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Miró: la terra
Una mostra ampia, articolata, destinata a ripercorrere l’intera parabola creativa dell’artista catalano. Prima esposizione internazionale ad indagare, in modo sistematico, il legame dell’artista con la terra nello sviluppo del suo immaginario e della sua arte.
Comunicato stampa
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E’ un Mirò che non mancherà di stupire quello che Palazzo dei Diamanti proporrà in apertura della propria stagione espositiva 2008. Dal 17 febbraio al 25 maggio, i Diamanti accoglieranno una mostra ampia, articolata, destinata a ripercorrere l’intera parabola creativa dell’artista catalano, offrendo così l’occasione di riscoprire il ruolo che egli ha avuto nello sviluppo di importanti correnti del Novecento e gettando nuova luce su aspetti della sua ricerca sinora trascurati.
Mirò: la terra, organizzata da Ferrara Arte e dal Museo Thyssen-Bornemisza di Madrid, è la prima esposizione internazionale ad indagare, in modo sistematico, il legame dell’artista con la terra nello sviluppo del suo immaginario e della sua arte. Miró è interessato al tema della terra nelle sue più ampie accezioni e simbologie e coltiva una serie di ricerche centrali nella sua produzione artistica come, ad esempio, quelle sulla raffigurazione del mondo rurale e contadino, sui temi della sessualità e della fertilità, sul culto delle origini, sulla metamorfosi e l’aldilà, sull’eterno susseguirsi di vita e morte e sull’esaltazione della materia e dei materiali che compongono l’opera.
La mostra, a cura di Tomàs Llorens, esplora l’affascinante intrecciarsi di questi motivi nell’opera dell’artista e ne offre inedite chiavi di lettura. A tal fine è stata riunita un’ampia selezione di opere – dipinti, sculture, collage, assemblaggi, disegni, litografie – provenienti dalle più prestigiose collezioni pubbliche e private del mondo, che permette di seguire la carriera di Miró dagli esordi agli ultimi anni trascorsi nella casa-atelier di Palma di Maiorca.
Ad aprire il percorso di mostra sono le opere realizzate tra il 1918 e il 1921 a Montroig – località del sud della Catalogna dove la famiglia Miró aveva una residenza – che testimoniano la rivelazione del mondo rurale. Dai paesaggi di questi anni, inconfondibili nel loro stile per l’esecuzione lenta e minuziosa dei dettagli, traspare quell’interesse dichiarato dall’artista per «la calligrafia d’un albero o delle tegole di un tetto, foglia per foglia, ramo per ramo, filo d’erba per filo d’erba». La prima sezione si chiude con un’opera emblematica e un punto d’arrivo di questa fase iniziale di ricerca, La contadina del Centre Pompidou di Parigi, dove la stilizzazione dei particolari dona alla scena un carattere irreale.
Con il trasferimento a Parigi ed il fecondo incontro con l’ambiente dell’avanguardia francese, Miró dà vita ad una nuova tipologia di dipinti, nei quali il paesaggio rurale si trasfigura in esperienza vissuta, restituita attraverso la forza evocativa della memoria e della dimensione onirica. Nel capolavoro assoluto di questa fase, il Paesaggio catalano (Il cacciatore) (1923-24) del MoMA di New York, l’elemento terrestre perde la concretezza tipica delle opere precedenti per diventare uno spazio per così dire “mitico”, abitato da figure archetipiche. In seguito, la ricerca delle origini e il ruolo della memoria – amplificato dall’esperienza condotta a fianco dei surrealisti – conducono il maestro catalano alla creazione di paesaggi di grande formato nei quali prende forma un personale mito della genesi: tra di essi spicca uno dei prestiti più rilevanti di questa mostra, il Paesaggio (La lepre) del Solomon Guggenheim Museum di New York.
Il nucleo centrale della rassegna è dedicato ad alcune importantissime sequenze di opere degli anni 1929-36: esse rivelano la portata rivoluzionaria della sperimentazione condotta dall’artista in questa fase, che investe forme, temi, tecniche, materiali e supporti, e che costituisce una premessa fondamentale alla multiforme produzione del secondo dopoguerra.
I collages, gli assemblaggi e le opere tridimensionali con i quali Miró si cimenta tra il 1929 e il 1931 – come Oggetto del MOMA di New York – sono l’esito di una profonda riflessione sulle componenti dell’opera d’arte. Il motivo della terra risveglia infatti nell’artista un nuovo interesse per i materiali, scelti ed associati con assoluta libertà e raffinata ironia, che divengono componenti fondamentali del suo lessico, lasciando in secondo piano la pittura.
Nella successiva serie di opere degli anni 1934-36, ispirate al tema della fertilità e al mito di Plutone, signore del regno sotterraneo degli Inferi, l’indagine dell’artista è invece focalizzata sull’elaborazione di nuove soluzioni pittoriche. Miró lavora su supporti inusuali, come le lastre di rame, e utilizza una gamma cromatica accesissima, raggiungendo esiti di straordinaria brillantezza ed espressività.
Un posto di rilievo è poi riservato alla serie di dipinti su masonite realizzati durante il soggiorno a Montroig nell’estate del 1936, originalissimo traguardo di questa stagione di intensa sperimentazione tecnica e di ricerca sui materiali estranei alla pittura. Come evidenzia il Dipinto proveniente dal Museo Thyssen-Bornemisza, l’artista aggredisce la superficie bruna del supporto con materiali grezzi, che vanno dai bianchi e rossi ad olio al catrame e alla sabbia, lasciandone ampie porzioni scoperte.
Nel periodo che segue lo scoppio del secondo conflitto mondiale Miró fa ritorno alla sua terra. Le opere di questi anni cupi si contraddistinguono per la presenza di figure, spesso alate, che sembrano evocare le Eumenidi, le “antiche dee” di Eschilo malinconiche e ostili.
Un’importante sequenza di prestiti internazionali – tra i quali la Donna della Fondazione Joan Miró di Barcellona e il Dipinto del Van Abbemuseum di Eindhoven – documenta la produzione polimorfica e polimaterica degli anni Cinquanta. In questa fase il lavoro di Miró torna a orientarsi, con rinnovata audacia e forza espressiva, verso l’esaltazione della materia e dei materiali che compongono l’opera, dando vita a soluzioni formali inedite che lo pongono in diretto rapporto con la generazione dell’Informale.
A chiudere il percorso di mostra sono i lavori realizzati, a partire dal 1956, nel nuovo atelier di Palma di Maiorca, che testimoniano un’ulteriore evoluzione nell’arte di Miró. Egli adotta frequentemente il formato monumentale e s’innamora di nuovi materiali, come i tessuti, con i quali sperimenta originali procedimenti operativi con risultati sorprendenti. Ne fanno fede il Personaggio armato di lancia e di scudo, realizzato in legno e lana, proveniente dalla Fundaciò Pilar i Joan Miró di Palma di Maiorca o il Sobreteixim 16, collezionato dalla Galleria Maeght di Parigi, una sorta di arazzo primitivo, sul quale brulica una foresta di segni e di elementi eterogenei dai colori violentissimi. Sono opere straordinarie, vere e proprie riflessioni figurative, ironiche e drammatiche ad un tempo, che il maestro, ormai anziano, conduce sul tema del ciclo della vita e dell’eterno trasformarsi della materia.
Mirò: la terra, organizzata da Ferrara Arte e dal Museo Thyssen-Bornemisza di Madrid, è la prima esposizione internazionale ad indagare, in modo sistematico, il legame dell’artista con la terra nello sviluppo del suo immaginario e della sua arte. Miró è interessato al tema della terra nelle sue più ampie accezioni e simbologie e coltiva una serie di ricerche centrali nella sua produzione artistica come, ad esempio, quelle sulla raffigurazione del mondo rurale e contadino, sui temi della sessualità e della fertilità, sul culto delle origini, sulla metamorfosi e l’aldilà, sull’eterno susseguirsi di vita e morte e sull’esaltazione della materia e dei materiali che compongono l’opera.
La mostra, a cura di Tomàs Llorens, esplora l’affascinante intrecciarsi di questi motivi nell’opera dell’artista e ne offre inedite chiavi di lettura. A tal fine è stata riunita un’ampia selezione di opere – dipinti, sculture, collage, assemblaggi, disegni, litografie – provenienti dalle più prestigiose collezioni pubbliche e private del mondo, che permette di seguire la carriera di Miró dagli esordi agli ultimi anni trascorsi nella casa-atelier di Palma di Maiorca.
Ad aprire il percorso di mostra sono le opere realizzate tra il 1918 e il 1921 a Montroig – località del sud della Catalogna dove la famiglia Miró aveva una residenza – che testimoniano la rivelazione del mondo rurale. Dai paesaggi di questi anni, inconfondibili nel loro stile per l’esecuzione lenta e minuziosa dei dettagli, traspare quell’interesse dichiarato dall’artista per «la calligrafia d’un albero o delle tegole di un tetto, foglia per foglia, ramo per ramo, filo d’erba per filo d’erba». La prima sezione si chiude con un’opera emblematica e un punto d’arrivo di questa fase iniziale di ricerca, La contadina del Centre Pompidou di Parigi, dove la stilizzazione dei particolari dona alla scena un carattere irreale.
Con il trasferimento a Parigi ed il fecondo incontro con l’ambiente dell’avanguardia francese, Miró dà vita ad una nuova tipologia di dipinti, nei quali il paesaggio rurale si trasfigura in esperienza vissuta, restituita attraverso la forza evocativa della memoria e della dimensione onirica. Nel capolavoro assoluto di questa fase, il Paesaggio catalano (Il cacciatore) (1923-24) del MoMA di New York, l’elemento terrestre perde la concretezza tipica delle opere precedenti per diventare uno spazio per così dire “mitico”, abitato da figure archetipiche. In seguito, la ricerca delle origini e il ruolo della memoria – amplificato dall’esperienza condotta a fianco dei surrealisti – conducono il maestro catalano alla creazione di paesaggi di grande formato nei quali prende forma un personale mito della genesi: tra di essi spicca uno dei prestiti più rilevanti di questa mostra, il Paesaggio (La lepre) del Solomon Guggenheim Museum di New York.
Il nucleo centrale della rassegna è dedicato ad alcune importantissime sequenze di opere degli anni 1929-36: esse rivelano la portata rivoluzionaria della sperimentazione condotta dall’artista in questa fase, che investe forme, temi, tecniche, materiali e supporti, e che costituisce una premessa fondamentale alla multiforme produzione del secondo dopoguerra.
I collages, gli assemblaggi e le opere tridimensionali con i quali Miró si cimenta tra il 1929 e il 1931 – come Oggetto del MOMA di New York – sono l’esito di una profonda riflessione sulle componenti dell’opera d’arte. Il motivo della terra risveglia infatti nell’artista un nuovo interesse per i materiali, scelti ed associati con assoluta libertà e raffinata ironia, che divengono componenti fondamentali del suo lessico, lasciando in secondo piano la pittura.
Nella successiva serie di opere degli anni 1934-36, ispirate al tema della fertilità e al mito di Plutone, signore del regno sotterraneo degli Inferi, l’indagine dell’artista è invece focalizzata sull’elaborazione di nuove soluzioni pittoriche. Miró lavora su supporti inusuali, come le lastre di rame, e utilizza una gamma cromatica accesissima, raggiungendo esiti di straordinaria brillantezza ed espressività.
Un posto di rilievo è poi riservato alla serie di dipinti su masonite realizzati durante il soggiorno a Montroig nell’estate del 1936, originalissimo traguardo di questa stagione di intensa sperimentazione tecnica e di ricerca sui materiali estranei alla pittura. Come evidenzia il Dipinto proveniente dal Museo Thyssen-Bornemisza, l’artista aggredisce la superficie bruna del supporto con materiali grezzi, che vanno dai bianchi e rossi ad olio al catrame e alla sabbia, lasciandone ampie porzioni scoperte.
Nel periodo che segue lo scoppio del secondo conflitto mondiale Miró fa ritorno alla sua terra. Le opere di questi anni cupi si contraddistinguono per la presenza di figure, spesso alate, che sembrano evocare le Eumenidi, le “antiche dee” di Eschilo malinconiche e ostili.
Un’importante sequenza di prestiti internazionali – tra i quali la Donna della Fondazione Joan Miró di Barcellona e il Dipinto del Van Abbemuseum di Eindhoven – documenta la produzione polimorfica e polimaterica degli anni Cinquanta. In questa fase il lavoro di Miró torna a orientarsi, con rinnovata audacia e forza espressiva, verso l’esaltazione della materia e dei materiali che compongono l’opera, dando vita a soluzioni formali inedite che lo pongono in diretto rapporto con la generazione dell’Informale.
A chiudere il percorso di mostra sono i lavori realizzati, a partire dal 1956, nel nuovo atelier di Palma di Maiorca, che testimoniano un’ulteriore evoluzione nell’arte di Miró. Egli adotta frequentemente il formato monumentale e s’innamora di nuovi materiali, come i tessuti, con i quali sperimenta originali procedimenti operativi con risultati sorprendenti. Ne fanno fede il Personaggio armato di lancia e di scudo, realizzato in legno e lana, proveniente dalla Fundaciò Pilar i Joan Miró di Palma di Maiorca o il Sobreteixim 16, collezionato dalla Galleria Maeght di Parigi, una sorta di arazzo primitivo, sul quale brulica una foresta di segni e di elementi eterogenei dai colori violentissimi. Sono opere straordinarie, vere e proprie riflessioni figurative, ironiche e drammatiche ad un tempo, che il maestro, ormai anziano, conduce sul tema del ciclo della vita e dell’eterno trasformarsi della materia.
16
febbraio 2008
Miró: la terra
Dal 16 febbraio al 25 maggio 2008
arte contemporanea
Location
PALAZZO DEI DIAMANTI
Ferrara, Corso Ercole I D'este, 21, (Ferrara)
Ferrara, Corso Ercole I D'este, 21, (Ferrara)
Biglietti
intero € 10.00, ridotto € 8.00, scuole € 4.00
Orario di apertura
aperto tutti i giorni, feriali e festivi, lunedì incluso, dalla domenica al giovedì dalle 9.00 alle 20.00, venerdì e sabato 9.00 alle 22.00. Aperto anche 23 e 24 marzo, 25 aprile e 1 maggio
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STUDIO ESSECI
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