21 novembre 2012

L’intervista/Ian Davenport L’incontrollabile forza del colore

 
Da enfant prodige della Young British Artists generation ad una profonda maturità artistica che lo ha consacrato maestro del nuova corrente astrattista. Ian Davenport (Kent, 1966) è a Roma da Giacomo Guidi Arte Contemporanea con la mostra "Reflex" a cura di Luca Massimo Barbero. Exibart ha intervistato l'artista inglese alla ricerca del punto più interno ed affascinante della sua carica creativa. Ecco la sua testimonianza

di

Nella galleria, romana, oltre ad un nuovo gruppo di Puddle Paintings, Davenport ha creato un wall drawing che si lega idealmente alla Stanza della Segnatura
affrescata da Raffaello nei Musei Vaticani, sintetizzandone i colori e
riprogrammandoli all’interno di una creazione site specific. Organici
flussi di colore scorrono innanzi lo spettatore, mentre un travolgente
ritmo, regolato dalla gravità e dalla forza degli elementi, scandisce la
perfetta sintesi di simboli e visioni che l’artista inglese riorganizza
all’interno delle sue opere. Che lui racconta così

Il tuo lavoro attraversa una vasta
gamma di riferimenti storici da Motherwell a Barnett Newman, Rothko e
così via, ma non si tratta di una semplice citazione o influenza. Mi
sembra che sia la naturale evoluzione della pittura astratta, mi
sbaglio?

«No, non sbagli affatto. Tutto questo per me fa parte di un grande
linguaggio espressivo creato da alcuni degli artisti che hai menzionato
che io mi sento di utilizzare, sviluppare e trasformare in qualcosa
d’altro. Dopotutto non puoi ignorare il fatto che qualcun altro abbia
inventato la ruota! Ma si tratta della naturale evoluzione di un certo
approccio alla pittura».

Robert Rauschenberg creò i White Paintings
per ridurre la pittura alla sua natura essenziale e per riflettere la
realtà come all’interno di uno specchio. I tuoi dipinti invece sono
pieni di colori, quali sono le differenze tra il tuo pensiero e quello
di Rauschenberg?

«Alcuni dei miei primi lavori sono molto vicini ai White Paintings,
che Infatti erano monocromatici, neri o grigi, creati utilizzando
vernice industriale opaca o lucida. Ricordo che dopo averci lavorato per
un anno, ho iniziato a dipingere lo sfondo in giallo, è stato un vero
shock! Nell’arco di un ventennio di attività mi sono ritrovato ad essere
più a mio agio utilizzando il colore ed ho cercato di sfruttare al
meglio le sue incredibili qualità».

La tua tecnica pittorica è fortemente
sperimentale. Solitamente essa implica l’uso di siringhe e grandi
ventilatori per controllare e stendere il colore. Pensi che sia
importante infrangere le regole per raggiungere nuovi traguardi in
pittura?

«Si, è importante mettere continuamente in discussione anche le
certezze del passato. Vale per l’arte, ma anche per tutto il resto. Da
studente mi colpì tantissimo l’incontro con un professore il quale mi
disse che non era assolutamente possibile combinare alcuni tipi di
materiali. Per tutta risposta ho fatto il contrario di ciò che mi era
stato detto, provando un senso di liberazione e di compiaciuta
cattiveria nel farlo, insomma mi sono divertito. Queste sperimentazioni
hanno aperto le porte ad un nuovo modo di pensare la mia stessa
creatività. A volte può sembrar ragionevole utilizzare lo strumento
giusto per un determinato compito, ma io ho utilizzato sempre strumenti
diversi per raggiungere i miei obiettivi, per creare le mie opere.
Ventilatori, annaffiatoi, spille, chiodi e altre cose simili. Sulle
prime può sembrar strano ma il mio scopo era chiedermi costantemente:
“cosa succederebbe se creassi un dipinto senza usare il pennello? E se
invece di utilizzare la tela, scegliessi qualcosa di diverso? Fino a
quanto si può sperimentare?”. Al momento uso delle siringhe per
distribuire il colore sulle opere. Anche se è stata pensata per altri
scopi, la siringa è perfetta per controllare le materiche liquidità che
uso nei miei dipinti».

Quindi possiamo dire che in un certo
senso i tuoi dipinti sovvertono l’idea stessa della pittura…pensi che
questo tuo processo creativo sia strettamente connesso alla scultura o
alla performance art?

«Per me creare un’opera è sempre una performance. Solitamente i dipinti
vengono ultimati in una singola seduta e l’intera sequenza di colori
viene organizzata prima di cominciare a dipingere. Dopo di ciò vengo
totalmente assorbito dalla pratica pittorica. Creare il grande wall
painting presente in galleria è stato come eseguire una performance,
visto che sono stato costantemente in vista ed esposto al pubblico, per
tutta la durata dei lavori. Va inoltre detto che, prima dell’esecuzione
di ogni opera, valuto le qualità fisiche dei materiali da utilizzare.
Questo perché i miei dipinti dipendono dai movimenti del colore ed il
suo scorrere sulla superficie, una caratteristica strettamente connessa
alla pratica scultorea. In effetti il mio modus operandi è più vicino a
quello di uno scultore che a quello di un pittore».

Ammirando i dipinti si è portati a
pensare che il tuo lavoro si basi esclusivamente su tecnica ed estetica,
ma in realtà la tua ispirazione proviene da vari elementi visivi come
ad esempio gli affreschi italiani e altri simboli della cultura
popolare. Puoi parlaci di questo particolare processo creativo?

«Ho per lungo tempo studiato la storia dell’arte. Quando ho visitato
l’Italia per la prima volta, sono stato letteralmente colpito
dall’immediatezza dei grandi maestri nel dipingere direttamente sulla
parete. A quel tempo ero impegnato nella creazione di opere dalla
preparazione assai laboriosa e quell’immediatezza mi ha affascinato. Ho
inoltre riflettuto sulla straordinarietà del produrre un’opera site
specific strettamente contemporanea che al tempo stesso si riallaccia
alla storia dell’arte ed alla cultura. È possibile controllare un’ampia
varietà di aspetti dell’esperienza visiva e questo mi sembra un concetto
estremamente importante ed interessante. Parlando dei vari elementi
visivi e della loro ampiezza, mi piacciono i cartoons come i Simpson,
con colori intensi e vividi. Allo stesso tempo rimango totalmente
abbagliato dal blu cobalto utilizzato da Giotto per la Cappella degli
Scrovegni di Padova. Sembrerà strano, ma entrambi gli elementi possono
trasformarsi in un punto di partenza per la mia pittura. Penso sia
importante tentare di sorprendere costantemente il consono spettro
cromatico».

Spesso lasci che sia la forza di
gravità a stendere i colori sulle superfici. Pensi che sia possibile
controllare lo scorrere del colore, ma impossibile controllare il fato e
le forze della natura?

«La gravità è una forza immensa all’interno delle nostre vite e molto
spesso la diamo per scontata. Viviamo ancorati su un pianeta che
sfreccia attorno al sole ed è meraviglioso! Io penso di essere attratto
da queste forze naturali. Mi piace il fatto di poter controllare
accuratamente alcuni aspetti del mio lavoro mentre altri sono totalmente
incontrollabili»».

Le
tue linee ed i tuoi colori sono pieni di ritmo come all’interno di una
partitura musicale. Quanto è importante la musica nel tuo lavoro?

«Ho sempre amato fare musica ed ho trovato la giusta maniera per
replicare tutto questo all’interno dei miei dipinti. Parlare di musica
in relazione alla pittura astratta potrà sembrarvi un clichè, ma per me è
un argomento estremamente importante. Lo spazio temporale in cui viene
tracciata la linea di colore è simile ad una battuta ritmica e spesso mi
viene da pensare che ogni mia composizione sia simile ad una partitura
musicale».

Una cosa che mi ha colpito del tuo
lavoro è la maniera in cui i dipinti dialogano con lo spazio. Puoi
parlarci della presente mostra e di questo tuo modo di influire
sull’ambiente?

«Da Giacomo Guidi ho deciso di mettere in mostra un gruppo recente di dipinti intitolato Puddle Paintings.
Queste opere si sono evolute quasi per caso. Ho notato alcune linee di
pittura fresca che gocciolavano sul suolo e si raccoglievano formando
una sorta di pozza colorata. Il risultato era talmente bello che ho
voluto inserirlo nel mio lavoro. Ho trovato il modo di lavorare su fogli
di acciaio inossidabile talmente fini da poter essere piegati e
successivamente rimessi  nella posizione iniziale una volta asciugata la
pozza di pittura. Queste “Puddles” creano quindi un effetto
tridimensionale fuori dal comune che sembra proiettarsi direttamente nel
campo visivo dello spettatore».


La pittura sta morendo, o almeno
questo è quanto affermano in molti. Qualche volta si ha la sensazione
che la pittura sia stata lasciata un poco indietro rispetto alla
rivoluzione tecnologica, ad un certo punto tutti si sono buttati nella
video arte e nell’installazione. Cosa ne pensi?

«È lecito sperimentare le nuove tecnologie in ogni ambito creativo. per
quanto mi riguarda il computer mi ha fatto risparmiare molto tempo e mi
ha offerto nuove metodologie di lavoro. La pittura è un medium talmente
complesso ed affascinante che mi sembra assurdo parlare di una sua
“morte”».

Cosa è cambiato, se è cambio qualcosa ovviamente, nell’arte dai tempi dell’esperienza Young British Artists?

«Quello che salta all’occhio è il sempre più crescente numero di
gallerie presenti a Londra e l’interesse generale nei confronti
dell’arte contemporanea. Ai tempi del college c’erano più o meno cinque
gallerie che avevano voglia di puntare su giovani artisti. Ora saranno
duecento! Ripensando ai giovani artisti degli anni Novanta, molti di
loro mi hanno colpito per la coerenza mostrata sin dagli inizi
carriera».

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