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L’opera d’arte come merce qualunque
curatori
Le opere finiscono in alcuni negozi e in galleria arrivano le merci che l'artista ha scelto tra quelle esposte nel negozio dove si trova il suo lavoro. Con la mostra "Teoria del valore", Giorgio Galotti, direttore della galleria CO2 di Roma, propone una riflessione sull'opera d'arte come merce di scambio
Quanti di noi si sono trovati più di una volta ad osservare lungamente un’opera di arte contemporanea senza percepirne il processo artistico dell’autore? Se poi a quella stessa opera è attribuito un valore di mercato strettamente connesso al mercato dell’artista che l’ha concepita, l’interesse che suscita si intensifica ulteriormente.
Questo progetto intende partire da questo principio: quando un oggetto può essere elevato a opera d’arte e quanto un’opera d’arte può svanire se posta fuori dal suo contesto espositivo, in questo caso i “luoghi estranei” sono dei negozi.
Abbiamo coinvolto sette artisti scelti in base alle loro peculiarità creative, li abbiamo messi in relazione con i sette esercizi commerciali selezionati per questa mostra e abbiamo chiesto loro di pensare a un’opera d’arte che potesse essere in linea con la tipologia di negozio al quale erano abbinati.
Gli esercizi commerciali coinvolti possono essere svelati solo mediante una mappa che può essere acquistata a un prezzo commerciale nonostante si tratti di una mappa a tiratura limitata fatta da un artista, Marco Morici.
Nell’elaborare questa mostra abbiamo pensato di recuperare la “Teoria del valore” di Karl Marx, su cui Gianni Garrera ha lavorato per costruire un testo/opera composto da estratti de “Il Capitale”. Ecco come spiega Garrera l’operazione: «Si tratta di una funambolica sintesi da Marx, da cui risulta una visione spettrale dell’idea di valore: nel capitalismo non esistono i valori, esistono solo i prezzi, e il misticismo dei prezzi esaurisce tutto l’arcano della merce e del suo valore. Anche l’opera d’arte segue il destino della merce e la demagogia della sensibilità. La mostra tenta di mettere alla prova il sogno della forma della merce attraverso la sparizione effettiva dell’opera d’arte, mimetizzata tra prodotti commerciali e sostituita da merci comuni, a loro volta musealizzate in galleria. Il disagio dell’opera d’arte e l’invidia della merce per la produttività intellettuale devono far sperimentare se il divario tra prodotto estetico e commerciale si risolva con lo scambio tra loro, attraverso la parodia soprannaturale della merce».
Ci tengo a riportare le posizioni di altri artisti che partecipano al progetto.
Ettore Favini: «Quando Giorgio mi ha invitato alla mostra mi ha subito intrigato il legame esplicito con la teoria marxiana, del rapporto utilità/surplus. Inoltre il concetto di mostra è inaspettato, sicuramente uno scatto alle dinamiche classiche di galleria. Ho pensato così di scegliere un oggetto che fosse, se possibile, più “surplus” dell’opera d’arte».
Gianni Politi: «Penso che il discorso sulla ricollocazione del valore delle opere d’arte sia il nodo da sciogliere oggi. Oramai l’opera è pura operazione situazionista e spogliarla della prestigiosa veste del museo o della galleria probabilmente è l’unico modo di farla vedere per quello che è realmente».
Stanislao Di Giugno: «Marx parlava di un ordine economico in cui le persone comuni si assumono tutti i rischi e la finanza tutti i benefici. Credo che questo processo creativo renda ancora molto attuale questo principio».
Questa operazione di baratto o di scambio opera d’arte- merci, non è una novità: esperienze simili sono già state fatte all’inizio del secolo scorso dal politicizzato e agguerrito collettivo dadaista berlinese che barattava al pubblico finte opere d’arte con oggetti acquistati in negozi.
Nel caso di questa mostra: “L’opera d’arte come merce qualunque” – tanto il trasferimento di un opera d’arte nel negozio che la merce del negozio in galleria, entrambi si pongono sullo stesso piano di merci di scambio.
Diciamo, che sia l’opera d’arte che l’oggetto d’uso comune fanno parte di una totalità commerciale compiuta: l’opera d’arte diventa merce e non “tollera” la presenza di un qualsiasi valore intrinseco di idealità che è parte della categoria artistica.
In questo senso la mostra è un esercizio inutile perchè rimanda all’operazione che l’ha produce, senza risolvere la contraddizione che l’ha prodotta, cioè: l’autocoscienza artistica che pur ponendosi come totalità autonoma, non riesce ad esplicare il contenuto dell’opera d’arte che si oppone alla sua mercificazione: tra significato ed economia.
Sull’argomento potete consultare “Arte e Motocicletta”, un ironico approccio sul valore dell’arte. Lo trovate su http://www.ilmiolibro.it
Ciao
sono architetto e pittore,sono interessato all’argomento “l’opera d’arte come merce qualunque” TROVO l’argomento interessante,approfitto di questa bacheca per allargare il giro,aspetto proposte e suggerimenti.
cordialità
esercito la professione di architetto e di pittore da 35 anni,vorrei dare il mio contributo a questa inziativa veramente interessante.
Cordialità