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Perdere la testa. Il cappello tra moda e follia
La mostra ricostruisce il legame sottile che da sempre intercorre tra cappello e follia, evidenziando la relazione tra copricapo e testa, tra contenitore e contenuto (il pensiero), che in questo caso spazia dalla follia come malattia alla moda come contagio
Comunicato stampa
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Il Museo del Cappello Borsalino dal 23 Febbraio al 4 Maggio ospita la mostra Perdere la testa. Il cappello tra arte moda e follia, a cura di Elisa Fulco, dedicata all’iconografia del cappello e della moda nella collezione di arte outsider dell’Atelier di Pittura Adriano e Michele di San Colombano al Lambro (MI). L’esposizione, promossa dal Comune di Alessandria e dalla Fondazione Borsalino, è preceduta da un incontro dal carattere multidisciplinare che si terrà il 23 Febbraio alle ore 17.00 negli spazi del Museo. Partendo dalle immagini degli autori dell’Atelier che operano all’interno dell’ospedale psichiatrico del Fatebenefralli, la moda e i suoi possibili sconfinamenti nella patologia saranno oggetto di un indagine che dalla psicanalisi, alla storia dell’arte approda alla sociologia. In particolare ci si soffermerà sul carattere iconico e altamente simbolico del copricapo. Dopo i saluti introduttivi dell’Assessore alla Cultura e Turismo Piercarlo Fabbio e del Presidente della Fondazione interverranno Elisa Fulco, curatrice e storica dell’arte (Fondazione Borsalino); Giovani Foresti, psichiatra e direttore del Fatebenefratelli di San Colombano; Teresa Maranzano, responsabile dell’Atelier Adriano e Michele di San Colombano; Marco Pedroni, sociologo, Modacult, Università Cattolica di Milano.
La mostra Perdere la testa, Il cappello tra moda e follia ricostruisce il legame sottile che da sempre intercorre tra cappello e follia, evidenziando la relazione tra copricapo e testa, tra contenitore e contenuto (il pensiero), che in questo caso spazia dalla follia come malattia alla moda come contagio. Una quarantina di opere realizzate dagli autori dell’Atelier di Pittura Adriano e Michele mostrano attraverso disegni e produzioni pittoriche il ruolo che il copricapo e gli abiti svolgono all’interno del loro e del nostro mondo: un sintomo in grado di svelare la difficile costruzione del sé che oscilla tra desiderio di distinguersi e necessità di omologarsi. Le opere esposte sono di Umberto Bergamaschi, Silvano Balbiani, Giuseppe Bonparola, Curzio Di Giovanni, Patrizia Fatone e Massimo Mano.
Le immagini, in parte ispirate da una originale rilettura dei modelli proposti dalle riviste di moda e dalla pubblicità, rappresentano un’occasione per scoprire un ricco repertorio visivo in cui trovano spazio la rappresentazione figurativa classica, interpretata con particolarissime cromie, l’alterazione /distruzione del soggetto sino alla riduzione della figura umana a tratto sintetico, secondo il linguaggio proprio degli artisti in mostra. L’interesse per la moda dimostrato nel corso degli anni dagli autori dell’Atelier Adriano e Michele evidenzia come il tema abbia un carattere spontaneo che rientra senza forzature nella loro personale ricerca. Un’attenzione che del resto è già documentata nelle prime collezioni psichiatriche della fine dell’Ottocento, come testimonia la collezione Prinzhorn di Heidelberg in cui compaiono abiti e accessori, spesso confezionati dagli stessi pazienti e numerosi schizzi che ritraggono la moda del periodo. Non è quindi casuale che i cosiddetti folli siano attenti al costume e ai cambiamenti, come se l’essere fuori dal mondo passasse anche dalla volontà di rincorrerne le mode e le tendenze per cercare di stare in linea, a passo con i tempi. Le follie della moda, ancora una volta. Una tensione che si trasforma in battaglia nel caso dei pazienti che nell’abito trovano spesso l’ultimo vessillo identitario, espressione di una libertà fisica e mentale sempre più ridotta.
A raccogliere l’eredità della relazione tra cappello e follia è la figura ormai storicizzata del cappellaio matto, resa familiare dal libro di Lewis Carroll Alice nel paese delle meraviglie.
Diventato tale, come leggenda vuole, a causa del mercurio utilizzato per la lavorazione del feltro, un metodo ormai superato di cui a stento si conserva memoria. O ancora la pazzia del cappellaio era il frutto di un apprendistato condotto vagabondando da una città all’altra.
Chi non cammina sulla retta via (il lavoro, la famiglia, la carriera), prima o poi si perde, o piuttosto perde la testa, da cui tutto parte: sia in tema di cappelli che di follia. O piuttosto per l’incapacità di poter sostenere le diverse identità sottese ad ogni cambio di cappello come rivela Gustav Meyrink in Golem. Basta sostituirlo per ritrovarsi in testa il punto di vista dell’altro. Il cappello ricorre inoltre nell’Interpretazione dei Sogni di Freud, come oggetto simbolico che accoglie desideri e patologie. Il Berretto a sonagli di Luigi Pirandello testimonia di come sia sufficiente calzare un berretto per raccontare la verità simulando la follia. Il cappuccio del pazzo da sempre simbolizza la figura del buffone a cui si sa sono concesse tutte le libertà.
Gli artisti, i dandy, i rivoluzionari hanno spesso scelto il cappello per lanciare il loro messaggio: di rottura, di umorismo, di rivolta. Il copricapo da sempre segnala potere,
stato sociale, colore politico, ma anche libertà e volontà di distinguersi. Più di altri accessori rivela gli umori della moda, i suoi eccessi o piuttosto il ritorno all’ordine. Al cappello, proprio per il suo valore iconico e simbolico, è stata da sempre affidata la datazione delle opere d’arte, la comunicazione della moda (la parte per il tutto), i cambi nel costume e nei consumi. Uno storico della Moda agli inizi del Novecento affermava che l’eccessiva estrosità dei cappelli femminili anticipava importanti avvenimenti storici, funzionando ancora una volta come un sintomo.
Le opere in mostra saranno raccolte in un catalogo edito dalle edizioni di
passaggio(www.edizionidipassaggio.it), progetto grafico di Mari Conidi, che ospiterà i testi di Elisa Fulco, Giovani Foresti, Teresa Maranzano, e Marco Pedroni.
L’ATELIER DI PITTURA ADRIANO E MICHELE
Attivo dal gennaio del 1996 all’interno del Centro Fatebenefratelli di San Colombano al Lambro (Mi), è nato dall’incontro tra le esigenze riabilitative di un luogo di cura e la volontà di estendere i confini dell’arte a un territorio abitato dal disagio psichico.
Fondato dal dottore Giovanni Foresti, dal grafico Luciano Ferro, dalla storica dell’arte Bianca Tosatti, e dal pittore Michele Munno, che lo ha condotto fino al 2005, l’Atelier ha visto emergere numerosi talenti le cui opere sono da tempo presenti nelle principali collezioni pubbliche e private di Arte Outsider. Le attività dell’Atelier sono attualmente curate e coordinate dalla storica dell’arte Teresa Maranzano e dall’educatrice Gabriella Vincenti.
Insieme alla Cooperativa Matti per il Lavoro di cui fa parte, l’Atelier di Pittura Adriano e Michele occupa un edificio industriale dove trovano posto un laboratorio di 400 mq, depositi adibiti all’archivio delle opere su carta e su tela, uffici, una biblioteca specializzata che si propone come centro studi, una sala mostre di 350 mq dove è esposta stabilmente la collezione permanente con le opere più rappresentative, il locale per la musicoterapia e un piccolo teatro. Tra gli autori dell’Atelier sono emerse numerose personalità artistiche le cui opere sono regolarmente esposte nel circuito nazionale ed europeo che promuove l’Arte Outsider. Dal 2004, con il ciclo Acrobazie ideato da Elisa Fulco e promosso da UniCredit Group, l’Atelier ha inoltre intrapreso un percorso di dialogo con giovani protagonisti dell’Arte contemporanea italiana: Sandrine Nicoletta, Marcello Maloberti (2006), Sara Rossi (2006 – 2007) e per il 2008 Francesco Simeti, sono stati invitati a collaborare con gli autori del Centro e a produrre nuovi lavori in linea con la propria ricerca. Tra le mostre principali si ricordano: Carlo con Adriano e Michele, Lodi 1997; Figure dell’anima. Arte irregolare in Europa, Pavia, Genova; 1998; Outsider Art in Italia. Arte irregolare nei luoghi della cura, Progetto Itaca onlus, Finarte Semenzato, Milano, 2003; Banditi. Sulle vie dell’Art Brut, mostra fotografica di Mario Del Curto, Brescia, Palazzo Martinengo, 2006; Acrobazie#2 Marcello Maloberti, Atelier Adriano e Michele, 2007; Un’arte senza precedenti. Spazio Milano, UniCredit Group, 2007; Io è un altro, Lucca, Palazzo Ducale, 2007; Acrobazie#3 Sara Rossi, Atelier Adriano e Michele, 2007.
www.atelieradrianoemichele.it
ART BRUT O ARTE OUTSIDER
Il termine Art Brut è stato inventato dall’artista e collezionista Jean Dubuffet nel 1947 per riunire sotto un’unica dizione le svariate creazioni di artisti inconsapevoli, mentalmente o socialmente emarginati, esposte in occasione dell’apertura del Foyer dell’Art Brut di Parigi.
L’artista nel manifesto L’Art Brut préferé aux arts culturels del 1949 ha differenziato l’Art Brut dai campi apparentemente limitrofi (Art Naïf, Arte Primitiva) tracciando una sorta di identikit dell’artista outsider che per essere considerato tale doveva possedere determinate caratteristiche: creare per il piacere della creazione in sé, essere libero da ogni condizionamento culturale e da una qualsiasi ambizione artistica. Il nucleo storico della collezione di Dubuffet è ospitato dal 1976 al Museo dell’Art Brut di Losanna.
Elisa Fulco (Palermo, 1971) è storico dell’arte, lavora come critico d’arte contemporanea, curatore di mostre e consulente per progetti culturali. Dopo la laurea in Lettere Moderne si è specializzata in Storia dell’Arte presso l’Università di Siena.
Da diversi anni collabora con la rivista Flash Art, con Touring Club Editore, Assolombarda e Museimpresa, Associazione Italiana dei Musei e degli Archivi di Impresa, promossa da Assolombarda e Confindustria, Unicredit Group e dal 2007 con la Fondazione Borsalino per la pianificazione delle attività culturali. Nel 2004 ha ideato il format Acrobazie, giunto alla quarta edizione, promosso dal 2006 da UniCredit Group. Tra le principali mostre: Acrobazie#3 Sara Rossi, 2007; Acrobazie#2, Marcello Maloberti, Atelier Adriano e Michele, 2006, San Colombano al Lambro; Banditi. Sulle vie dell’Art Brut, mostra fotografica di Mario Del Curto, Brescia, Palazzo Martinengo, 2006; Acrobazie, Sandrine Nicoletta, 2004, Atelier Adriano e Michele, San Colombano al Lambro; Gabriele Basilico, Palermocittà, Palazzo San Bartolomeo, Palermo; Maria Lai, Scritture, Cantieri Culturali alla Zisa, Palermo.
IL MUSEO DEL CAPPELLO BORSALINO
II Museo del Cappello Borsalino è stato inaugurato nel 2006 per volere del Comune di Alessandria e della Borsalino spa con l’obiettivo di ricostruire la storia del cappello Borsalino e le relazioni tra la città e l’industria del cappello. Ha sede nella vecchia Sala Campioni del Palazzo Borsalino. Utilizzata già negli anni Venti del Novecento per catalogare ed esporre i prototipi, i modelli, i campioni colore creati dalla Borsalino.
Oggi ospita 2000 cappelli, scelti tra i 4000 cappelli d’epoca, esposti negli storici armadi realizzati da Arnaldo Gardella negli anni Venti. L’allestimento propone un percorso circolare e tematico, composto da pannelli illustrativi e da video che raccontano la storia della lavorazione del cappello, la diffusione dei cappellai, l’evoluzione dell’industria del cappello dall’800 ai giorni nostri, lo sviluppo della fabbrica, il mecenatismo, le opere benefiche della famiglia Borsalino e il suo rapporto con la città, nonché le storiche donne lavoratrici (“le borsaline”). L’ultima sezione del percorso presenta la produzione dell’attuale fabbrica Borsalino, tra tradizione e innovazione. È prevista anche una zona per le esposizioni temporanee che ospita iniziative dal taglio trasversale, che spaziano dall’arte contemporanea alla moda, dal costume e al design, proponendo sempre punti di vista originali per rileggere la storia della Borsalino.
L’allestimento museale è stato curato dallo studio Masoero – Tondo Architetti.
La mostra Perdere la testa, Il cappello tra moda e follia ricostruisce il legame sottile che da sempre intercorre tra cappello e follia, evidenziando la relazione tra copricapo e testa, tra contenitore e contenuto (il pensiero), che in questo caso spazia dalla follia come malattia alla moda come contagio. Una quarantina di opere realizzate dagli autori dell’Atelier di Pittura Adriano e Michele mostrano attraverso disegni e produzioni pittoriche il ruolo che il copricapo e gli abiti svolgono all’interno del loro e del nostro mondo: un sintomo in grado di svelare la difficile costruzione del sé che oscilla tra desiderio di distinguersi e necessità di omologarsi. Le opere esposte sono di Umberto Bergamaschi, Silvano Balbiani, Giuseppe Bonparola, Curzio Di Giovanni, Patrizia Fatone e Massimo Mano.
Le immagini, in parte ispirate da una originale rilettura dei modelli proposti dalle riviste di moda e dalla pubblicità, rappresentano un’occasione per scoprire un ricco repertorio visivo in cui trovano spazio la rappresentazione figurativa classica, interpretata con particolarissime cromie, l’alterazione /distruzione del soggetto sino alla riduzione della figura umana a tratto sintetico, secondo il linguaggio proprio degli artisti in mostra. L’interesse per la moda dimostrato nel corso degli anni dagli autori dell’Atelier Adriano e Michele evidenzia come il tema abbia un carattere spontaneo che rientra senza forzature nella loro personale ricerca. Un’attenzione che del resto è già documentata nelle prime collezioni psichiatriche della fine dell’Ottocento, come testimonia la collezione Prinzhorn di Heidelberg in cui compaiono abiti e accessori, spesso confezionati dagli stessi pazienti e numerosi schizzi che ritraggono la moda del periodo. Non è quindi casuale che i cosiddetti folli siano attenti al costume e ai cambiamenti, come se l’essere fuori dal mondo passasse anche dalla volontà di rincorrerne le mode e le tendenze per cercare di stare in linea, a passo con i tempi. Le follie della moda, ancora una volta. Una tensione che si trasforma in battaglia nel caso dei pazienti che nell’abito trovano spesso l’ultimo vessillo identitario, espressione di una libertà fisica e mentale sempre più ridotta.
A raccogliere l’eredità della relazione tra cappello e follia è la figura ormai storicizzata del cappellaio matto, resa familiare dal libro di Lewis Carroll Alice nel paese delle meraviglie.
Diventato tale, come leggenda vuole, a causa del mercurio utilizzato per la lavorazione del feltro, un metodo ormai superato di cui a stento si conserva memoria. O ancora la pazzia del cappellaio era il frutto di un apprendistato condotto vagabondando da una città all’altra.
Chi non cammina sulla retta via (il lavoro, la famiglia, la carriera), prima o poi si perde, o piuttosto perde la testa, da cui tutto parte: sia in tema di cappelli che di follia. O piuttosto per l’incapacità di poter sostenere le diverse identità sottese ad ogni cambio di cappello come rivela Gustav Meyrink in Golem. Basta sostituirlo per ritrovarsi in testa il punto di vista dell’altro. Il cappello ricorre inoltre nell’Interpretazione dei Sogni di Freud, come oggetto simbolico che accoglie desideri e patologie. Il Berretto a sonagli di Luigi Pirandello testimonia di come sia sufficiente calzare un berretto per raccontare la verità simulando la follia. Il cappuccio del pazzo da sempre simbolizza la figura del buffone a cui si sa sono concesse tutte le libertà.
Gli artisti, i dandy, i rivoluzionari hanno spesso scelto il cappello per lanciare il loro messaggio: di rottura, di umorismo, di rivolta. Il copricapo da sempre segnala potere,
stato sociale, colore politico, ma anche libertà e volontà di distinguersi. Più di altri accessori rivela gli umori della moda, i suoi eccessi o piuttosto il ritorno all’ordine. Al cappello, proprio per il suo valore iconico e simbolico, è stata da sempre affidata la datazione delle opere d’arte, la comunicazione della moda (la parte per il tutto), i cambi nel costume e nei consumi. Uno storico della Moda agli inizi del Novecento affermava che l’eccessiva estrosità dei cappelli femminili anticipava importanti avvenimenti storici, funzionando ancora una volta come un sintomo.
Le opere in mostra saranno raccolte in un catalogo edito dalle edizioni di
passaggio(www.edizionidipassaggio.it), progetto grafico di Mari Conidi, che ospiterà i testi di Elisa Fulco, Giovani Foresti, Teresa Maranzano, e Marco Pedroni.
L’ATELIER DI PITTURA ADRIANO E MICHELE
Attivo dal gennaio del 1996 all’interno del Centro Fatebenefratelli di San Colombano al Lambro (Mi), è nato dall’incontro tra le esigenze riabilitative di un luogo di cura e la volontà di estendere i confini dell’arte a un territorio abitato dal disagio psichico.
Fondato dal dottore Giovanni Foresti, dal grafico Luciano Ferro, dalla storica dell’arte Bianca Tosatti, e dal pittore Michele Munno, che lo ha condotto fino al 2005, l’Atelier ha visto emergere numerosi talenti le cui opere sono da tempo presenti nelle principali collezioni pubbliche e private di Arte Outsider. Le attività dell’Atelier sono attualmente curate e coordinate dalla storica dell’arte Teresa Maranzano e dall’educatrice Gabriella Vincenti.
Insieme alla Cooperativa Matti per il Lavoro di cui fa parte, l’Atelier di Pittura Adriano e Michele occupa un edificio industriale dove trovano posto un laboratorio di 400 mq, depositi adibiti all’archivio delle opere su carta e su tela, uffici, una biblioteca specializzata che si propone come centro studi, una sala mostre di 350 mq dove è esposta stabilmente la collezione permanente con le opere più rappresentative, il locale per la musicoterapia e un piccolo teatro. Tra gli autori dell’Atelier sono emerse numerose personalità artistiche le cui opere sono regolarmente esposte nel circuito nazionale ed europeo che promuove l’Arte Outsider. Dal 2004, con il ciclo Acrobazie ideato da Elisa Fulco e promosso da UniCredit Group, l’Atelier ha inoltre intrapreso un percorso di dialogo con giovani protagonisti dell’Arte contemporanea italiana: Sandrine Nicoletta, Marcello Maloberti (2006), Sara Rossi (2006 – 2007) e per il 2008 Francesco Simeti, sono stati invitati a collaborare con gli autori del Centro e a produrre nuovi lavori in linea con la propria ricerca. Tra le mostre principali si ricordano: Carlo con Adriano e Michele, Lodi 1997; Figure dell’anima. Arte irregolare in Europa, Pavia, Genova; 1998; Outsider Art in Italia. Arte irregolare nei luoghi della cura, Progetto Itaca onlus, Finarte Semenzato, Milano, 2003; Banditi. Sulle vie dell’Art Brut, mostra fotografica di Mario Del Curto, Brescia, Palazzo Martinengo, 2006; Acrobazie#2 Marcello Maloberti, Atelier Adriano e Michele, 2007; Un’arte senza precedenti. Spazio Milano, UniCredit Group, 2007; Io è un altro, Lucca, Palazzo Ducale, 2007; Acrobazie#3 Sara Rossi, Atelier Adriano e Michele, 2007.
www.atelieradrianoemichele.it
ART BRUT O ARTE OUTSIDER
Il termine Art Brut è stato inventato dall’artista e collezionista Jean Dubuffet nel 1947 per riunire sotto un’unica dizione le svariate creazioni di artisti inconsapevoli, mentalmente o socialmente emarginati, esposte in occasione dell’apertura del Foyer dell’Art Brut di Parigi.
L’artista nel manifesto L’Art Brut préferé aux arts culturels del 1949 ha differenziato l’Art Brut dai campi apparentemente limitrofi (Art Naïf, Arte Primitiva) tracciando una sorta di identikit dell’artista outsider che per essere considerato tale doveva possedere determinate caratteristiche: creare per il piacere della creazione in sé, essere libero da ogni condizionamento culturale e da una qualsiasi ambizione artistica. Il nucleo storico della collezione di Dubuffet è ospitato dal 1976 al Museo dell’Art Brut di Losanna.
Elisa Fulco (Palermo, 1971) è storico dell’arte, lavora come critico d’arte contemporanea, curatore di mostre e consulente per progetti culturali. Dopo la laurea in Lettere Moderne si è specializzata in Storia dell’Arte presso l’Università di Siena.
Da diversi anni collabora con la rivista Flash Art, con Touring Club Editore, Assolombarda e Museimpresa, Associazione Italiana dei Musei e degli Archivi di Impresa, promossa da Assolombarda e Confindustria, Unicredit Group e dal 2007 con la Fondazione Borsalino per la pianificazione delle attività culturali. Nel 2004 ha ideato il format Acrobazie, giunto alla quarta edizione, promosso dal 2006 da UniCredit Group. Tra le principali mostre: Acrobazie#3 Sara Rossi, 2007; Acrobazie#2, Marcello Maloberti, Atelier Adriano e Michele, 2006, San Colombano al Lambro; Banditi. Sulle vie dell’Art Brut, mostra fotografica di Mario Del Curto, Brescia, Palazzo Martinengo, 2006; Acrobazie, Sandrine Nicoletta, 2004, Atelier Adriano e Michele, San Colombano al Lambro; Gabriele Basilico, Palermocittà, Palazzo San Bartolomeo, Palermo; Maria Lai, Scritture, Cantieri Culturali alla Zisa, Palermo.
IL MUSEO DEL CAPPELLO BORSALINO
II Museo del Cappello Borsalino è stato inaugurato nel 2006 per volere del Comune di Alessandria e della Borsalino spa con l’obiettivo di ricostruire la storia del cappello Borsalino e le relazioni tra la città e l’industria del cappello. Ha sede nella vecchia Sala Campioni del Palazzo Borsalino. Utilizzata già negli anni Venti del Novecento per catalogare ed esporre i prototipi, i modelli, i campioni colore creati dalla Borsalino.
Oggi ospita 2000 cappelli, scelti tra i 4000 cappelli d’epoca, esposti negli storici armadi realizzati da Arnaldo Gardella negli anni Venti. L’allestimento propone un percorso circolare e tematico, composto da pannelli illustrativi e da video che raccontano la storia della lavorazione del cappello, la diffusione dei cappellai, l’evoluzione dell’industria del cappello dall’800 ai giorni nostri, lo sviluppo della fabbrica, il mecenatismo, le opere benefiche della famiglia Borsalino e il suo rapporto con la città, nonché le storiche donne lavoratrici (“le borsaline”). L’ultima sezione del percorso presenta la produzione dell’attuale fabbrica Borsalino, tra tradizione e innovazione. È prevista anche una zona per le esposizioni temporanee che ospita iniziative dal taglio trasversale, che spaziano dall’arte contemporanea alla moda, dal costume e al design, proponendo sempre punti di vista originali per rileggere la storia della Borsalino.
L’allestimento museale è stato curato dallo studio Masoero – Tondo Architetti.
23
febbraio 2008
Perdere la testa. Il cappello tra moda e follia
Dal 23 febbraio al 04 maggio 2008
arte contemporanea
Location
MUSEO DEL CAPPELLO BORSALINO
Alessandria, Via Camillo Benso Conte Di Cavour, 84, (Alessandria)
Alessandria, Via Camillo Benso Conte Di Cavour, 84, (Alessandria)
Orario di apertura
merc. ven. sab. dom. dalle 16.00 alle 19.00
Vernissage
23 Febbraio 2008, ore 18
Editore
EDIZIONI DI PASSAGGIO
Autore
Curatore