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Il crepuscolo delle dee
Idealità classica e scultura moderna a Torino, 1920-1990
Comunicato stampa
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La mostra intende documentare un preciso filone all’interno della ricerca plastica piemontese, sviluppatosi a partire dagli anni venti del Novecento e mosso dal talento isolato di alcuni scultori che andavano allora riflettendo sul concetto platonico di bellezza ideale. Tali artisti ostentavano una certa indipendenza “ideologica”, svincolati com’erano da qualsivoglia corrente classicista ufficialmente codificata: essi si consacrarono a una sperimentazione tridimensionale imperniata sulla quasi scientifica applicazione di criteri armonico-matematici, intrinseci alle questioni compositive e di statica, nonché condizionanti rispetto ai problemi del modellare o dello scolpire la materia, oppure ancora del trattare le superfici diverse. Il risultato fu una sorta di particolarissimo purismo lirico, solo raramente increspato dall’eco di vaghe inquietudini contemporanee, che si espresse in modo privilegiato tramite la raffigurazione di immoti nudi femminili (dee al crepuscolo della tradizione figurativa, appunto) e che affondava le proprie radici culturali nelle lontane elucubrazioni teoretiche di Winckelmann.
Già, Winkelmann... Facciamo un passo indietro: nel 1755 Johann Joaquim Winckelmann, il più sofisticato teorico del neoclassicismo, pubblicava le Considerazioni sull’imitazione delle opere greche nella pittura e nella scultura; nel 1763 dava ai torchi la Storia dell’arte nell’antichità. In questi saggi programmatici egli si faceva portavoce del primato dello stile classico (soprattutto greco, proiettato in una dimensione “altra”: al di là della realtà storica), uno stile usato in qualità di strumento principe per attingere alle vette della bellezza «ideale», che voleva caratterizzata da «nobile semplicità e calma grandezza». Winckelmann considerava l’arte quale espressione di «un’idea concepita senza il soccorso dei sensi». Si trattava di un formalismo, quindi, tutto cerebrale e razionale, figlio di un’estetica refrattaria alle passioni e fondata su canoni di bellezza astratta. Da noi le teorie dell’erudito brandeburghese riverberarono immediatamente, e in maniera eclatante, sul genio di Antonio Canova. La scultura infatti, più di ogni altra arte, sembrò adatta a far resuscitare una classicità talmente idealizzata.
Ecco così che, a Torino, un ristretto novero di scultori (citiamo, in primis, Roberto Terracini, Adriano Alloati e Giovanni Taverna: tutti parimenti distanti da “Valori Plastici” e Novecento, dal déco quanto dalla più aulica e ufficiale estetica neolatina di marca littoria) si fece cantore ispirato di un ultimo (forse estremo) neoclassicismo grecizzante; un gusto d’ascendenza filosofica, rigoroso e tendente all’assoluto ma percorso da sottesi fremiti poetici, vagheggiato – dicevamo – attraverso la rappresentazione di figure femminili e attraverso i nitidi volumi della loro purezza trascendente: ieratica bellezza senza “tendini né vene”, sublime, incontaminata da sangue e umori.
Già, Winkelmann... Facciamo un passo indietro: nel 1755 Johann Joaquim Winckelmann, il più sofisticato teorico del neoclassicismo, pubblicava le Considerazioni sull’imitazione delle opere greche nella pittura e nella scultura; nel 1763 dava ai torchi la Storia dell’arte nell’antichità. In questi saggi programmatici egli si faceva portavoce del primato dello stile classico (soprattutto greco, proiettato in una dimensione “altra”: al di là della realtà storica), uno stile usato in qualità di strumento principe per attingere alle vette della bellezza «ideale», che voleva caratterizzata da «nobile semplicità e calma grandezza». Winckelmann considerava l’arte quale espressione di «un’idea concepita senza il soccorso dei sensi». Si trattava di un formalismo, quindi, tutto cerebrale e razionale, figlio di un’estetica refrattaria alle passioni e fondata su canoni di bellezza astratta. Da noi le teorie dell’erudito brandeburghese riverberarono immediatamente, e in maniera eclatante, sul genio di Antonio Canova. La scultura infatti, più di ogni altra arte, sembrò adatta a far resuscitare una classicità talmente idealizzata.
Ecco così che, a Torino, un ristretto novero di scultori (citiamo, in primis, Roberto Terracini, Adriano Alloati e Giovanni Taverna: tutti parimenti distanti da “Valori Plastici” e Novecento, dal déco quanto dalla più aulica e ufficiale estetica neolatina di marca littoria) si fece cantore ispirato di un ultimo (forse estremo) neoclassicismo grecizzante; un gusto d’ascendenza filosofica, rigoroso e tendente all’assoluto ma percorso da sottesi fremiti poetici, vagheggiato – dicevamo – attraverso la rappresentazione di figure femminili e attraverso i nitidi volumi della loro purezza trascendente: ieratica bellezza senza “tendini né vene”, sublime, incontaminata da sangue e umori.
24
maggio 2007
Il crepuscolo delle dee
Dal 24 maggio al 28 luglio 2007
arte contemporanea
Location
WEBER & WEBER ARTE MODERNA E CONTEMPORANEA
Torino, Via San Tommaso, 7, (Torino)
Torino, Via San Tommaso, 7, (Torino)
Orario di apertura
da martedì a sabato 15.30-19.30
Vernissage
24 Maggio 2007, ore 17-21
Autore
Curatore