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Firenze tra Cinque e Seicento
bronzetti e sculture
Comunicato stampa
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L’esposizione dedicata alla scultura fiorentina e toscana in genere di età rinascimentale e del primo periodo barocco, inaugurata al Museo Lia il 9 maggio e visitabile fino al 9 settembre, prende l’avvio dall’importante mostra dedicata a Pietro Tacca, attualmente in corso a Carrara, città natale dell’artista.
La mostra del Lia, che è stata curata da chi scrive con la collaborazione di Francesca Giorgi, nasce proprio con l’intento di illustrare l’ambiente nel quale Pietro Tacca si trovò ad operare, con le necessarie premesse cinquecentesche e quindi gli esiti seicenteschi. Un dialogo con l’importante esposizione monografica allestita al Centro Internazionale per le Arti Plastiche di Carrara, come si è detto, esposizione che vuole restituire il giusto ruolo che spetta a Pietro Tacca, ruolo di certo centrale nella scultura tra manierismo ed età barocca. Nell’ottica di questo dialogo è stato predisposto un biglietto cumulativo che permette la visita congiunta alle due mostre, acquistabile al Museo Lia.
Giambologna, che quando dalle Fiandre giunge a Firenze aveva poco più di venticinque anni, viene introdotto precocemente alla corte di Francesco I, e diventerà ben presto il più abile propugnatore dell’arte della corte medicea, prima di Francesco e poi di Ferdinando, i quali resteranno i gelosi detentori del genio dell’artista. Il Granduca attrezza a sue spese uno studio in Borgo Pinti con annessa fonderia, accanto all'abitazione dell’artista, e Giambologna organizza il proprio lavoro con l’ausilio di numerosi allievi, tra i quali Antonio Susini, presente in mostra con due straordinari bronzi derivati da un modello del maestro per la camera da letto del Granduca e raffiguranti la Vergine e San Giovanni dolenti ai piedi della croce.
E in effetti a bottega, fornitissima di specialisti che prenderanno poi strada autonoma, operano artisti come Antonio Susini, come si è detto, Pietro Francavilla, Giovan Battista Foggini, Pietro Tacca, appunto, discepoli in grado di soddisfare l’enorme richiesta di opere grazie agli stampi e alle matrici fornite dal Maestro.
Giambologna e Ammannati si dividono il merito dell’invenzione e della produzione di animali in bronzo, tutta una serie di volatili, selvatici e da cortile, che potevano essere a dimensione naturale, o a scala ridotta, come nel caso dell’Oca presentata in mostra, da Avery ricondotta con cautela alla produzione di Giovanni Bandini. A Giambologna spetta poi la celeberrima invenzione del toro, desunto di certo da un modello romano ma adattato al gusto contemporaneo, per quel senso del dinamismo e quella resa inconfondibile del movimento che divengono cifra distintiva.
Su questa stessa linea è presentato al pubblico lo splendido Cavallo in corvetta di Ferdinando Tacca, piccolo capolavoro del grande artista, figlio di Pietro e a lui successore nella carica di architetto e scultore di corte alla morte del padre avvenuta nel 1640. Attivo per la famiglia granducale, Ferdinando rispetto al padre sembra prediligere i bronzi di piccolo formato piuttosto che opere monumentali, esibendo sulla scia di Giambologna e di Pietro un’ineguagliabile abilità espressiva della resa dinamica.
Le Vedute di Firenze di Giuseppe Zocchi, pubblicate a metà del XVIII secolo, restituiscono l’immagine della città attraverso le piazze, le strade, i monumenti, limpidi ritratti urbani trasfigurati secondo il gusto del vedutismo di matrice veneziana, al quale Zocchi pare ossequiente dopo gli studi compiuti nella città lagunare. L’Arno, ora smisurato, assomiglia al Canal Grande e i grandi monumenti dinastici di Cosimo e Ferdinando, gli apparati scultorei rappresentati nella loro ineluttabile verità storica raccontano la Firenze degli artisti e dei committenti, dove i segni potenti e indelebili di Giambologna e Pietro Tacca si stagliano imperituri.
Andrea Marmori
La mostra del Lia, che è stata curata da chi scrive con la collaborazione di Francesca Giorgi, nasce proprio con l’intento di illustrare l’ambiente nel quale Pietro Tacca si trovò ad operare, con le necessarie premesse cinquecentesche e quindi gli esiti seicenteschi. Un dialogo con l’importante esposizione monografica allestita al Centro Internazionale per le Arti Plastiche di Carrara, come si è detto, esposizione che vuole restituire il giusto ruolo che spetta a Pietro Tacca, ruolo di certo centrale nella scultura tra manierismo ed età barocca. Nell’ottica di questo dialogo è stato predisposto un biglietto cumulativo che permette la visita congiunta alle due mostre, acquistabile al Museo Lia.
Giambologna, che quando dalle Fiandre giunge a Firenze aveva poco più di venticinque anni, viene introdotto precocemente alla corte di Francesco I, e diventerà ben presto il più abile propugnatore dell’arte della corte medicea, prima di Francesco e poi di Ferdinando, i quali resteranno i gelosi detentori del genio dell’artista. Il Granduca attrezza a sue spese uno studio in Borgo Pinti con annessa fonderia, accanto all'abitazione dell’artista, e Giambologna organizza il proprio lavoro con l’ausilio di numerosi allievi, tra i quali Antonio Susini, presente in mostra con due straordinari bronzi derivati da un modello del maestro per la camera da letto del Granduca e raffiguranti la Vergine e San Giovanni dolenti ai piedi della croce.
E in effetti a bottega, fornitissima di specialisti che prenderanno poi strada autonoma, operano artisti come Antonio Susini, come si è detto, Pietro Francavilla, Giovan Battista Foggini, Pietro Tacca, appunto, discepoli in grado di soddisfare l’enorme richiesta di opere grazie agli stampi e alle matrici fornite dal Maestro.
Giambologna e Ammannati si dividono il merito dell’invenzione e della produzione di animali in bronzo, tutta una serie di volatili, selvatici e da cortile, che potevano essere a dimensione naturale, o a scala ridotta, come nel caso dell’Oca presentata in mostra, da Avery ricondotta con cautela alla produzione di Giovanni Bandini. A Giambologna spetta poi la celeberrima invenzione del toro, desunto di certo da un modello romano ma adattato al gusto contemporaneo, per quel senso del dinamismo e quella resa inconfondibile del movimento che divengono cifra distintiva.
Su questa stessa linea è presentato al pubblico lo splendido Cavallo in corvetta di Ferdinando Tacca, piccolo capolavoro del grande artista, figlio di Pietro e a lui successore nella carica di architetto e scultore di corte alla morte del padre avvenuta nel 1640. Attivo per la famiglia granducale, Ferdinando rispetto al padre sembra prediligere i bronzi di piccolo formato piuttosto che opere monumentali, esibendo sulla scia di Giambologna e di Pietro un’ineguagliabile abilità espressiva della resa dinamica.
Le Vedute di Firenze di Giuseppe Zocchi, pubblicate a metà del XVIII secolo, restituiscono l’immagine della città attraverso le piazze, le strade, i monumenti, limpidi ritratti urbani trasfigurati secondo il gusto del vedutismo di matrice veneziana, al quale Zocchi pare ossequiente dopo gli studi compiuti nella città lagunare. L’Arno, ora smisurato, assomiglia al Canal Grande e i grandi monumenti dinastici di Cosimo e Ferdinando, gli apparati scultorei rappresentati nella loro ineluttabile verità storica raccontano la Firenze degli artisti e dei committenti, dove i segni potenti e indelebili di Giambologna e Pietro Tacca si stagliano imperituri.
Andrea Marmori
09
maggio 2007
Firenze tra Cinque e Seicento
Dal 09 maggio al 09 settembre 2007
arte antica
Location
MUSEO CIVICO AMEDEO LIA
La Spezia, Via Del Prione, 234, (La Spezia)
La Spezia, Via Del Prione, 234, (La Spezia)
Vernissage
9 Maggio 2007, ore 18
Curatore