l'omonima suite pubblicata nel 1960 da Ornette Coleman, ed è un suo disco, “Crisis” a rappresentare plasticamente la chiusura del decennio delle grandi speranze: il titolo è lo stesso della rivista della NAACP, ma in copertina c'è una copia della Dichiarazione dei Diritti, il “Bill of Rights” del 1791, con i primi 10 emendamenti alla costituzione americana, migliorata in direzione delle libertà individuali, assicurate anche al di là del volere dei singoli stati. Il disco non è mai stato ristampato in Cd.
Il jazz in quel periodo vede una fioritura straordinaria di talenti e di idee: basti pensare alle opere fondamentali di Coltrane, Taylor, Mingus, Shepp e Dolphy, agli arrangiamenti di Gil Evans, Oliver Nelson, Carla Bley, ai gruppi di Bill Evans, Dexter Gordon, Jackie McLean, Thelonious Monk, Art Pepper, Stan Getz con Joao Gilberto, Wayne Shorter, Roland Kirk e Albert Ayler. Buona parte della musica che allora sembrava “di rottura” e “difficile” ha raggiunto oggi uno status classico, e viene analizzata nelle Università; gli stili e le personalità hanno rivelato nel tempo un tessuto connettivo più forte di quello che sembrava all'epoca, e i musicisti delle generazioni più giovani possono giovarsi della diversità delle loro ispirazioni.
I contraccolpi di questi avvenimenti non arrivarono immediatamente in Italia, a causa delle comunicazioni lentissime rispetto a quelle di oggi, della necessità di aspettare le mediazioni delle riviste specializzate e delle etichette di importazione dei dischi: il fatto che Polillo sia stato attivo come fotografo di jazz tra il 1962 e il 1972 lo pone al centro della espressione italiana di questo decennio ricchissimo di momenti drammatici ed esaltanti. Il movimento jazzistico italiano si è sviluppato tardivamente rispetto a quelli del nord Europa – Francia, Inghilterra, paesi scandinavi: questo ha reso più difficile l'elaborazione di una estetica jazzistica localizzata, ma ha evitato le dolorose divisioni tra “conservatori” e “rivoluzionari” che soprattutto in Francia ed Inghilterra hanno via via isolato le varie scuole stilistiche: Dixieland, Bebop, Free. Talmente piccola era la “parrocchia” jazzistica italiana che ogni occasione di celebrare era buona, tanto arretrata la fame di concerti dal vivo lasciata dal Fascismo e dalla guerra che nessuno si sognava di non andare a un concerto di un musicista importante perché non era del suo stile preferito. La scoperta della letteratura americana del dopoguerra, l'entusiasmo della ricostruzione lasciavano il posto alla tensione della Guerra Fredda, mentre il fermento politico e culturale degli anni Sessanta culmina nei movimenti studenteschi e giovanili in tutta Europa nel 1968, per spegnersi poi nel decennio tragico degli anni di piombo, con la violenza politica che a metà degli anni Settanta investe anche i festival jazz.
Le prime edizioni del Festival Internazionale del Jazz di Sanremo, iniziato nel 1956, hanno di internazionale solo il nome: i musicisti non italiani sono prevalentemente europei di scuola tradizionale o americani residenti in Europa come Sidney Bechet. Dopo l'arrivo del Modern Jazz Quartet saranno Rollins e Silver a destare grande impressione nel 1959, ma solo dopo vari momenti di crisi gli organizzatori Arrigo Polillo e Pino Maffei nel 1963 riescono a portare Blakey e i The Jazz Messengers (all'epoca con Hubbard, Fuller, Shorter, Walton, Workman); “Cannonball” Adderley, con tra gli altri Yusef Lateef e Joe Zawinul; e la troupe del Jazz at the Philarmonic con la Fitzgerald e Oscar Peterson. Lo stesso anno Coltrane suona a Milano con il suo gruppo, e il concerto desta tali polemiche da richiedere su “Musica Jazz” due articoli redazionali – di Polillo e Testoni – oltre a due pagine di commenti contrastanti da parte di vari musicisti italiani: come ricorda Polillo, è l'anno della svolta. Quello che non si vede ancora nel libro, perchè si manifesta in Italia solo più tardi, è l'ondata dei musicisti della Association for the Advancement of Creative Musicians fondata nel 1966 (Art Ensemble of Chicago, Anthony Braxton) e dei gruppi di fusion nati delle esperienze elettriche di Miles (Hancock, i Weather Report): i due estremi di una musica che negli anni '70 sembra irrimediabilmente scissa. Sarà Enrico Rava, il primo jazzman italiano ad acquisire status internazionale, a rappresentare le istanze più estreme del jazz non solo americano con un memorabile concerto insieme a Steve Lacy, John Dyani e Louis Moholo a Sanremo nel 1966: il sintomo di un nascente approccio europeo al jazz che solo dopo prenderà radici nel nostro paese, tra nuovi contrasti e polemiche.
Ma è nella atmosfera di grande passione dei primi anni del decennio che Arrigo regala una macchina fotografica al giovanissimo Roberto – vale la pena ricordarlo, non ha ancora 16 anni quando comincia a scattare – stimolando una vocazione che si dimostra subito capace di interpretare l'evento e la personalità dei musicisti, inventandosi uno stile. Al momento i fotografi di jazz in Italia sono sostanzialmente due, Giuseppe Pino, che comincia poco dopo, e Ugo Mulas, che ben presto lascia per dedicarsi alla sua attività artistica. Grazie all'attività di giornalista e organizzatore del padre, Roberto documenta sistematicamente i maggiori concerti del decennio in Italia, ma anche in Francia e Svizzera; forse nessun altro può svolgere una attività di tale ampiezza, con la libertà di accedere alle prove e ai concerti, sul palco e dietro le quinte, alla ricerca dell'immagine che sintetizza la personalità di un musicista.
L'obiettivo di Roberto Polillo focalizza la molteplicità del jazz di quel periodo: le personalità esplosive di Armstrong, di Eldridge, dei fratelli Adderley, di Garner e Blakey; l'impeccabile Ellington compositore e direttore; le espressioni enigmatiche di Rollins e Don Cherry, di Max Roach e dei nuovi intellettuali del jazz, il cui capostipite è senza dubbio Konitz, e con lui Bley, Burton, Coleman. Indimenticabili le intense espressioni di Coltrane e Dolphy, e atipico un Davis giocherellone, con il sassofono in mano, che scherza con Arrigo Polillo. Dal canto suo, Arrigo valorizza questo lavoro con la Galleria di “Musica Jazz”, che in terza di copertina presenta con il massimo di qualità possibile immagini di grande valore che educano generazioni di appassionati a vedere oltre che ad ascoltare: le 240 foto sono ora disponibili sul sito di Siena Jazz.
Contagiato dall'atmosfera irripetibile e ispirato dal contatto diretto con i musicisti, il giovane fotografo riesce a catturare il dinamismo, la riflessività, il rapporto con il pubblico e con gli altri musicisti, l'atteggiamento sul palco e fuori, la comunicatività o viceversa l'introversione, cercata o subita: tutto quello che si manifesta in una musica che mette a nudo la personalità come nessun'altra.
Gli strumenti sono ancora quelli classici, i gruppi si alternano sui palchi senza che nessuno – fatte salve le dovute forme di rispetto – si atteggi a superstar, il divismo commerciale non ha ancora fatto il suo ingresso nel mondo del jazz: è questa l'atmosfera che le foto di Roberto Polillo ci fanno ancora respirare.
Francesco Martinelli, Direttore del Centro Studi “Arrigo Polillo”, Sezione Ricerca della Fondazione Siena Jazz.
15
marzo 2008
Roberto Polillo – Swing, Bop&Free. Il jazz degli anni ’60
Dal 15 marzo al 21 aprile 2008
fotografia
Location
FNAC
Verona, Via Cappello, 34, (Verona)
Verona, Via Cappello, 34, (Verona)
Orario di apertura
Lun-sab: dalle 9.30 alle 20. Dom: dalle 10.30 alle 20
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