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Stefano Babboni – Sogni. Tempi non vissuti
Rarefatte presenze, nate dall’impronta del viso dell’artista, i Sogni evocano un mondo di pace, un silenzioso limbo sfiorato da effimere sindoni di fantasmi. Sottotitolo di questa mostra è Tempi non vissuti, a indicare che il tempo del sonno e dei sogni è tempo rubato alla vita reale, alle nostre azioni quotidiane
Comunicato stampa
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Sogni. Tempi non vissuti
di Maria Livia Brunelli
Rarefatte presenze, nate dall’impronta del viso dell’artista, i Sogni evocano un mondo di pace, un silenzioso limbo sfiorato da effimere sindoni di fantasmi. Sottotitolo di questa mostra è Tempi non vissuti, a indicare che il tempo del sonno e dei sogni è tempo rubato alla vita reale, alle nostre azioni quotidiane.
Il lavoro pittorico di Stefano Babboni è intimamente legato alla sua storia personale, al ricordo del fratello che si chiamava come lui e che morì due anni prima che il pittore nascesse. Non è un caso che egli abbia scelto come mezzo espressivo proprio un’azione fortemente fisica, performativa: il calco del suo stesso corpo, o di quello di amici, su tele e tavole di legno. L'artista evoca in questo modo il suo doppio, quella presenza fraterna che porta il suo stesso nome, che continua a esistere dentro di lui...Un tentativo di riappropriarsi di presenze perdute che Babboni sente la necessità di richiamare in vita, stentate ombre chiare che emergono dal buio totale delle tenebre.
Ma come fa l'artista a realizzare questi calchi di corpi umani ottenendo effetti così evocativi e suggestivi? Babboni stende una sostanza chiamata fusaggine, che non è altro che legno di salice carbonizzato, su grandi o piccoli supporti, tele nude o tavole di legno trattate con fondi bianchi smaltati; una volta applicata questa sostanza, il fondo, polveroso, è pronto per essere impresso. Il corpo nudo si adagia a terra lasciando la sua impronta in negativo: sul corpo rimane il materiale polveroso, la fusaggine, mentre, a terra, appare l'impronta biancastra.
Successivamente, mediante un procedimento in togliere, vengono asportate alcune tracce o ritoccati alcuni particolari, per creare maggiori contrasti tra zone bianche e zone scure. Una volta terminato il processo in levare, vengono applicati fissativi e steso un fondo nero a olio che contorna i soggetti.
“Il mio lavoro – spiega il giovane artista di origini toscane – è basato su un processo di catarsi e liberazione. Da sempre l'uomo adotta strategie per scacciare i propri fantasmi. Io non faccio altro che rappresentarli. Queste impronte testimoniano la mia esistenza. Tutto si può dire e tutto si può negare, ma una cosa è certa: ci ritroviamo vivi, per o contro la nostra volontà...e questo a volte rimane l'unico vero grande interrogativo. I corpi apparentemente persi, fluttuanti nel vuoto nero, trovano la loro personalità nella decontestualizzazione, poichè è spesso il contesto a spersonalizzare gli individui; la mia è una ricerca della personalità”.
Se la spigolosa crudezza dei calchi corporei richiama alla mente il realismo tragico di Zoran Music, o l’inquietante raffinatezza di Giovanni Manfredini, questi ultimi dipinti, ovattati e preziosi, riecheggiano il simbolismo impalpabile e soffuso di Odilon Redon. Redon ritrovava proprio nei sogni, da lui definiti “doni della natura” capaci di attingere all’indefinito, linfa per la sua pittura chiaroscurata, ombrosa, noir, popolata di creature notturne (“il nero è più spirituale del più bel colore della tavolozza o del prisma”, diceva).
I Sogni di Babboni appartengono a un ciclo in cui solo i volti, sede della mente, vengono rappresentati: essi sono il legame con il tempo non vissuto, rappresentano il completamento, l'unione del vissuto con il non vissuto, del conscio con l'inconscio.
Pensosi, riflessivi, in ascolto della loro anima, questi volti intendono nella volontà dell’autore riportare lo spettatore dentro se stesso, farlo astrarre, rapirlo per un momento al materialismo caotico della vita di tutti i giorni e accompagnarlo con garbo verso il suo silenzio interiore, verso un raccoglimento lirico. Gli occhi chiusi, i colori spenti ed essenziali sono funzionali a questo sottile invito all’introspezione, a una meditazione su quel processo magico e ancora in parte misterioso che coinvolge le nostre menti nel momento in cui chiudiamo le palpebre e ci addormentiamo.
di Maria Livia Brunelli
Rarefatte presenze, nate dall’impronta del viso dell’artista, i Sogni evocano un mondo di pace, un silenzioso limbo sfiorato da effimere sindoni di fantasmi. Sottotitolo di questa mostra è Tempi non vissuti, a indicare che il tempo del sonno e dei sogni è tempo rubato alla vita reale, alle nostre azioni quotidiane.
Il lavoro pittorico di Stefano Babboni è intimamente legato alla sua storia personale, al ricordo del fratello che si chiamava come lui e che morì due anni prima che il pittore nascesse. Non è un caso che egli abbia scelto come mezzo espressivo proprio un’azione fortemente fisica, performativa: il calco del suo stesso corpo, o di quello di amici, su tele e tavole di legno. L'artista evoca in questo modo il suo doppio, quella presenza fraterna che porta il suo stesso nome, che continua a esistere dentro di lui...Un tentativo di riappropriarsi di presenze perdute che Babboni sente la necessità di richiamare in vita, stentate ombre chiare che emergono dal buio totale delle tenebre.
Ma come fa l'artista a realizzare questi calchi di corpi umani ottenendo effetti così evocativi e suggestivi? Babboni stende una sostanza chiamata fusaggine, che non è altro che legno di salice carbonizzato, su grandi o piccoli supporti, tele nude o tavole di legno trattate con fondi bianchi smaltati; una volta applicata questa sostanza, il fondo, polveroso, è pronto per essere impresso. Il corpo nudo si adagia a terra lasciando la sua impronta in negativo: sul corpo rimane il materiale polveroso, la fusaggine, mentre, a terra, appare l'impronta biancastra.
Successivamente, mediante un procedimento in togliere, vengono asportate alcune tracce o ritoccati alcuni particolari, per creare maggiori contrasti tra zone bianche e zone scure. Una volta terminato il processo in levare, vengono applicati fissativi e steso un fondo nero a olio che contorna i soggetti.
“Il mio lavoro – spiega il giovane artista di origini toscane – è basato su un processo di catarsi e liberazione. Da sempre l'uomo adotta strategie per scacciare i propri fantasmi. Io non faccio altro che rappresentarli. Queste impronte testimoniano la mia esistenza. Tutto si può dire e tutto si può negare, ma una cosa è certa: ci ritroviamo vivi, per o contro la nostra volontà...e questo a volte rimane l'unico vero grande interrogativo. I corpi apparentemente persi, fluttuanti nel vuoto nero, trovano la loro personalità nella decontestualizzazione, poichè è spesso il contesto a spersonalizzare gli individui; la mia è una ricerca della personalità”.
Se la spigolosa crudezza dei calchi corporei richiama alla mente il realismo tragico di Zoran Music, o l’inquietante raffinatezza di Giovanni Manfredini, questi ultimi dipinti, ovattati e preziosi, riecheggiano il simbolismo impalpabile e soffuso di Odilon Redon. Redon ritrovava proprio nei sogni, da lui definiti “doni della natura” capaci di attingere all’indefinito, linfa per la sua pittura chiaroscurata, ombrosa, noir, popolata di creature notturne (“il nero è più spirituale del più bel colore della tavolozza o del prisma”, diceva).
I Sogni di Babboni appartengono a un ciclo in cui solo i volti, sede della mente, vengono rappresentati: essi sono il legame con il tempo non vissuto, rappresentano il completamento, l'unione del vissuto con il non vissuto, del conscio con l'inconscio.
Pensosi, riflessivi, in ascolto della loro anima, questi volti intendono nella volontà dell’autore riportare lo spettatore dentro se stesso, farlo astrarre, rapirlo per un momento al materialismo caotico della vita di tutti i giorni e accompagnarlo con garbo verso il suo silenzio interiore, verso un raccoglimento lirico. Gli occhi chiusi, i colori spenti ed essenziali sono funzionali a questo sottile invito all’introspezione, a una meditazione su quel processo magico e ancora in parte misterioso che coinvolge le nostre menti nel momento in cui chiudiamo le palpebre e ci addormentiamo.
08
giugno 2007
Stefano Babboni – Sogni. Tempi non vissuti
Dall'otto giugno al 09 luglio 2007
arte contemporanea
Location
PRISCIANI ARTSUITE
Ferrara, Via Giuseppe Garibaldi, 70, (Ferrara)
Ferrara, Via Giuseppe Garibaldi, 70, (Ferrara)
Orario di apertura
18,00 – 20,00 (solo venerdì, sabato e Domenica)
Autore
Curatore