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Jannis Kounellis – La storia e il presente
due installazioni
Comunicato stampa
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Nell’ambito delle attività espositive previste dal progetto “I luoghi del Mito. Magna Graecia e Arte Contemporanea”, gli ambienti del Museo Nazionale Archeologico della Sibaritide a Sibari e della Galleria Nazionale di Palazzo Arnone a Cosenza, ospiteranno, dal 7 ottobre al 30 dicembre 2007, due installazioni di Jannis Kounellis, a cura di Bruno Corà.
“I luoghi del Mito. Magna Graecia e Arte Contemporanea”, è un progetto voluto dall’Assessore alla Cultura della Regione Calabria Sandro Principe e coordinato da Tonino Sicoli, in collaborazione con la Direzione Regionale per i Beni Culturali e le Soprintendenze per il Patrimonio Storico Artistico ed Etnoantropologico e per l’Archeologia della Calabria. Questa iniziativa rientra nel più ampio programma Sensi Contemporanei per la promozione e la diffusione dell'arte contemporanea e la valorizzazione di contesti architettonici e urbanistici delle Regioni del Sud d'Italia, mediante la sottoscrizione di un atto d’intesa tra la Regione Calabria, il Ministero per i Beni e le Attività Culturali, Direzione Generale per l’architettura e l’arte contemporanee - DARC, il Ministero dello Sviluppo Economico, Dipartimento per le Politiche di Sviluppo –DPS e la Fondazione La Biennale di Venezia.
Con Mattia Preti, 2007, l’opera di Kounellis installata presso la Galleria Nazionale di Palazzo Arnone a Cosenza, evoca il senso della tensione ininterrotta con la grande pittura del Preti. A partire da alcuni precedenti episodi espositivi avvenuti nel tempo – a Valmontone (2001) e a Roma (2007), Kounellis ha scelto di affiancare, in entrambe le circostanze, le proprie opere a quelle del Maestro di Taverna, Mattia Preti, in un dialogo tutt’altro che casuale, al contrario, motivato dall’interesse più volte manifestato da Kounellis per la pittura caravaggesca e più in generale per i cruciali sviluppi ideologici della pittura controriformista.
Il progetto per il Palazzo Arnone di Cosenza prende ugualmente avvio dalle opere di Mattia Preti già presenti nella galleria. A fronte di dipinti capaci di suscitare forte pathos come Ercole libera Prometeo o Ercole libera Teseo (databili 1655-60), ma anche del San Sebastiano (databile 1655-60) e altri, Kounellis ha concepito un vasto insieme plastico - poggiato su una struttura identificabile con la lettera alfabetica K - con il quale egli ‘dialoga’ con l’opera pretiana, non senza un diretto coinvolgimento spaziale e allestitivo delle grandi tele con volumi e iconografie appartenenti al proprio repertorio formale.
Un tocco leggero come le ali…, 2007, è la denominazione di una presenza inestinguibile dell’opera unica di Jannis Kounellis che troverà spazio nelle sale del Museo Nazionale Archeologico della Sibaritide a Sibari. Una visita agli ambienti del museo ha consentito a Kounellis la diretta visione di numerose opere in bronzo, in terracotta, in oro, databili dal VII secolo a.C. fino all’epoca romana. Le sale modulari del museo, che conservano i preziosi reperti di tale importante periodo storico della cultura e dell’arte esistenti in questo centro della Magna Grecia, racchiudono altresì lo straordinario paesaggio circostante di pianure, alberi e profili di terre, che irrompe negli spazi attraverso le grandi vetrate perimetrali.
E’ a partire da tali condizioni specifiche che Kounellis ha concepito un’opera le cui proprietà di presenza si coniugano con i reperti artistici conservati in ogni ambiente del museo, integrandosi temporalmente ad essi e rendendo il museo, le opere presenti in esso e i luoghi circostanti l’oggetto sensibile della propria azione estetica.
***
Kounellis: l’assunzione del passato nell’attraversamento del presente
Bruno Corà
Un unico viaggio. Una sola tensione coniuga il lavoro di un artista come Jannis Kounellis all’arte del passato. Un solo disegno, come il filo di Arianna, si snoda tra percorsi dissimili che si aprono davanti ai suoi passi, in un cammino rabdomantico, guidato da una infallibile sensibilità, dedalo dopo dedalo, sino al centro del labirinto, nel cuore segreto e oscuro di un dramma da visualizzare. Le due stazioni segnate da Kounellis nel suo pellegrinaggio in quei luoghi del sud d’Italia, tra lo Jonio e il Tirreno, dove risuonano, ancor prima della vibrazione delle corde emotive, i richiami potenti delle comuni origini greco-italiche e di un passato prossimo della pittura ancora talmente carico di investimenti ideologici da non poter essere derubricato come uno qualsiasi dei tanti generi sfornati dall’arte del colore, assumono la valenza emblematica di una sola ekphrasis.
Sulle tracce dell’arte classica incontrata nel Museo Archeologico della Sibaritide e di quella piena di pathos di Mattia Preti osservato nella Galleria Nazionale di Cosenza, Kounellis è tornato a offrire con modalità diverse, ma con la medesima lingua, una lectio pittorica di altissimo valore estetico e di indimenticabile vigore retorico. Oltretutto, le due creazioni realizzate entro un medesimo orizzonte problematico – la temporalità ininterrotta di un eterno presente tra la sua arte viva e attuale e quella non diversa del passato quando analogamente concepita -rendono possibili alcune riflessioni relative sia all’efficacia dei costrutti linguistici elaborati da Kounellis sino ad oggi con una estrema mobilità d’uso, sia all’ampiezza delle motivazioni poetiche che lo muovono e alle suggestioni sempre intense di cui è capace artefice in questi casi.
Non è certo né la prima né l’ultima volta che Kounellis si misura con l’azione evocativa a partire da ‘testi’ artistici recanti la dimensione della storia. E, ancorché la sua tensione sia attraversata in questi casi da un’estrema prudenza gestuale, per il rischio obiettivo che risiede nell’offrire il fianco a facili ma erronee deduzioni epistemologiche relative alla ipotizzabile vocazione della sua opera verso una normatività classica, Kounellis – da autentico rivoluzionario – non teme di correre quel rischio e s’avventura con una consapevolezza dominatrice in quei territori, ben sapendo da quali ragioni trae origine il suo impulso dialettico.
Come in una sfida che Kounellis rinnova continuamente, la posta in gioco sembra consistere proprio nella dimostrazione del fatto che all’artista in possesso di una lingua è possibile nominare ogni cosa che lo circondi, con tutti è in grado di avere contatti, scambiare esperienze e incontri. Sempre diverso nelle rotte e negli approdi, ma anche immutato nella logica che lo sospinge, il viaggio di Kounellis trae così origine dalla dinamo libertaria e sognatrice di un’arte fondata su un’estrema mobilità dialettica con luoghi, persone e segni in un’accelerazione progressiva nell’opera formatrice. Con tali stimmate di rapidità generativa, il lavoro di Kounellis si pone automaticamente in gioco attivo con quello dei suoi contemporanei, non senza considerare tali però anche coloro la cui arte, nonostante appartenga al passato, continua a inviare nel presente spore capaci di feconde reazioni in chi le sa cogliere. Quello di Kounellis, infatti, non è né il ‘viaggio sentimentale’ di Sterne né il ‘gran tour’ di Goethe in Italia. Ma quello ben più febbrile di chi non smette di tornare a riconoscere le proprie radici identitarie per garantirsi un futuro.
Nei giorni che intercorrono tra l’immersione nelle viscere della Magna Graecia a Sibari e il suo rinnovato incontro con la pittura di Mattia Preti a Cosenza – appena alcune settimane di intervallo – Kounellis ha fatto in tempo a compiere una delle sue più grandi installazioni a Jaffa, porto di Israele affacciato sul Mediterraneo. Non diversamente dalle ‘stazioni’ effettuate in Calabria, l’incontro con quei luoghi, le culture che li distinguono e gli ambienti ove ha concepito un nuovo vasto organismo plastico favoriscono in lui un’ulteriore occasione di approfondimento conoscitivo e di presa di coscienza di una realtà di cui intende misurare di persona e attraverso il proprio lavoro la drammatica tensione. Dopo l’installazione delle dodici porte alla Vijećnica di Sarajevo (2004) e l’Atto unico al teatro Attis di Atene, con il Senza titolo (2005) dei quarti di bue sul palcoscenico, l’opera di Jaffa è il compimento di una ‘trilogia mediterranea’ attraversata da una vena al limite del tragico e piena di nuova emotività. La teoria circolare di topos, ognuno dei quali contrassegnato da una morfologia elementare ripetuta quantitativamente e allineata in diagonale nello spazio, come un ingranaggio simbolico, ai piedi di una fila di lampioni, dai cui fanali accesi spande una luce emblematica – non priva di echi tragici indelebili – è una delle pagine più intense del repertorio di Kounellis già dedicato alla storia e alla cultura ebraica.
Ma una più ampia peregrinazione, svolta da Kounellis nel corso di tutta la sua vita, attraverso moltissimi paesi e in tutti i continenti, in una moderna odissea inarrestabile, fanno di lui l’Ulisse dei nostri giorni.
Prima di compiere la doppia installazione in mostra nel Museo Archeologico della Sibaritide tra reperti che dall’VIII secolo a.C. giungono fino al VI secolo d.C., scavati nel luogo ove un tempo ebbe vita felice Sibari, fiorente città dello Jonio, di ritorno da Cosenza, nel maggio, Kounellis arrivò in quella campagna luminosa e già rovente sul far della sera. La visita ai siti e alle vetrine del museo, piene di frammenti, monili e reperti decorati, aveva stimolato le prime reazioni immaginarie; ma la concezione del lavoro che successivamente ha preso corpo in quelle sale è sopraggiunta a Kounellis qualche istante dopo una lieve pioggia caduta attorno al museo. La simultanea percezione avuta dopo quella precipitazione di diversi effluvi provenienti dalle essenze vegetali presenti nelle terre circostanti il museo aveva risvegliato nei suoi sensi – come la madeleine proustiana – la presenza di un passato del tutto ancora vivo. La traduzione in immagini giunse in un lampo alla mente. Come una pentecoste di pietre calate a mezz’aria dal soffitto del museo su centinaia di ciotole allineate sul pavimento e contenenti diverse essenze liquide, quella pioggia litica sembrava essere il prodigioso evento che liberava nell’aria una miscela di profumi tanto intensa quanto ansiogena.
Tra le pietre, Kounellis è giunto a sospendere anche neri corvi impagliati, non privi di una valenza tanatologica. L’immagine ideata e realizzata da Kounellis era stata concepita in stretta relazione alle migliaia di frammenti di opere in ceramica, pietra, bronzo, oro custoditi nelle grandi vetrine del museo e in tal modo obiettivamente separati dai passi di ogni visitatore. In questo senso, sia la disposizione delle pietre e dei volatili che quella delle ciotole è stata rigorosamente effettuata da Kounellis battendo quote e allineamenti strettamente marcanti lo spazio vuoto tra le vetrine. Facendo attenzione che le pietre, osservando un’unica linea d’orizzonte al di sopra del capo di ciascun visitatore, ma non al di sotto della sommità delle vetrine, saturassero della loro paradossale gravità-levità la spazialità residua dell’ambiente.
L’intensa diffusione dei profumi nelle due sale del museo e la ritmica disposizione delle pietre e delle ciotole negli ambienti considerati finivano così per produrre un silenzio attraversato dall’inaudito ultrasuono del prodigio. E si può ipotizzare che sia stata comune a tutti i visitatori del museo la sensazione di una lieve vertigine mista a ebbrezza suscitata dalle essenze profumate.
Uno sguardo retrovisivo consente di cogliere in questo lavoro di Kounellis una serie di costrutti lessicali definiti già in precedenti opere, ancorché dalla valenza straordinariamente libera in senso coniugativo. In tale excursus filologico è possibile infatti evocare almeno tre o quattro episodi ‘storici’ in cui Kounellis mette a punto sia gli elementi-contenitori, sia i ‘gravi’ sospesi, sia la volatile presenza e infine la diffusione di aromi nello spazio. Si tratta in quasi tutti i casi di un uso reiterato delle glosse formali a cui Kounellis è pervenuto nel tempo.
E se, nel far ricorso al profumo, la progenitura del gesto di Kounellis deve essere ascritta a quel Senza titolo (1969) del piccolo cumulo di polvere di caffè macinato e deposto sulle bilancine di metallo sospese la prima volta dalla parete della galleria di Lucio Amelio a Napoli, per l’impiego seriale dei contenitori posti l’uno accanto all’altro sul pavimento, colmi di un liquido fortemente aromatico, si deve richiamare invece l’opera Senza titolo (1988) realizzata a Chagny, presso la galleria di Pietro Sparta, dove centinaia di bicchierini di vetro spandevano nell’aria l’intenso aroma di un alcool. Una medesima concezione presiedeva peraltro all’opera Senza titolo (1989) realizzata presso la Reggia di Capodimonte a Napoli, dove una distesa di decine di orci in terracotta, serrati a formare un ‘corpo’, pieni di acqua di mare (ma anche di sangue) davano vita a un traslato anatomico di risonanza umanistica.
Ognuna di queste invenzioni lessicali di Kounellis ha trovato nuove integrazioni in frasi visive di opere come quelle allestite presso il Museo Nacional de Artes Visuales di Montevideo (2001) o lungo l’arco temporale esteso nelle variegate creazioni dell’artista.
Distinti richiami all’impiego delle pietre sospese a tondini di ferro o a corde vanno fatti altresì risalire all’inizio degli anni Novanta in opere come il Senza titolo (1993) della mostra Lineare notturno realizzata nel museo di Recklinghausen, al Senza titolo (1995) presso lo Château de Plieux in Francia e con la morfologia del ‘sipario’ divisorio in opere come i Senza titolo (1997) di Halle Kalk di Colonia (con sfere di piombo al posto delle pietre) o di Bergamo nella chiesa di Sant’Agostino (2005) e di Edimburgo (presso la Scottish National Gallery of Modern Art) con grandi frammenti di vetro policromo). Nondimeno, la presenza di corvi trattati tassodermicamente, sia nelle posture del riposo che in volo, si ritrova in alcune precedenti installazioni di Kounellis. Basti ricordare il Senza titolo (1903) di Rimini, ove i volatili apparivano trafitti contro il muro su cui era tracciato al carbone il profilo di una città industriale, o il Senza titolo (2007) nel cortile di Palazzo Farnese a Roma e in altri lavori.
Tutte le versioni che Kounellis, con inesauribile capacità metamorfica ha sino ad oggi concepito e attuato mediante l’uso di frammenti o parti elementari avvicinate tra loro nell’intento reintegrativo di un’unità ideale perduta non possono prescindere da una sua opera chiave, basilare per ogni successiva composizione: il Senza titolo denominato Apollo, realizzato per un soggiorno di rientro in Grecia e poi a Roma presso la galleria La Salita (1973). In quest’opera, la viva sonorità del flauto e i calchi in gesso dei frammenti anatomici del dio sparsi su un tavolo e sormontati da un corvo nero, alla presenza dell’artista stesso che, seduto dietro il tavolo, indossa la maschera misterica, si fondono in una immagine epico-tragica, tanto intensamente pervasa da thanatos quanto tesa a suscitare una rogatoria di riscatto e rinascita.
È evidente, dunque, che il Senza titolo (2007) di Sibari, immaginato da Kounellis quale “tocco leggero come le ali di un passerotto” vuole avere la stessa lievità dei profumi emersi dai campi attorno agli scavi dopo la pioggia primaverile, come anche dei frammenti di pietra sospesi alla stregua di gocce d’acqua e del planare dei corvi sui campi. Nell’immaginario attivo di Kounellis, ma anche in quello di ogni osservatore sensibile in visita ai reperti degli scavi di Sibari attraversati dall’installazione dell’artista, tutta la storia prende vita e si riaccende nei sensi. Le essenze copiosamente raccolte nelle ciotole risvegliano una primavera riferita agli antichi.
I materiali impiegati da Kounellis in questa creazione sono strettamente legati alla sua lingua. Con essa egli nomina quel che è logos e passato nell’archeologia, ma il logos porta l’antico a divenire ‘leggibile’. La lingua ‘presentativa’ di Kounellis nasce con ragioni di ‘vero’ e con intenzioni drammaturgiche esplicite. Attraverso di essa egli sottolinea la posizione di ogni cosa nello spazio, insegue la verticalità evocativa e il fantasma che intende far rivivere. Tutto l’intervento compiuto a Sibari si compie pertanto sotto il segno anagenetico della visionarietà poetica di cui Kounellis è vigoroso interprete.
L’enorme lettera iniziale “K” su cui si basa la poderosa installazione ideata e realizzata da Kounellis per la ex Sala delle Udienze Civili al secondo piano di Palazzo Arnone, oggi sede della Galleria Nazionale di Cosenza, si estende in tutto quell’ambiente occupandone gran parte. La costruzione di quella lettera alfabetica in lamiere di ferro brunito, oltretutto distintiva del cognome dell’autore, è stata da lui concepita in forma di un articolato tavolo le cui numerose gambe scandiscono i segmenti di cui è composto, poiché in tal modo era possibile – e non diversamente – sia trasportarlo dallo studio di Kounellis sino a Cosenza, sia introdurlo sino a quel piano e in quella sala.
Sopra quel vasto piano d’appoggio Kounellis ha collocato, seguendo lo sviluppo spaziale della lettera, una quindicina di grandi volumi verticali, parallelepipedi, di lamiera di ferro anch’essi, entro la cui sommità cava ha rovesciato numerosi quintali di carbone, lasciandone in evidenza l’oleosa e brillante frammentazione. Così strutturato, il grande complesso plastico, con le sue fughe rettilinee o angolari, i suoi vicoli ciechi e le sue appendici squadrate o appuntite, incombe sull’intero ambiente come i propilei sulla rupe del Partenone. Ma se si entra in quell’ampio locale, attraverso il vestibolo che lo precede con triplice arcata su due pilastri a sezione quadra, coevo all’esecuzione della sala, si ha un impatto disorientante, come se ci si introducesse in un cul de sac o, peggio, si ha la sensazione di trovarsi di fronte a una costruzione labirintica. E viene da domandarsi, a quale scopo Kounellis ha voluto erigere questa sua nuova architettura visionaria? La risposta sta in quella straordinaria ‘esposizione’ di cinque tele originali di Mattia Preti che egli ha voluto ‘innalzare’ sulla propria installazione (in modo elettivo analogo alle scarpette fuse in oro del figlio Damiano-“Rousseau” nel Senza titolo del 1973), giungendo a una eloquente morfologia integrata in cui si evidenzia una relazione dialettica con la pittura del pittore calabrese, ma anche con la tensione controriformista che la distingue.
A partire dall’“assunzione” di quelle cinque tele di Mattia Preti raffiguranti rispettivamente Ercole libera Prometeo (1650~1656), Labano cerca gli idoli nel baule di Giacobbe (Storia di Rachele) (databile prima del 1656), una probabile versione del Ritorno del figliol prodigo, e inoltre Ercole libera Teseo (1650-1656) e Cristo risorto in veste di giardiniere appare alla Maddalena (1670-1680), Kounellis formula una collimazione dialettica con uno dei più originali protagonisti della pittura caravaggesca e controriformista, ‘sostenendone’ sulle proprie ragioni linguistiche e formali le motivazioni ideologiche che avevano determinato e determinano tuttora rispettivamente la pittura del Preti e la propria.
La verticale drammaturgia di Kounellis dispiegata in tutta la sua incisività attualizza tanto la pittura di Mattia Preti quanto la problematica antimodernista della propria opera. Nella volontà di rendere evidente quella identificazione, egli congiunge e serra i volumi metallici su cui sono appesi con ganci da macello i dipinti lividi e pieni di chiaroscuri di Preti, con neri panneggi connettivi e con grossi fardelli chiusi attorno a invedibili indumenti usati e laceri. In quel modo, instaurando una circolarità tra le morfologie presenti nei dipinti del Preti e alcune forme da lui concepite, Kounellis giunge a suscitare in ognuno e nello spazio ormai qualificato dal suo intervento una continuità indicativa della consapevolezza che l’arte del passato, come brace sotto la cenere, è dentro di noi. Se dunque la radicalità sta nell’antichità, il modernismo appare come una storia minore, al punto che, comprendendo attraverso lo scambio dialettico gli elementi di una autentica appartenenza delle proprie radici alla storia, in tale identificazione è possibile individuare una vera modernità.
Scoprire l’immaginario di Mattia Preti, assumerlo come pittore, dichiararlo e sottrarlo alla museografia per riproporlo criticamente significa per Kounellis tenere vivo il passato, compiere un’azione critica nei confronti della pittura controriformista quale inizio della critica, rivendicare la facoltà ideologica della pittura a fronte della sua riduzione alla decoratività.
Ancora prima di questo episodio cosentino d’incontro con la pittura del Preti conservata in Calabria, Kounellis aveva già intrecciato in ben due altre circostanze un confronto dialettico con la sua opera: nell’installazione realizzata sotto la volta affrescata dal pittore calabrese sul pavimento del Salone del Palazzo Doria Pamphili a Valmontone (2000) e nella mostra presso lo spazio della Gallerja diretta da Alessandro Boncompagni Ludovisi accanto all’opera Il sacrificio di Muzio Scevola (2007), in via della Lupa a Roma.
Ma la terna di esposizioni con il Preti rischierebbe di apparire come una pura ricorrente sintonia con l’arte di quel pittore se Kounellis non avesse già, con chiarezza, espresso lo stesso tipo di indicazione critica in altre circostanze dialettiche con la pittura antica, in primis di fronte all’opera di Caravaggio presso la Galleria Borghese a Roma (2002) e, successivamente, con quella stessa di Michelangelo nel recente episodio Forme per il David presso la Galleria dell’Accademia di Firenze (2004).
In ognuno di questi ‘incontri’, Kounellis ha ribadito il “credo nella pittura italiana che a partire dal suo Rinascimento e per la sua natura controriformista si è dimostrata ideologicamente vasta” e linguisticamente innovativa.
Mattia Preti, con il suo fervore e la sua ‘teatralità’ partecipante, gli appare come un pittore dal robusto impianto narrativo tutt’altro che accademico, capace piuttosto di anticipare e influenzare, come il suo maestro Caravaggio, la grande pittura ‘storica’ a loro successiva, da Géricault a David, da Rubens a Fragonard. Oltretutto, la presenza della pittura di Mattia Preti a Napoli e a Capodimonte, luoghi frequentati a lungo da Kounellis, gli ha certamente consentito, in altre diverse circostanze, di ammirare i soggetti particolarmente drammatici delle pitture dedicate alla preparazione degli affreschi commemorativi per la cessazione della peste di Napoli del 1656.
È in questa ‘meditazione’ propositiva, attraverso un felice e generoso gesto di rilettura di una figura complessa ma rivitalizzante della pittura del Seicento come il Preti, che è possibile, per l’ennesima volta, riconoscere la grande lezione pittorico plastica e al contempo ‘critica’ di Kounellis, uno dei massimi artisti contemporanei che l’Italia può vantare.
“I luoghi del Mito. Magna Graecia e Arte Contemporanea”, è un progetto voluto dall’Assessore alla Cultura della Regione Calabria Sandro Principe e coordinato da Tonino Sicoli, in collaborazione con la Direzione Regionale per i Beni Culturali e le Soprintendenze per il Patrimonio Storico Artistico ed Etnoantropologico e per l’Archeologia della Calabria. Questa iniziativa rientra nel più ampio programma Sensi Contemporanei per la promozione e la diffusione dell'arte contemporanea e la valorizzazione di contesti architettonici e urbanistici delle Regioni del Sud d'Italia, mediante la sottoscrizione di un atto d’intesa tra la Regione Calabria, il Ministero per i Beni e le Attività Culturali, Direzione Generale per l’architettura e l’arte contemporanee - DARC, il Ministero dello Sviluppo Economico, Dipartimento per le Politiche di Sviluppo –DPS e la Fondazione La Biennale di Venezia.
Con Mattia Preti, 2007, l’opera di Kounellis installata presso la Galleria Nazionale di Palazzo Arnone a Cosenza, evoca il senso della tensione ininterrotta con la grande pittura del Preti. A partire da alcuni precedenti episodi espositivi avvenuti nel tempo – a Valmontone (2001) e a Roma (2007), Kounellis ha scelto di affiancare, in entrambe le circostanze, le proprie opere a quelle del Maestro di Taverna, Mattia Preti, in un dialogo tutt’altro che casuale, al contrario, motivato dall’interesse più volte manifestato da Kounellis per la pittura caravaggesca e più in generale per i cruciali sviluppi ideologici della pittura controriformista.
Il progetto per il Palazzo Arnone di Cosenza prende ugualmente avvio dalle opere di Mattia Preti già presenti nella galleria. A fronte di dipinti capaci di suscitare forte pathos come Ercole libera Prometeo o Ercole libera Teseo (databili 1655-60), ma anche del San Sebastiano (databile 1655-60) e altri, Kounellis ha concepito un vasto insieme plastico - poggiato su una struttura identificabile con la lettera alfabetica K - con il quale egli ‘dialoga’ con l’opera pretiana, non senza un diretto coinvolgimento spaziale e allestitivo delle grandi tele con volumi e iconografie appartenenti al proprio repertorio formale.
Un tocco leggero come le ali…, 2007, è la denominazione di una presenza inestinguibile dell’opera unica di Jannis Kounellis che troverà spazio nelle sale del Museo Nazionale Archeologico della Sibaritide a Sibari. Una visita agli ambienti del museo ha consentito a Kounellis la diretta visione di numerose opere in bronzo, in terracotta, in oro, databili dal VII secolo a.C. fino all’epoca romana. Le sale modulari del museo, che conservano i preziosi reperti di tale importante periodo storico della cultura e dell’arte esistenti in questo centro della Magna Grecia, racchiudono altresì lo straordinario paesaggio circostante di pianure, alberi e profili di terre, che irrompe negli spazi attraverso le grandi vetrate perimetrali.
E’ a partire da tali condizioni specifiche che Kounellis ha concepito un’opera le cui proprietà di presenza si coniugano con i reperti artistici conservati in ogni ambiente del museo, integrandosi temporalmente ad essi e rendendo il museo, le opere presenti in esso e i luoghi circostanti l’oggetto sensibile della propria azione estetica.
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Kounellis: l’assunzione del passato nell’attraversamento del presente
Bruno Corà
Un unico viaggio. Una sola tensione coniuga il lavoro di un artista come Jannis Kounellis all’arte del passato. Un solo disegno, come il filo di Arianna, si snoda tra percorsi dissimili che si aprono davanti ai suoi passi, in un cammino rabdomantico, guidato da una infallibile sensibilità, dedalo dopo dedalo, sino al centro del labirinto, nel cuore segreto e oscuro di un dramma da visualizzare. Le due stazioni segnate da Kounellis nel suo pellegrinaggio in quei luoghi del sud d’Italia, tra lo Jonio e il Tirreno, dove risuonano, ancor prima della vibrazione delle corde emotive, i richiami potenti delle comuni origini greco-italiche e di un passato prossimo della pittura ancora talmente carico di investimenti ideologici da non poter essere derubricato come uno qualsiasi dei tanti generi sfornati dall’arte del colore, assumono la valenza emblematica di una sola ekphrasis.
Sulle tracce dell’arte classica incontrata nel Museo Archeologico della Sibaritide e di quella piena di pathos di Mattia Preti osservato nella Galleria Nazionale di Cosenza, Kounellis è tornato a offrire con modalità diverse, ma con la medesima lingua, una lectio pittorica di altissimo valore estetico e di indimenticabile vigore retorico. Oltretutto, le due creazioni realizzate entro un medesimo orizzonte problematico – la temporalità ininterrotta di un eterno presente tra la sua arte viva e attuale e quella non diversa del passato quando analogamente concepita -rendono possibili alcune riflessioni relative sia all’efficacia dei costrutti linguistici elaborati da Kounellis sino ad oggi con una estrema mobilità d’uso, sia all’ampiezza delle motivazioni poetiche che lo muovono e alle suggestioni sempre intense di cui è capace artefice in questi casi.
Non è certo né la prima né l’ultima volta che Kounellis si misura con l’azione evocativa a partire da ‘testi’ artistici recanti la dimensione della storia. E, ancorché la sua tensione sia attraversata in questi casi da un’estrema prudenza gestuale, per il rischio obiettivo che risiede nell’offrire il fianco a facili ma erronee deduzioni epistemologiche relative alla ipotizzabile vocazione della sua opera verso una normatività classica, Kounellis – da autentico rivoluzionario – non teme di correre quel rischio e s’avventura con una consapevolezza dominatrice in quei territori, ben sapendo da quali ragioni trae origine il suo impulso dialettico.
Come in una sfida che Kounellis rinnova continuamente, la posta in gioco sembra consistere proprio nella dimostrazione del fatto che all’artista in possesso di una lingua è possibile nominare ogni cosa che lo circondi, con tutti è in grado di avere contatti, scambiare esperienze e incontri. Sempre diverso nelle rotte e negli approdi, ma anche immutato nella logica che lo sospinge, il viaggio di Kounellis trae così origine dalla dinamo libertaria e sognatrice di un’arte fondata su un’estrema mobilità dialettica con luoghi, persone e segni in un’accelerazione progressiva nell’opera formatrice. Con tali stimmate di rapidità generativa, il lavoro di Kounellis si pone automaticamente in gioco attivo con quello dei suoi contemporanei, non senza considerare tali però anche coloro la cui arte, nonostante appartenga al passato, continua a inviare nel presente spore capaci di feconde reazioni in chi le sa cogliere. Quello di Kounellis, infatti, non è né il ‘viaggio sentimentale’ di Sterne né il ‘gran tour’ di Goethe in Italia. Ma quello ben più febbrile di chi non smette di tornare a riconoscere le proprie radici identitarie per garantirsi un futuro.
Nei giorni che intercorrono tra l’immersione nelle viscere della Magna Graecia a Sibari e il suo rinnovato incontro con la pittura di Mattia Preti a Cosenza – appena alcune settimane di intervallo – Kounellis ha fatto in tempo a compiere una delle sue più grandi installazioni a Jaffa, porto di Israele affacciato sul Mediterraneo. Non diversamente dalle ‘stazioni’ effettuate in Calabria, l’incontro con quei luoghi, le culture che li distinguono e gli ambienti ove ha concepito un nuovo vasto organismo plastico favoriscono in lui un’ulteriore occasione di approfondimento conoscitivo e di presa di coscienza di una realtà di cui intende misurare di persona e attraverso il proprio lavoro la drammatica tensione. Dopo l’installazione delle dodici porte alla Vijećnica di Sarajevo (2004) e l’Atto unico al teatro Attis di Atene, con il Senza titolo (2005) dei quarti di bue sul palcoscenico, l’opera di Jaffa è il compimento di una ‘trilogia mediterranea’ attraversata da una vena al limite del tragico e piena di nuova emotività. La teoria circolare di topos, ognuno dei quali contrassegnato da una morfologia elementare ripetuta quantitativamente e allineata in diagonale nello spazio, come un ingranaggio simbolico, ai piedi di una fila di lampioni, dai cui fanali accesi spande una luce emblematica – non priva di echi tragici indelebili – è una delle pagine più intense del repertorio di Kounellis già dedicato alla storia e alla cultura ebraica.
Ma una più ampia peregrinazione, svolta da Kounellis nel corso di tutta la sua vita, attraverso moltissimi paesi e in tutti i continenti, in una moderna odissea inarrestabile, fanno di lui l’Ulisse dei nostri giorni.
Prima di compiere la doppia installazione in mostra nel Museo Archeologico della Sibaritide tra reperti che dall’VIII secolo a.C. giungono fino al VI secolo d.C., scavati nel luogo ove un tempo ebbe vita felice Sibari, fiorente città dello Jonio, di ritorno da Cosenza, nel maggio, Kounellis arrivò in quella campagna luminosa e già rovente sul far della sera. La visita ai siti e alle vetrine del museo, piene di frammenti, monili e reperti decorati, aveva stimolato le prime reazioni immaginarie; ma la concezione del lavoro che successivamente ha preso corpo in quelle sale è sopraggiunta a Kounellis qualche istante dopo una lieve pioggia caduta attorno al museo. La simultanea percezione avuta dopo quella precipitazione di diversi effluvi provenienti dalle essenze vegetali presenti nelle terre circostanti il museo aveva risvegliato nei suoi sensi – come la madeleine proustiana – la presenza di un passato del tutto ancora vivo. La traduzione in immagini giunse in un lampo alla mente. Come una pentecoste di pietre calate a mezz’aria dal soffitto del museo su centinaia di ciotole allineate sul pavimento e contenenti diverse essenze liquide, quella pioggia litica sembrava essere il prodigioso evento che liberava nell’aria una miscela di profumi tanto intensa quanto ansiogena.
Tra le pietre, Kounellis è giunto a sospendere anche neri corvi impagliati, non privi di una valenza tanatologica. L’immagine ideata e realizzata da Kounellis era stata concepita in stretta relazione alle migliaia di frammenti di opere in ceramica, pietra, bronzo, oro custoditi nelle grandi vetrine del museo e in tal modo obiettivamente separati dai passi di ogni visitatore. In questo senso, sia la disposizione delle pietre e dei volatili che quella delle ciotole è stata rigorosamente effettuata da Kounellis battendo quote e allineamenti strettamente marcanti lo spazio vuoto tra le vetrine. Facendo attenzione che le pietre, osservando un’unica linea d’orizzonte al di sopra del capo di ciascun visitatore, ma non al di sotto della sommità delle vetrine, saturassero della loro paradossale gravità-levità la spazialità residua dell’ambiente.
L’intensa diffusione dei profumi nelle due sale del museo e la ritmica disposizione delle pietre e delle ciotole negli ambienti considerati finivano così per produrre un silenzio attraversato dall’inaudito ultrasuono del prodigio. E si può ipotizzare che sia stata comune a tutti i visitatori del museo la sensazione di una lieve vertigine mista a ebbrezza suscitata dalle essenze profumate.
Uno sguardo retrovisivo consente di cogliere in questo lavoro di Kounellis una serie di costrutti lessicali definiti già in precedenti opere, ancorché dalla valenza straordinariamente libera in senso coniugativo. In tale excursus filologico è possibile infatti evocare almeno tre o quattro episodi ‘storici’ in cui Kounellis mette a punto sia gli elementi-contenitori, sia i ‘gravi’ sospesi, sia la volatile presenza e infine la diffusione di aromi nello spazio. Si tratta in quasi tutti i casi di un uso reiterato delle glosse formali a cui Kounellis è pervenuto nel tempo.
E se, nel far ricorso al profumo, la progenitura del gesto di Kounellis deve essere ascritta a quel Senza titolo (1969) del piccolo cumulo di polvere di caffè macinato e deposto sulle bilancine di metallo sospese la prima volta dalla parete della galleria di Lucio Amelio a Napoli, per l’impiego seriale dei contenitori posti l’uno accanto all’altro sul pavimento, colmi di un liquido fortemente aromatico, si deve richiamare invece l’opera Senza titolo (1988) realizzata a Chagny, presso la galleria di Pietro Sparta, dove centinaia di bicchierini di vetro spandevano nell’aria l’intenso aroma di un alcool. Una medesima concezione presiedeva peraltro all’opera Senza titolo (1989) realizzata presso la Reggia di Capodimonte a Napoli, dove una distesa di decine di orci in terracotta, serrati a formare un ‘corpo’, pieni di acqua di mare (ma anche di sangue) davano vita a un traslato anatomico di risonanza umanistica.
Ognuna di queste invenzioni lessicali di Kounellis ha trovato nuove integrazioni in frasi visive di opere come quelle allestite presso il Museo Nacional de Artes Visuales di Montevideo (2001) o lungo l’arco temporale esteso nelle variegate creazioni dell’artista.
Distinti richiami all’impiego delle pietre sospese a tondini di ferro o a corde vanno fatti altresì risalire all’inizio degli anni Novanta in opere come il Senza titolo (1993) della mostra Lineare notturno realizzata nel museo di Recklinghausen, al Senza titolo (1995) presso lo Château de Plieux in Francia e con la morfologia del ‘sipario’ divisorio in opere come i Senza titolo (1997) di Halle Kalk di Colonia (con sfere di piombo al posto delle pietre) o di Bergamo nella chiesa di Sant’Agostino (2005) e di Edimburgo (presso la Scottish National Gallery of Modern Art) con grandi frammenti di vetro policromo). Nondimeno, la presenza di corvi trattati tassodermicamente, sia nelle posture del riposo che in volo, si ritrova in alcune precedenti installazioni di Kounellis. Basti ricordare il Senza titolo (1903) di Rimini, ove i volatili apparivano trafitti contro il muro su cui era tracciato al carbone il profilo di una città industriale, o il Senza titolo (2007) nel cortile di Palazzo Farnese a Roma e in altri lavori.
Tutte le versioni che Kounellis, con inesauribile capacità metamorfica ha sino ad oggi concepito e attuato mediante l’uso di frammenti o parti elementari avvicinate tra loro nell’intento reintegrativo di un’unità ideale perduta non possono prescindere da una sua opera chiave, basilare per ogni successiva composizione: il Senza titolo denominato Apollo, realizzato per un soggiorno di rientro in Grecia e poi a Roma presso la galleria La Salita (1973). In quest’opera, la viva sonorità del flauto e i calchi in gesso dei frammenti anatomici del dio sparsi su un tavolo e sormontati da un corvo nero, alla presenza dell’artista stesso che, seduto dietro il tavolo, indossa la maschera misterica, si fondono in una immagine epico-tragica, tanto intensamente pervasa da thanatos quanto tesa a suscitare una rogatoria di riscatto e rinascita.
È evidente, dunque, che il Senza titolo (2007) di Sibari, immaginato da Kounellis quale “tocco leggero come le ali di un passerotto” vuole avere la stessa lievità dei profumi emersi dai campi attorno agli scavi dopo la pioggia primaverile, come anche dei frammenti di pietra sospesi alla stregua di gocce d’acqua e del planare dei corvi sui campi. Nell’immaginario attivo di Kounellis, ma anche in quello di ogni osservatore sensibile in visita ai reperti degli scavi di Sibari attraversati dall’installazione dell’artista, tutta la storia prende vita e si riaccende nei sensi. Le essenze copiosamente raccolte nelle ciotole risvegliano una primavera riferita agli antichi.
I materiali impiegati da Kounellis in questa creazione sono strettamente legati alla sua lingua. Con essa egli nomina quel che è logos e passato nell’archeologia, ma il logos porta l’antico a divenire ‘leggibile’. La lingua ‘presentativa’ di Kounellis nasce con ragioni di ‘vero’ e con intenzioni drammaturgiche esplicite. Attraverso di essa egli sottolinea la posizione di ogni cosa nello spazio, insegue la verticalità evocativa e il fantasma che intende far rivivere. Tutto l’intervento compiuto a Sibari si compie pertanto sotto il segno anagenetico della visionarietà poetica di cui Kounellis è vigoroso interprete.
L’enorme lettera iniziale “K” su cui si basa la poderosa installazione ideata e realizzata da Kounellis per la ex Sala delle Udienze Civili al secondo piano di Palazzo Arnone, oggi sede della Galleria Nazionale di Cosenza, si estende in tutto quell’ambiente occupandone gran parte. La costruzione di quella lettera alfabetica in lamiere di ferro brunito, oltretutto distintiva del cognome dell’autore, è stata da lui concepita in forma di un articolato tavolo le cui numerose gambe scandiscono i segmenti di cui è composto, poiché in tal modo era possibile – e non diversamente – sia trasportarlo dallo studio di Kounellis sino a Cosenza, sia introdurlo sino a quel piano e in quella sala.
Sopra quel vasto piano d’appoggio Kounellis ha collocato, seguendo lo sviluppo spaziale della lettera, una quindicina di grandi volumi verticali, parallelepipedi, di lamiera di ferro anch’essi, entro la cui sommità cava ha rovesciato numerosi quintali di carbone, lasciandone in evidenza l’oleosa e brillante frammentazione. Così strutturato, il grande complesso plastico, con le sue fughe rettilinee o angolari, i suoi vicoli ciechi e le sue appendici squadrate o appuntite, incombe sull’intero ambiente come i propilei sulla rupe del Partenone. Ma se si entra in quell’ampio locale, attraverso il vestibolo che lo precede con triplice arcata su due pilastri a sezione quadra, coevo all’esecuzione della sala, si ha un impatto disorientante, come se ci si introducesse in un cul de sac o, peggio, si ha la sensazione di trovarsi di fronte a una costruzione labirintica. E viene da domandarsi, a quale scopo Kounellis ha voluto erigere questa sua nuova architettura visionaria? La risposta sta in quella straordinaria ‘esposizione’ di cinque tele originali di Mattia Preti che egli ha voluto ‘innalzare’ sulla propria installazione (in modo elettivo analogo alle scarpette fuse in oro del figlio Damiano-“Rousseau” nel Senza titolo del 1973), giungendo a una eloquente morfologia integrata in cui si evidenzia una relazione dialettica con la pittura del pittore calabrese, ma anche con la tensione controriformista che la distingue.
A partire dall’“assunzione” di quelle cinque tele di Mattia Preti raffiguranti rispettivamente Ercole libera Prometeo (1650~1656), Labano cerca gli idoli nel baule di Giacobbe (Storia di Rachele) (databile prima del 1656), una probabile versione del Ritorno del figliol prodigo, e inoltre Ercole libera Teseo (1650-1656) e Cristo risorto in veste di giardiniere appare alla Maddalena (1670-1680), Kounellis formula una collimazione dialettica con uno dei più originali protagonisti della pittura caravaggesca e controriformista, ‘sostenendone’ sulle proprie ragioni linguistiche e formali le motivazioni ideologiche che avevano determinato e determinano tuttora rispettivamente la pittura del Preti e la propria.
La verticale drammaturgia di Kounellis dispiegata in tutta la sua incisività attualizza tanto la pittura di Mattia Preti quanto la problematica antimodernista della propria opera. Nella volontà di rendere evidente quella identificazione, egli congiunge e serra i volumi metallici su cui sono appesi con ganci da macello i dipinti lividi e pieni di chiaroscuri di Preti, con neri panneggi connettivi e con grossi fardelli chiusi attorno a invedibili indumenti usati e laceri. In quel modo, instaurando una circolarità tra le morfologie presenti nei dipinti del Preti e alcune forme da lui concepite, Kounellis giunge a suscitare in ognuno e nello spazio ormai qualificato dal suo intervento una continuità indicativa della consapevolezza che l’arte del passato, come brace sotto la cenere, è dentro di noi. Se dunque la radicalità sta nell’antichità, il modernismo appare come una storia minore, al punto che, comprendendo attraverso lo scambio dialettico gli elementi di una autentica appartenenza delle proprie radici alla storia, in tale identificazione è possibile individuare una vera modernità.
Scoprire l’immaginario di Mattia Preti, assumerlo come pittore, dichiararlo e sottrarlo alla museografia per riproporlo criticamente significa per Kounellis tenere vivo il passato, compiere un’azione critica nei confronti della pittura controriformista quale inizio della critica, rivendicare la facoltà ideologica della pittura a fronte della sua riduzione alla decoratività.
Ancora prima di questo episodio cosentino d’incontro con la pittura del Preti conservata in Calabria, Kounellis aveva già intrecciato in ben due altre circostanze un confronto dialettico con la sua opera: nell’installazione realizzata sotto la volta affrescata dal pittore calabrese sul pavimento del Salone del Palazzo Doria Pamphili a Valmontone (2000) e nella mostra presso lo spazio della Gallerja diretta da Alessandro Boncompagni Ludovisi accanto all’opera Il sacrificio di Muzio Scevola (2007), in via della Lupa a Roma.
Ma la terna di esposizioni con il Preti rischierebbe di apparire come una pura ricorrente sintonia con l’arte di quel pittore se Kounellis non avesse già, con chiarezza, espresso lo stesso tipo di indicazione critica in altre circostanze dialettiche con la pittura antica, in primis di fronte all’opera di Caravaggio presso la Galleria Borghese a Roma (2002) e, successivamente, con quella stessa di Michelangelo nel recente episodio Forme per il David presso la Galleria dell’Accademia di Firenze (2004).
In ognuno di questi ‘incontri’, Kounellis ha ribadito il “credo nella pittura italiana che a partire dal suo Rinascimento e per la sua natura controriformista si è dimostrata ideologicamente vasta” e linguisticamente innovativa.
Mattia Preti, con il suo fervore e la sua ‘teatralità’ partecipante, gli appare come un pittore dal robusto impianto narrativo tutt’altro che accademico, capace piuttosto di anticipare e influenzare, come il suo maestro Caravaggio, la grande pittura ‘storica’ a loro successiva, da Géricault a David, da Rubens a Fragonard. Oltretutto, la presenza della pittura di Mattia Preti a Napoli e a Capodimonte, luoghi frequentati a lungo da Kounellis, gli ha certamente consentito, in altre diverse circostanze, di ammirare i soggetti particolarmente drammatici delle pitture dedicate alla preparazione degli affreschi commemorativi per la cessazione della peste di Napoli del 1656.
È in questa ‘meditazione’ propositiva, attraverso un felice e generoso gesto di rilettura di una figura complessa ma rivitalizzante della pittura del Seicento come il Preti, che è possibile, per l’ennesima volta, riconoscere la grande lezione pittorico plastica e al contempo ‘critica’ di Kounellis, uno dei massimi artisti contemporanei che l’Italia può vantare.
06
ottobre 2007
Jannis Kounellis – La storia e il presente
Dal 06 ottobre 2007 al 13 gennaio 2008
arte contemporanea
arti decorative e industriali
arti decorative e industriali
Location
GALLERIA NAZIONALE – PALAZZO ARNONE
Cosenza, Via Gian Vincenzo Gravina, (Cosenza)
Cosenza, Via Gian Vincenzo Gravina, (Cosenza)
Orario di apertura
tutti i giorni dalle 9,30 alle 13,00 e dalle 15,30 alle 18,00 (chiusa il lunedì)
Vernissage
6 Ottobre 2007, ore 17.30
Editore
GLI ORI
Ufficio stampa
CSC SIGMA
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