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Vittorio Messina – Dei sensi e altro, per dire così, domani
Vittorio Messina esibisce i propri canoni ordinando uno spazio che si sottrae alle regole funzionaliste o ai precetti consueti di un abitare
Comunicato stampa
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Freud racconta che durante una passeggiata sulle Dolomiti con il suo amico Rilke, questi avanzava a testa bassa e in silenzio come se ciò che la natura gli stava offrendo non fosse per il poeta motivo di gioia, ma di mestizia. Sarà ancora Freud a commentare che Rilke non poteva accettare la caducità della natura, “che tutta quella bellezza fosse destinata a perire”. L’asservimento alla bellezza significa anche contemplare il suo tramonto e assumere il tempo della sua vita. Una vita e un tempo di cui siamo gli impotenti testimoni della loro fine. Accanto a quel bagliore c’è qualcosa di estremamente prossimo, una destinazione irrevocabile, un oltre che le vieta di restare per sempre. Forse per questo il poeta deve fare i conti, secondo Schiller, con due sentimenti e due rappresentazioni discordanti, la realtà che è il suo limite e la sua idea che è il suo infinito.
Ma accanto alla mestizia che accompagna lo sguardo c’è lode e gloria per le cose, che nella nuda realtà, si rendono inaccessibili. E all’arte, che non cerca verifiche, non resta che accedere abusivamente nel corso indeterminato degli eventi e cogliere nel reale quell’insufficienza che non estranea, ma obbliga al mondo.
Vittorio Messina esibisce i propri canoni ordinando uno spazio che si sottrae alle regole funzionaliste o ai precetti consueti di un abitare. Il senso delle sue opere non è mai separabile da una condizione elementare che trova nell’eccellenza del fare la ragione di un processo che va a coincidere con il suo stesso mandato. La personale a Roma presso la Galleria di Giacomo Guidi si annuncia con un titolo non del tutto imprevedibile nella consuetudine alla quale l’artista ci ha abituati. “dei sensi e altro, per dire così, domani” – questo il titolo, non introduce esplicitamente alla visione delle opere realizzate, tutte, per la circostanza. Queste rimandano invece, come in altre occasioni – si pensi al ‘Village and its surroundings (Halifax, 1999), o al ‘SDF o dei percorsi circolari’ (Berlino, 1997), o alle più recenti installazioni di Modena (2002) e di Metz (2004), ad una iconografia urbana e ad una eventualità prossima al paesaggio delle periferie metropolitane. L’eterogeneità dei materiali non autorizza a contraffazioni o forzature; qui non è in gioco l’ironia o il paradosso, anzi il lavoro si prende cura delle cose e ne ridefinisce, in nome di una fatica quasi estrema, il senso in una sorta di ibridismo sognante. Ancora tutto è insieme e tutto si lega, trovando le ragioni non solo fisiche di configurarsi in un modello formale che non è mai improprio, ma soltanto indifferente al dogma della rappresentazione o dell’attribuzione simbolica. Luoghi, prima ancora che architetture, in cui si dà ospitalità a veri atti sorgivi compiuti in una sorta di dormiveglia tra progetto e caso, tra dominio della materia e apatia.
Messina persegue il filo dell’indeterminazione heisenberghiana. Le sue forme non sono mai concluse, i suoi spazi mai demarcati. Le sue opere trovano la loro definizione nell’attualità della sospensione del lavoro che si compie senza però esaurirsi. Sarebbe ingannevole per non dire improduttivo risalire il processo costruttivo per trovare le ragioni di ciò che ne decreta la soluzione finale. Non è importante conoscere cosa decida l’interruzione, certo è che questo gesto appare estremamente evidente, quasi eversivo, nel senso latino di rovina. Dove avviene il guasto? Cosa mette fine alla catena di azioni e di artifici? Una vertigine che trascina l’intero decorso, ogni singolo materiale, la sua consistenza e compatibilità, lo stare tra equilibrio naturale e prodigio. A questa fine si rimette il senso dell’intera opera di Messina.
Ma accanto alla mestizia che accompagna lo sguardo c’è lode e gloria per le cose, che nella nuda realtà, si rendono inaccessibili. E all’arte, che non cerca verifiche, non resta che accedere abusivamente nel corso indeterminato degli eventi e cogliere nel reale quell’insufficienza che non estranea, ma obbliga al mondo.
Vittorio Messina esibisce i propri canoni ordinando uno spazio che si sottrae alle regole funzionaliste o ai precetti consueti di un abitare. Il senso delle sue opere non è mai separabile da una condizione elementare che trova nell’eccellenza del fare la ragione di un processo che va a coincidere con il suo stesso mandato. La personale a Roma presso la Galleria di Giacomo Guidi si annuncia con un titolo non del tutto imprevedibile nella consuetudine alla quale l’artista ci ha abituati. “dei sensi e altro, per dire così, domani” – questo il titolo, non introduce esplicitamente alla visione delle opere realizzate, tutte, per la circostanza. Queste rimandano invece, come in altre occasioni – si pensi al ‘Village and its surroundings (Halifax, 1999), o al ‘SDF o dei percorsi circolari’ (Berlino, 1997), o alle più recenti installazioni di Modena (2002) e di Metz (2004), ad una iconografia urbana e ad una eventualità prossima al paesaggio delle periferie metropolitane. L’eterogeneità dei materiali non autorizza a contraffazioni o forzature; qui non è in gioco l’ironia o il paradosso, anzi il lavoro si prende cura delle cose e ne ridefinisce, in nome di una fatica quasi estrema, il senso in una sorta di ibridismo sognante. Ancora tutto è insieme e tutto si lega, trovando le ragioni non solo fisiche di configurarsi in un modello formale che non è mai improprio, ma soltanto indifferente al dogma della rappresentazione o dell’attribuzione simbolica. Luoghi, prima ancora che architetture, in cui si dà ospitalità a veri atti sorgivi compiuti in una sorta di dormiveglia tra progetto e caso, tra dominio della materia e apatia.
Messina persegue il filo dell’indeterminazione heisenberghiana. Le sue forme non sono mai concluse, i suoi spazi mai demarcati. Le sue opere trovano la loro definizione nell’attualità della sospensione del lavoro che si compie senza però esaurirsi. Sarebbe ingannevole per non dire improduttivo risalire il processo costruttivo per trovare le ragioni di ciò che ne decreta la soluzione finale. Non è importante conoscere cosa decida l’interruzione, certo è che questo gesto appare estremamente evidente, quasi eversivo, nel senso latino di rovina. Dove avviene il guasto? Cosa mette fine alla catena di azioni e di artifici? Una vertigine che trascina l’intero decorso, ogni singolo materiale, la sua consistenza e compatibilità, lo stare tra equilibrio naturale e prodigio. A questa fine si rimette il senso dell’intera opera di Messina.
01
febbraio 2007
Vittorio Messina – Dei sensi e altro, per dire così, domani
Dal primo febbraio al 17 marzo 2007
arte contemporanea
Location
GIACOMO GUIDI ARTE CONTEMPORANEA
Roma, Corso Vittorio Emanuele Ii, 282/284, (Roma)
Roma, Corso Vittorio Emanuele Ii, 282/284, (Roma)
Orario di apertura
dal lunedì al sabato 11-13 e 16-20
Vernissage
1 Febbraio 2007, ore 19
Editore
GLI ORI
Autore
Curatore