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Alberto Gerardi – Opere dal 1919 al 1960
La mostra accoglie 56 opere tra sculture e disegni e intende offrire una prima, sintetica riproposizione del lavoro dello scultore, nella molteplicità delle tecniche adoperate e delle tipologie di oggetti realizzati
Comunicato stampa
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Dopo la monografia del 1964 di Corrado Maltese, dopo la retrospettiva della Quadriennale del 1965 che comprendeva diciassette suoi lavori, dopo la manifestazione Arte moderna in Italia 1915-35, svoltasi a Firenze nel 1967, che proponeva, per le cure di Carlo Ludovico Ragghianti, quattordici sue opere, tranne la voce specifica a lui dedicata nel Dizionario Biografico degli Italiani nel 1999, scarse e sporadiche sono state le rassegne collettive che si sono perlopiù limitate a presentare suoi disegni o oggetti di arte applicata. Si è ritenuto, perciò, opportuno di fornire un panorama articolato della sua attività per rompere il silenzio su di un maestro quasi dimenticato, un maestro nella trattazione plastica dei metalli e nella ricerca sul disegno.
“Sono nato a Roma da famiglia umbra nel 1889. Ho avuto una preparazione artigiana. So che è molto nota la mia attività in ferro battuto e non è il caso allora che io ne parli se non per affermare anche in questa occasione che ritengo il ferro materia utile e preziosa per la plastica pura. / Alla scuola artigiana dalla quale provengo debbo la conoscenza delle tecniche e la scrupolosa aderenza a ogni materia, cosa che credo sia alla base di ogni stile. / L’arte del disegno mi ha appassionato sempre; via via ho sperimentato i mezzi più adeguati alla mia ricerca. Così ho praticato e pratico la punta d’argento e la penna. / Intendo il disegno come osservazione di valori tonali dai quali scaturiscono le forme. / Cere, disegni e ogni mia fatica varranno a prepararmi a statue scolpite nel ferro”.
È questa la breve nota autobiografica redatta da Alberto Gerardi in occasione della mostra allestita nella II Quadriennale d’Arte Nazionale di Roma, inaugurata nel febbraio 1935 al Palazzo delle Esposizioni. Come registra il catalogo, la personale comprendeva tre sculture, cinque disegni a penna e sette disegni a punta d’argento. Lo scritto, scarno e asciutto, chiaro e diretto, rispecchia alcuni aspetti del carattere dell’artista, schivo ma consapevole delle sue qualità, e contiene riflessioni significative per la comprensione della sostanza della sua ricerca.
Proprio sul fondamento della sua “preparazione artigiana”, scrive Rosalba Zuccaio, Gerardi imposta il nesso imprescindibile tra “la conoscenza delle tecniche e la scrupolosa aderenza a ogni materia”, un assunto basilare per ogni declinazione stilistica, in sintonia, tra l’altro, con il pensiero e l’attività di Duilio Cambellotti che era stato suo maestro presso il Museo Artistico Industriale di Roma. Dichiarata la passione per il disegno, egli esalta la sperimentazione dei vari mezzi per individuare quelli adeguati alle proprie intenzionalità, concentrate sulla “osservazione di valori tonali dai quali scaturiscono le forme”. Ed infine, dopo aver definito il ferro “materia utile e preziosa per la plastica pura”, Gerardi ritiene che le acquisizioni dei diversi procedimenti operativi e ogni fatica “varranno a prepararmi a statue scolpite nel ferro”.
Questi concetti e la terminologia usata sono veicoli importanti per ripercorrere sinteticamente il lento svolgersi di un immaginario creativo saldamente ancorato a soggetti della realtà fenomenica, soprattutto figure umane e animali, osservati con acuta sensibilità e restituiti in forme intrise di interna tensione, di forte concentrazione e di sorprendenti modulazioni chiaroscurali nell’impianto plastico-architettonico.
È, quello di Gerardi, un linguaggio essenziale, autentico, guidato da un pensiero vigile e severo, che non si concede ad abbandoni estetizzanti, a compiacimenti tecnicistici, a sofisticate arbitrarietà e che volge lo studio di memorie antiche da una passiva assunzione ad una moderna interpretazione attraverso una straordinaria abilità manuale e ricettiva e attraverso una fertile facoltà intuitiva, “operando con la modestia d’un santo anacoreta” come scrive Luigi Bartolini in occasione della presentazione alla VII Quadriennale nel 1955 notando, tra l’altro, che egli porta all’antica tradizione “valori nuovi [...] talmente originali che possono anche passare inosservati, o non essere valutati al giusto segno se non dai poeti”.
Numerosi sono, nell’arco della sua attività, i disegni che attestano i suoi studi da Arnolfo di Cambio, Giovanni Pisano, Giotto, Leonardo o che evidenziano il suo interesse per Pisanello, Dürer, Rembrandt, ecc. Su una forte componente storica che affonda, talora, anche su civiltà remote, come quella egizia, egli innesta una accorta, quasi segreta esperienza del presente. Al di là di possibili, tenui e marginali, riferimenti a compagni di strada, egli, esente da retoriche novecentiste, da freddi, accademici citazionismi e da compiacenti arcaismi, volge il prestigio fabrile nell’azione della battitura con il martello a strumento rigoroso di forma con l’intenzione di emozionare la superficie di luce e, come nota Maltese, con il desiderio di concentrarsi sulla “ ricerca di come dissolvere la materia nella luce”.
Alberto Gerardi era nato nel 1889 a Roma dove è morto nel 1965.
Allievo di Duilio Cambellotti, con il quale poi collaborerà nel villino Pallottelli a via Nomentana a Roma, inizia la sua attività espositiva nel 1921 con la Mostra di arte sacra al Palazzo reale di Venezia. Seguiranno, nello stesso anno, la I Biennale Romana e, in seguito, la Biennale Internazionale delle Arti Decorative di Monza (1923, 1925, 1927, 1930), la Triennale di Milano (1933) dove ottiene il gran premio della giuria internazionale, la Quadriennale di Roma (1931, 1935, 1939, 1948, 1951, 1955, 1965), la Biennale di Venezia (1936, 1942, 1948, 1950, 1956).
La sua prima personale è alla Galleria Pesaro di Milano (1923). Esporrà in seguito alla Galleria il Milione di Milano (1949).
Tra le opere su commissione sono da ricordare la Custodia della Sacra Roccia dell’Agonia nella Basilica del Getsemani a Gerusalemme, la Portella d’oro del ciborio del santuario del Divino Amore e il Crocifisso d’argento voluto dal Centro Liturgico Internazionale per donarlo nel 1959 a papa Giovanni XXIII.
“Sono nato a Roma da famiglia umbra nel 1889. Ho avuto una preparazione artigiana. So che è molto nota la mia attività in ferro battuto e non è il caso allora che io ne parli se non per affermare anche in questa occasione che ritengo il ferro materia utile e preziosa per la plastica pura. / Alla scuola artigiana dalla quale provengo debbo la conoscenza delle tecniche e la scrupolosa aderenza a ogni materia, cosa che credo sia alla base di ogni stile. / L’arte del disegno mi ha appassionato sempre; via via ho sperimentato i mezzi più adeguati alla mia ricerca. Così ho praticato e pratico la punta d’argento e la penna. / Intendo il disegno come osservazione di valori tonali dai quali scaturiscono le forme. / Cere, disegni e ogni mia fatica varranno a prepararmi a statue scolpite nel ferro”.
È questa la breve nota autobiografica redatta da Alberto Gerardi in occasione della mostra allestita nella II Quadriennale d’Arte Nazionale di Roma, inaugurata nel febbraio 1935 al Palazzo delle Esposizioni. Come registra il catalogo, la personale comprendeva tre sculture, cinque disegni a penna e sette disegni a punta d’argento. Lo scritto, scarno e asciutto, chiaro e diretto, rispecchia alcuni aspetti del carattere dell’artista, schivo ma consapevole delle sue qualità, e contiene riflessioni significative per la comprensione della sostanza della sua ricerca.
Proprio sul fondamento della sua “preparazione artigiana”, scrive Rosalba Zuccaio, Gerardi imposta il nesso imprescindibile tra “la conoscenza delle tecniche e la scrupolosa aderenza a ogni materia”, un assunto basilare per ogni declinazione stilistica, in sintonia, tra l’altro, con il pensiero e l’attività di Duilio Cambellotti che era stato suo maestro presso il Museo Artistico Industriale di Roma. Dichiarata la passione per il disegno, egli esalta la sperimentazione dei vari mezzi per individuare quelli adeguati alle proprie intenzionalità, concentrate sulla “osservazione di valori tonali dai quali scaturiscono le forme”. Ed infine, dopo aver definito il ferro “materia utile e preziosa per la plastica pura”, Gerardi ritiene che le acquisizioni dei diversi procedimenti operativi e ogni fatica “varranno a prepararmi a statue scolpite nel ferro”.
Questi concetti e la terminologia usata sono veicoli importanti per ripercorrere sinteticamente il lento svolgersi di un immaginario creativo saldamente ancorato a soggetti della realtà fenomenica, soprattutto figure umane e animali, osservati con acuta sensibilità e restituiti in forme intrise di interna tensione, di forte concentrazione e di sorprendenti modulazioni chiaroscurali nell’impianto plastico-architettonico.
È, quello di Gerardi, un linguaggio essenziale, autentico, guidato da un pensiero vigile e severo, che non si concede ad abbandoni estetizzanti, a compiacimenti tecnicistici, a sofisticate arbitrarietà e che volge lo studio di memorie antiche da una passiva assunzione ad una moderna interpretazione attraverso una straordinaria abilità manuale e ricettiva e attraverso una fertile facoltà intuitiva, “operando con la modestia d’un santo anacoreta” come scrive Luigi Bartolini in occasione della presentazione alla VII Quadriennale nel 1955 notando, tra l’altro, che egli porta all’antica tradizione “valori nuovi [...] talmente originali che possono anche passare inosservati, o non essere valutati al giusto segno se non dai poeti”.
Numerosi sono, nell’arco della sua attività, i disegni che attestano i suoi studi da Arnolfo di Cambio, Giovanni Pisano, Giotto, Leonardo o che evidenziano il suo interesse per Pisanello, Dürer, Rembrandt, ecc. Su una forte componente storica che affonda, talora, anche su civiltà remote, come quella egizia, egli innesta una accorta, quasi segreta esperienza del presente. Al di là di possibili, tenui e marginali, riferimenti a compagni di strada, egli, esente da retoriche novecentiste, da freddi, accademici citazionismi e da compiacenti arcaismi, volge il prestigio fabrile nell’azione della battitura con il martello a strumento rigoroso di forma con l’intenzione di emozionare la superficie di luce e, come nota Maltese, con il desiderio di concentrarsi sulla “ ricerca di come dissolvere la materia nella luce”.
Alberto Gerardi era nato nel 1889 a Roma dove è morto nel 1965.
Allievo di Duilio Cambellotti, con il quale poi collaborerà nel villino Pallottelli a via Nomentana a Roma, inizia la sua attività espositiva nel 1921 con la Mostra di arte sacra al Palazzo reale di Venezia. Seguiranno, nello stesso anno, la I Biennale Romana e, in seguito, la Biennale Internazionale delle Arti Decorative di Monza (1923, 1925, 1927, 1930), la Triennale di Milano (1933) dove ottiene il gran premio della giuria internazionale, la Quadriennale di Roma (1931, 1935, 1939, 1948, 1951, 1955, 1965), la Biennale di Venezia (1936, 1942, 1948, 1950, 1956).
La sua prima personale è alla Galleria Pesaro di Milano (1923). Esporrà in seguito alla Galleria il Milione di Milano (1949).
Tra le opere su commissione sono da ricordare la Custodia della Sacra Roccia dell’Agonia nella Basilica del Getsemani a Gerusalemme, la Portella d’oro del ciborio del santuario del Divino Amore e il Crocifisso d’argento voluto dal Centro Liturgico Internazionale per donarlo nel 1959 a papa Giovanni XXIII.
16
febbraio 2008
Alberto Gerardi – Opere dal 1919 al 1960
Dal 16 febbraio al 13 aprile 2008
arte contemporanea
Location
MUSEO PERICLE FAZZINI – PALAZZO DEL PERDONO
Assisi, Piazza Giuseppe Garibaldi, 1c, (Perugia)
Assisi, Piazza Giuseppe Garibaldi, 1c, (Perugia)
Biglietti
al Museo e alla mostra: euro 5 – ridotto euro 3
Orario di apertura
10/13 – 16/19 (lunedì chiuso)
Vernissage
16 Febbraio 2008, ore 17
Editore
DE LUCA EDITORI D'ARTE
Ufficio stampa
DE LUCA
Autore
Curatore