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Umberto Canfora
Umberto Canfora e la sua pittura sono parti di un processo in fieri e momento di specchiamento dell’esistere delle cose entro se stesse, secondo un ordinamento che non è eteronomo, ma intrinseco e progressivamente autopromosso.
Comunicato stampa
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MATERICO SI’, MA CON ORDINE
Per una lettura dell’opera di Umberto Canfora
di Rosario Pinto
Una sorta di malintesa prospettiva d’approccio all’informale vorrebbe consigliare un accostamento a tale specifico orientamento stilistico considerando ‘pregiudizialmente’ che l’opzione ‘gestuale’ debba comportare ipso facto la rinuncia a qualsiasi possibilità di governo della materia determinando, in tal modo, la praticabilità, senza ulteriore delibazione critica, dell’equazione ‘informale = aformale’, dalla quale discende l’aporia semantica dell’informale inteso come sinonimo di creatività casuale.
Sul piano epistemologico appare consigliabile la prospettiva cautelativa di una valutazione della casualità come condizione entro la quale si esplica la dimensione relativa e transeunte dell’esistere, al riparo da ogni intervento demiurgico o provvidenziale. Su tale tema, comunque, che è motivo di riflessione profonda, in cui le ragioni estetiche si saldano, nel segno dell’interpretazione delle cose, col tema stesso della riflessione della loro giustificazione, ponendo anche l’istanza della relazione tra casualità e determinismo, ci riserviamo di ritornare per uno studio più ampio e dilatato, osservando il problema sub specie aesthetica.
Potrà essere utile, intanto, individuare nelle scaturigini stesse dell’opzione informale una linea d’intervento e d’azione che rifiuta, evidentemente, una lettura meramente ‘anarchica’ del gesto.
Poste queste premesse, osserviamo d’abbrivio che ci pare di potere additare quanto suggerisce la pittura di Umberto Canfora come un gradiente di grande spessore per accostarci ad una osservazione dell’informale stesso che rifiuti la praticabilità dell’equazione suddetta ‘informale-aformale’ dimostrando l’inconsistenza epistemologica d’una lettura della processualità casuale entro cui si pretenda che ‘un’ intervento ordinatore esterno allinei senza flessioni l’essere ed il dover essere delle cose secondo una linea aprioristica in virtù della quale il reale non può che essere razionale, imponendo il reciproco della realtà del razionale.
Le tragedie storiche scaturite da questi assunti sono sotto gli occhi di tutti e i secoli dell’Ottocento e del Novecento, figli del peggiore hegelismo, testimoniano quanto gravoso sia stato il carico delle violenze e dei soprusi commessi nel nome d’una razionalità di cui, evidentemente, ben altre istanze avevano distorto il senso e le dinamiche processuali.
Il tema della razionalità delle cose è di più ampio spessore ed impone, peraltro, che ci si interroghi sulla legittimità stessa della proponibilità dell’assunto.
Il primo dato che si propone alla nostra attenzione è proprio quello che ci giunge dall’osservazione della natura, all’interno della quale, ad esempio, la dimensione frattale sembrerebbe suggerire la possibilità d’una scansione ordinatrice che presiede ciò che appare il libero darsi delle cose. Quale è, insomma, il rapporto tra le cose ed il loro darsi organico? E’ la razionalità che precede ed informa il processo, come suggeriscono le prospettive aprioristiche o non è, piuttosto, la mente umana che, conoscendo, ordina?
Non ci sfugge che dietro questa nostra prospettiva s’annida un intento ben netto e dichiarato: quello di allontanarsi dalla possibilità di considerare all’interno delle cose una prospettiva d’entelechia che presieda metafisicamente il progetto dell’universo, fondandone le ragioni logiche ed ontologiche, proponendosene come scaturigine e, peggio ancora, come fine. Se così fosse, saremmo letteralmente perduti ed avrebbero ragione quanti predicano una ‘eterogenesi dei fini’ e, in sostanza, una dimensione transitoria e diminuita della mente umana, resa creatura e sottomessa, quindi, ad un revelatum imperscrutabile e misterico.
La pittura di Umberto Canfora ci dispone ad osservare un’altra sintesi di pensiero: la materia che si dà ‘autonomamente’ il suo ordine o, almeno, quello che a noi appare tale e che costituisce l’ordito sistematico (e non sistemico) entro il quale, ‘provvisoriamente’ enunciamo le formule asseverative d’una verità che non smette mai – filia temporis – di relativizzarsi nel suo darsi in attualità percorribile e mai assoluta.
Il dato sostanziale, insomma, che suggerisce la pittura di Umberto Canfora, che è un artista di rara sensibilità filosofica, nutrito di studi profondissimi ed intensi, è quello di muovere alla ricerca d’un bandolo della matassa, disponendosi, con il profilo del paziente ricercatore, a saldare i pezzi d’un processo più ampio e diffuso, all’interno del quale si dà certamente un reticolo – che allude al sistema delle referenzialità ortogonali – ma non per questo si dà anche una dimensione dell’assoluto entro cui pretendere proditoriamente di asseverare e giudicare.
In tempi in cui la ragione rischia d’essere umiliata ed asservita, la pittura di Umberto Canfora, lungi dal proporsi nei termini anch’essa d’una lectio magistralis, sia pure d’altro segno rispetto ad altre diffuse ed amplificate, induce ad osservare, con la pacatezza e la sensibilità dell’onestà creativa dell’artista, la dimensione complessa ed articolata dell’esistente, considerandone le possibilità ordinative della mente e la resistenza che la natura offre nel suo rifiuto d’accettazione d’ogni forma di costrizione aliena e nell’affermazione della sua processualità juxta propria principia ed al riparo da ogni slittamento metafisico.
Umberto Canfora e la sua pittura sono all’interno di queste cose, parti di un processo in fieri e momento di specchiamento dell’esistere delle cose entro se stesse, secondo un ordinamento che non è eteronomo, ma intrinseco e progressivamente autopromosso.
Per una lettura dell’opera di Umberto Canfora
di Rosario Pinto
Una sorta di malintesa prospettiva d’approccio all’informale vorrebbe consigliare un accostamento a tale specifico orientamento stilistico considerando ‘pregiudizialmente’ che l’opzione ‘gestuale’ debba comportare ipso facto la rinuncia a qualsiasi possibilità di governo della materia determinando, in tal modo, la praticabilità, senza ulteriore delibazione critica, dell’equazione ‘informale = aformale’, dalla quale discende l’aporia semantica dell’informale inteso come sinonimo di creatività casuale.
Sul piano epistemologico appare consigliabile la prospettiva cautelativa di una valutazione della casualità come condizione entro la quale si esplica la dimensione relativa e transeunte dell’esistere, al riparo da ogni intervento demiurgico o provvidenziale. Su tale tema, comunque, che è motivo di riflessione profonda, in cui le ragioni estetiche si saldano, nel segno dell’interpretazione delle cose, col tema stesso della riflessione della loro giustificazione, ponendo anche l’istanza della relazione tra casualità e determinismo, ci riserviamo di ritornare per uno studio più ampio e dilatato, osservando il problema sub specie aesthetica.
Potrà essere utile, intanto, individuare nelle scaturigini stesse dell’opzione informale una linea d’intervento e d’azione che rifiuta, evidentemente, una lettura meramente ‘anarchica’ del gesto.
Poste queste premesse, osserviamo d’abbrivio che ci pare di potere additare quanto suggerisce la pittura di Umberto Canfora come un gradiente di grande spessore per accostarci ad una osservazione dell’informale stesso che rifiuti la praticabilità dell’equazione suddetta ‘informale-aformale’ dimostrando l’inconsistenza epistemologica d’una lettura della processualità casuale entro cui si pretenda che ‘un’ intervento ordinatore esterno allinei senza flessioni l’essere ed il dover essere delle cose secondo una linea aprioristica in virtù della quale il reale non può che essere razionale, imponendo il reciproco della realtà del razionale.
Le tragedie storiche scaturite da questi assunti sono sotto gli occhi di tutti e i secoli dell’Ottocento e del Novecento, figli del peggiore hegelismo, testimoniano quanto gravoso sia stato il carico delle violenze e dei soprusi commessi nel nome d’una razionalità di cui, evidentemente, ben altre istanze avevano distorto il senso e le dinamiche processuali.
Il tema della razionalità delle cose è di più ampio spessore ed impone, peraltro, che ci si interroghi sulla legittimità stessa della proponibilità dell’assunto.
Il primo dato che si propone alla nostra attenzione è proprio quello che ci giunge dall’osservazione della natura, all’interno della quale, ad esempio, la dimensione frattale sembrerebbe suggerire la possibilità d’una scansione ordinatrice che presiede ciò che appare il libero darsi delle cose. Quale è, insomma, il rapporto tra le cose ed il loro darsi organico? E’ la razionalità che precede ed informa il processo, come suggeriscono le prospettive aprioristiche o non è, piuttosto, la mente umana che, conoscendo, ordina?
Non ci sfugge che dietro questa nostra prospettiva s’annida un intento ben netto e dichiarato: quello di allontanarsi dalla possibilità di considerare all’interno delle cose una prospettiva d’entelechia che presieda metafisicamente il progetto dell’universo, fondandone le ragioni logiche ed ontologiche, proponendosene come scaturigine e, peggio ancora, come fine. Se così fosse, saremmo letteralmente perduti ed avrebbero ragione quanti predicano una ‘eterogenesi dei fini’ e, in sostanza, una dimensione transitoria e diminuita della mente umana, resa creatura e sottomessa, quindi, ad un revelatum imperscrutabile e misterico.
La pittura di Umberto Canfora ci dispone ad osservare un’altra sintesi di pensiero: la materia che si dà ‘autonomamente’ il suo ordine o, almeno, quello che a noi appare tale e che costituisce l’ordito sistematico (e non sistemico) entro il quale, ‘provvisoriamente’ enunciamo le formule asseverative d’una verità che non smette mai – filia temporis – di relativizzarsi nel suo darsi in attualità percorribile e mai assoluta.
Il dato sostanziale, insomma, che suggerisce la pittura di Umberto Canfora, che è un artista di rara sensibilità filosofica, nutrito di studi profondissimi ed intensi, è quello di muovere alla ricerca d’un bandolo della matassa, disponendosi, con il profilo del paziente ricercatore, a saldare i pezzi d’un processo più ampio e diffuso, all’interno del quale si dà certamente un reticolo – che allude al sistema delle referenzialità ortogonali – ma non per questo si dà anche una dimensione dell’assoluto entro cui pretendere proditoriamente di asseverare e giudicare.
In tempi in cui la ragione rischia d’essere umiliata ed asservita, la pittura di Umberto Canfora, lungi dal proporsi nei termini anch’essa d’una lectio magistralis, sia pure d’altro segno rispetto ad altre diffuse ed amplificate, induce ad osservare, con la pacatezza e la sensibilità dell’onestà creativa dell’artista, la dimensione complessa ed articolata dell’esistente, considerandone le possibilità ordinative della mente e la resistenza che la natura offre nel suo rifiuto d’accettazione d’ogni forma di costrizione aliena e nell’affermazione della sua processualità juxta propria principia ed al riparo da ogni slittamento metafisico.
Umberto Canfora e la sua pittura sono all’interno di queste cose, parti di un processo in fieri e momento di specchiamento dell’esistere delle cose entro se stesse, secondo un ordinamento che non è eteronomo, ma intrinseco e progressivamente autopromosso.
12
febbraio 2008
Umberto Canfora
Dal 12 febbraio all'otto marzo 2008
arte contemporanea
Location
MUSEO MINIMO
Napoli, Via Detta San Vincenzo, 3, (Napoli)
Napoli, Via Detta San Vincenzo, 3, (Napoli)
Orario di apertura
Lunedì e Mercoledì 16.00/19.00; Lunedì e Mercoledì 16.00/19.00 o su appuntamento
Vernissage
12 Febbraio 2008, ore 18
Autore
Curatore