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Gianfranco Setzu – Twenty Times Andy
A vent’anni esatti dalla morte di Andy Warhol l’artista Gianfranco Setzu gli rende omaggio con una mostra raffinata e ironica
Comunicato stampa
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A vent’anni esatti dalla morte di Andy Warhol l’artista Gianfranco Setzu gli rende omaggio con una mostra raffinata e ironica. Curata da Ivo Serafino Fenu, si intitola TWENTY TIMES ANDY e gioca, sia nel titolo sia nell’allestimento, sul numero due, carico di valori simbolici per un protagonista assoluto dell’arte del Novecento, la cui lezione è ancora imprescindibile per la cultura contemporanea. Si inaugura giovedì 22 febbraio alle 19 alla Galleria Capitol di Cagliari in piazza del Carmine.
ll 22 febbraio del 1987, per una banale operazione chirurgica, moriva Andy Warhol. Fu uno shock, e non solo per il mondo dell’arte: nessuno avrebbe immaginato che l’uomo sopravvissuto a tre colpi di pistola, già in vita “icona” immortale, potesse morire così presto e in modo così banale. Come un prodotto, che rinnova il suo packaging e ritorna in nuove vesti commerciali, anche Andy doveva tornare. Qualcuno ipotizzò per lui, come per Elvis e Jim Morrison, una finta morte, perché potesse continuare a vivere con una nuova identità: «Vorrei una pietra tombale senza iscrizioni di sorta. Nessun epitaffio, neppure il nome. Anzi no, mi piacerebbe che ci fosse scritto sopra “finzione”». Gianfranco Setzu , a vent’anni esatti dalla morte, con TWENTY TIMES ANDY, fa “tornare” l’artista in modo quanto mai inverecondo e cinico, un modo che, tuttavia, sarebbe piaciuto moltissimo a colui che volle così sintetizzarsi: «Io ho cominciato come artista commerciale e voglio finire come artista del business», perché, sosteneva, «l’arte migliore è il business». Venderne l’immagine, l’“aura” che egli stesso aveva bloccato in numerosi autoritratti depurati di tutte “le condizioni temporanee” che avrebbero potuto deturparli (i brufoli), è quanto di più prossimo alla poetica warholiana del “prodotto”. Era sua, del resto, la convinzione che l’aspirazione massima della contemporaneità fosse il mercato, la vendita e la possibile commercializzazione di tutto. L’arte del commercio e il commercio dell’arte non hanno implicazioni morali né accenti critici, esistono e basta, Warhol amava dire che «tutti i grandi magazzini diverranno musei e tutti i musei diverranno grandi magazzini». Gianfranco Setzu, dal canto suo, estremizzandone la poetica e con la stessa vena ironica prossima al sarcasmo, elabora il sillogismo per cui le gallerie, grandi magazzini dell’arte, per fare arte devono fare commercio e, dunque, l’arte è un prodotto da grande magazzino. I cuscini di Setzu sono “prodotti” che giocano con l’aura di Andy ma si pongono, contemporaneamente, come icone funerarie non prive di una qualche sacralità frequente anche nella prassi dell’artista newyorkese. Sposano infine, come avrebbe fatto lui, la serialità e la moltiplicazione dell’immagine-prodotto senza rinunciare a raffinati e certosini interventi manuali che fanno di ognuno di essi un’opera unica. Per Gianfranco Setzu vendere Andy è un atto d’amore, è l’epifania della sua poetica: Andy è morto, W Andy!
Ivo Serafino Fenu
ll 22 febbraio del 1987, per una banale operazione chirurgica, moriva Andy Warhol. Fu uno shock, e non solo per il mondo dell’arte: nessuno avrebbe immaginato che l’uomo sopravvissuto a tre colpi di pistola, già in vita “icona” immortale, potesse morire così presto e in modo così banale. Come un prodotto, che rinnova il suo packaging e ritorna in nuove vesti commerciali, anche Andy doveva tornare. Qualcuno ipotizzò per lui, come per Elvis e Jim Morrison, una finta morte, perché potesse continuare a vivere con una nuova identità: «Vorrei una pietra tombale senza iscrizioni di sorta. Nessun epitaffio, neppure il nome. Anzi no, mi piacerebbe che ci fosse scritto sopra “finzione”». Gianfranco Setzu , a vent’anni esatti dalla morte, con TWENTY TIMES ANDY, fa “tornare” l’artista in modo quanto mai inverecondo e cinico, un modo che, tuttavia, sarebbe piaciuto moltissimo a colui che volle così sintetizzarsi: «Io ho cominciato come artista commerciale e voglio finire come artista del business», perché, sosteneva, «l’arte migliore è il business». Venderne l’immagine, l’“aura” che egli stesso aveva bloccato in numerosi autoritratti depurati di tutte “le condizioni temporanee” che avrebbero potuto deturparli (i brufoli), è quanto di più prossimo alla poetica warholiana del “prodotto”. Era sua, del resto, la convinzione che l’aspirazione massima della contemporaneità fosse il mercato, la vendita e la possibile commercializzazione di tutto. L’arte del commercio e il commercio dell’arte non hanno implicazioni morali né accenti critici, esistono e basta, Warhol amava dire che «tutti i grandi magazzini diverranno musei e tutti i musei diverranno grandi magazzini». Gianfranco Setzu, dal canto suo, estremizzandone la poetica e con la stessa vena ironica prossima al sarcasmo, elabora il sillogismo per cui le gallerie, grandi magazzini dell’arte, per fare arte devono fare commercio e, dunque, l’arte è un prodotto da grande magazzino. I cuscini di Setzu sono “prodotti” che giocano con l’aura di Andy ma si pongono, contemporaneamente, come icone funerarie non prive di una qualche sacralità frequente anche nella prassi dell’artista newyorkese. Sposano infine, come avrebbe fatto lui, la serialità e la moltiplicazione dell’immagine-prodotto senza rinunciare a raffinati e certosini interventi manuali che fanno di ognuno di essi un’opera unica. Per Gianfranco Setzu vendere Andy è un atto d’amore, è l’epifania della sua poetica: Andy è morto, W Andy!
Ivo Serafino Fenu
22
febbraio 2007
Gianfranco Setzu – Twenty Times Andy
Dal 22 febbraio al 22 marzo 2007
arte contemporanea
Location
CAPITOL ARTE CONTEMPORANEA
Cagliari, Piazza Del Carmine, 14, (Cagliari)
Cagliari, Piazza Del Carmine, 14, (Cagliari)
Vernissage
22 Febbraio 2007, ore 19
Autore
Curatore