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Marco Saroldi – Torino 1 città 1000 città
Fotografie
Comunicato stampa
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ESSERE TORINO (che non è New York)
Riflessioni, digressioni e citazioni di Luca Iaccarino e Bruno Boveri
Bruno Boveri: Il titolo della mostra di Saroldi, “Torino che non è New York”, mi è venuto immediato guardando le sue foto. Cioè mentre le guardavo mi è venuta in mente quella frase, contenuta in una canzone di fine anni Settanta di quel buon vecchio rocker torinese che era Enzo Maolucci (il disco si intitolava argutamente “Barbari e Bar”). Ci aggiungo una tua citazione, da un articolo fatto assieme l’estate scorsa: “Attraversiamo le notti così, di bar in bar al quadrilatero facendo finta d’esser a Barcellona, di disco in disco ai muri, facendo finta d’esser a Berlino, di spettacolo in spettacolo fuori porta, facendo finta d’esser intellettuali”. E mi chiedo: è così Torino, un luogo che “non è…” ma che “fa finta” di essere?
Luca Iaccarino: Insomma "ci fa" e non "ci è"? Urca, roba dura per una città che è sempre andata fiera del proprio pragmatismo (o d'essere acqua e sapone faceva solo finta? Il massimo della malizia!). Noto che ho risposto con una domanda, il che non è mai bello, e dunque vado al sodo. Ognuno ha i propri punti di riferimento: il ragazzino che palleggia punta a Ronaldinho, la giovinetta che gorgheggia a Beyonce, una città di piccole dimensioni guarda, bramosa, alla metropoli. In sostanza: roba tipica da provincia. Ma – considerato che eccetto Shanghai, Londra, New York, Berlino e una manciata d'altre tutto il mondo è provincia – non c'è poi troppo di male. Dipende da come uno reagisce: imitando, deprimendosi, attaccando, scherzando (immortale il pugliese "Se Parigi avesse lu mari, sarebbe una piccola Bari"). Gli idoli sono legittimi, se non si fanno troppo ingombranti. Comunque, sto prendendo la tangente (come Odasso, per restare local), quindi torno al tuo incipit che mi ricorda il montaliano "ciò che non siamo, ciò che non vogliamo". E qui alzo la palla: cos'è che non siamo? Cos'è che non vogliamo?
B.B.: Non siamo invidiosi, mi viene da dire. Siamo provinciali non invidiosi. Non siamo New York e non siamo Milano. E le due negazioni non sono identiche: Milano non vogliamo esserla. Se ne stia pure là con la Moratti e la prosopopea di Sgarbi. Ci piacciono molto di più la faccia da indio, da “pueblo de langa” (e qui cito i Mau Mau) di Chiamparino e l’acuta (auto)ironia della Litizzetto. Ma al di là di questo, sta volta bisogna dire che l’abbiamo pensata in grande, dico le Olimpiadi e tutto quel po’ po’ di rimescolamenti edilizi e urbanistici. La città cambia faccia e pure la provincia non scherza. Lo affermano inequivocabilmente queste belle immagini di Saroldi, che storicizzano (più che documentare punto e basta) i cambiamenti. E il distinguo messo tra parentesi è confermato dal fatto che Marco non illustra solo i cantieri, anche se presenta visioni diacroniche del “prima” e “dopo”, ogni tanto ci mette delle persone, figure umane che passano come per caso, assorte nei propri pensieri o che comunque non sono attratte o distratte dall’evento che sta maturando, dal bestione edilizio in fieri. Tutta sta gente ci riconferma che, in fondo, Torino non è New York. Non tiriamocela più di tanto. Saroldi, poi, usa spesso tagli slanciati verso l’alto, verso il cielo. Insomma la sua è una visione “dal basso dei cieli”, per citare questa volta il miglior cantautore operante oggi sulla scena torinese, Federico Sirianni, che non a caso viene da Genova. Tu, noto cronachista più che cronista, dovresti essere sulla stessa lunghezza d’onda di Saroldi. Che mi dici del “grande mutamento” della città? “Ci è o ci fa?”, chiedevi sopra. Datti una risposta da solo (ci mancava Marzullo…).
L.I.: Se dici Saroldi e dici Olimpiadi e dici edilizia non posso non rivedermi con Marco in un mezzogiorno dechirichiano nel mezzo di un meriggiare pallido e assorto tra i parallelepipedi colorati del Villaggio Olimpico. Eravamo al seguito della delegazione giapponese durante Terra Madre. Una roba da Antonioni: le case squadrate, vuote, il sole bianco d'ottobre, gli scaffali deserti di un Pam in allestimento, l'impossibile comunicazione tra i delegati – che non parlavano una parola d'una lingua che non fosse la loro – e due cani sciolti, il Saroldi ed io, lì per un reportage. Beh, eravamo un po' come i passanti tanto cari a Marco: ognuno perso dentro i fatti suoi (questo è Vasco), con la scenografia di gru, cantieri, case, ponti e grattacieli che si ridisegna continuamente sullo sfondo senza che manco ci si faccia caso. Tuttavia. Tuttavia credo che puoi far pure finta di niente, ma se attorno hai foresta, cresci Tarzan, se hai Wall Street, cresci broker, se hai campi, contadino. E' il contesto, bellezza. Quindi: al di là sia della retorica roboante – sempre più bella! Sempre più al centro del mondo! Sempre più nel cuore della galassia! – che dei prevedibili scetticismi – è tutta una speculazione! I soldi finiscono nelle solite tasche! E' uno scan-da-lo! – a me un posto che si pone interrogativi sulla propria identità (tra l'altro: c'erano alternative?), prova a progettarla e magari pure sbaglia piace più di una stolida tetragonia (nel senso di agonia tetra). E se la città modella i cittadini, i torinesi saran gente che s'interroga, progetta e magari pure sbaglia. Beh, a me va bene. Ah, dimenticavo: non ho risposto alla domanda se Torino "ci è o ci fa". Per me "ci prova". E pure un po' c'è già riuscita. Vuoi un esempio? Sirianni, Saroldi e pure io abbiamo vissuto a Genova e ci siamo trasferiti sotto la Mole. Evidentemente là hanno il mare, ma qua c'è qualcosa di meglio. Tu che sei torinese da più lunga data, saprai cos'è che attira noi rivieraschi qui, tra le brume pedemontane. Dai, dimmelo, ti prego, dimmelo.
B.B.: Il fatto che qui ci puoi provare senza assilli. Mal che vada finirai sempre nella casistica del pessimismo sabaudo. Il motto chiampariniano, esageruma nen (non so scrivere in piemontese!!! Se mi becca Borghezio sono spacciato) è emblematico. Poi magari si mette su la Fiat ( Torino che non è Detroit), progettiamo le navicelle spaziali (Torino che non e Houston), inventiamo i Punti Verdi (e tutti ce li copiano e se ne appropriano, vero Nicolini? un ricordo riconoscente a Balmas), ma lo stile resta sempre dimesso. Comunque, nella ventata del cambiamento è coinvolto solo e soprattutto l’Ente Pubblico. Dov’è la gloriosa imprenditoria privata? Perché non partecipa? Ad esempio, i gianduiotti di Piazza Solferino: hanno detto che il prossimo autunno li demoliscono perché costano troppo in manutenzione e varie amenità. Visto il nome ormai popolare che hanno, perché non se ne fa carico, che so, Streglio o Ferrero o qualche altro cospicuo cioccolatiere e ne fa il museo del Gianduiotto? Ecco un altro quesito: sopravviveranno questi nuovi colossi? Ne faremo qualcosa che non siano macerie? E gia vi vedo tu e Saroldi a girare sornioni…
L.I.: Beh, però, guarda un po' le foto: qualche anno fa non si faceva altro che immortalare archeologia industriale, molto urban, post-industrial, trans-metallurgic, ora invece il Saroldi – che pure non è uno da magnifiche sorti e progressive, direi – si fa affascinare da vetrate e ottoni rilucenti. Che poi un giorno –prima o poi – saran rovine, non v'è dubbio (e il Palavela appassirà facendo torto così non a uno, ma a due architetti di fama) ma a questo giro direi che non abbiamo esagerato: tanto make-up, poche pazzie. Insomma, all'insegna del vero motto piemontese coniato da un lombardo e messo in bocca a uno spagnolo: non "bogia nen" ma "adelante, con juicio".
B.B.: Ci mancava il Manzoni… Riguardando ancora una volta le foto, correggo in parte quanto dicevo sopra: l’”umanità dolente” che passa di fianco a questi palazzi “figli di cotanti padri”, manco li vede, dicevo, tutta presa nel suo vissuto. Vero, però forse china il capo oppressa dal peso di tanto “spatusso”. O forse per non vedere, come la statua romana di Piazza Navona che si copre il volto per oscurare la vista dell’orrendo palazzo che la fronteggia (Bernini che sbeffeggia Michelangelo, se non erro). Ma allora, alla fine, cosa vuol dire “essere Torino, che non è New York”? A te la chiosa finale.
Per me, lo dico come augurio, essere “confusi e felici”, citando la cantantessa Carmen Consoli, con la paura che sia invece stare “come d’Autunno sugli alberi le foglie”. Tira su il morale, dai…
L.I.: Sai cosa ti dico? Che a sorpresa – per tirar su gli spiriti – chiudo lasciando la forma per la sostanza. E la sostanza è che a Turin, se pur tra mille difficoltà, si produce (in senso lato) e dove si produce si lavora (nel 2005 il bacino torinese è sceso al minimo storico di disoccupazione con il 4.8). E dove si lavora si sta meglio di dove non si lavora, non ultime per le ragioni cantate da Celentano. Così, con abile sillogismo, dimostro che il Passion lives here delle Olimpiadi non era poi così sbagliato, e che da appassiti forse davvero stiamo diventato appassionati. Come tanti ottimisti, sono solo un pessimista male informato? Ti rispondo col nostro illustre concittadino Antonio Gramsci: al pessimismo della ragione bisogna sempre opporre l'ottimismo della volontà. E se mi fai notare le recenti, tristi vicende legate proprio alla vendita di "Casa Gramsci", ti dico solo questo: qualche volta ci vuole tanta, tanta, tanta volontà.
Riflessioni, digressioni e citazioni di Luca Iaccarino e Bruno Boveri
Bruno Boveri: Il titolo della mostra di Saroldi, “Torino che non è New York”, mi è venuto immediato guardando le sue foto. Cioè mentre le guardavo mi è venuta in mente quella frase, contenuta in una canzone di fine anni Settanta di quel buon vecchio rocker torinese che era Enzo Maolucci (il disco si intitolava argutamente “Barbari e Bar”). Ci aggiungo una tua citazione, da un articolo fatto assieme l’estate scorsa: “Attraversiamo le notti così, di bar in bar al quadrilatero facendo finta d’esser a Barcellona, di disco in disco ai muri, facendo finta d’esser a Berlino, di spettacolo in spettacolo fuori porta, facendo finta d’esser intellettuali”. E mi chiedo: è così Torino, un luogo che “non è…” ma che “fa finta” di essere?
Luca Iaccarino: Insomma "ci fa" e non "ci è"? Urca, roba dura per una città che è sempre andata fiera del proprio pragmatismo (o d'essere acqua e sapone faceva solo finta? Il massimo della malizia!). Noto che ho risposto con una domanda, il che non è mai bello, e dunque vado al sodo. Ognuno ha i propri punti di riferimento: il ragazzino che palleggia punta a Ronaldinho, la giovinetta che gorgheggia a Beyonce, una città di piccole dimensioni guarda, bramosa, alla metropoli. In sostanza: roba tipica da provincia. Ma – considerato che eccetto Shanghai, Londra, New York, Berlino e una manciata d'altre tutto il mondo è provincia – non c'è poi troppo di male. Dipende da come uno reagisce: imitando, deprimendosi, attaccando, scherzando (immortale il pugliese "Se Parigi avesse lu mari, sarebbe una piccola Bari"). Gli idoli sono legittimi, se non si fanno troppo ingombranti. Comunque, sto prendendo la tangente (come Odasso, per restare local), quindi torno al tuo incipit che mi ricorda il montaliano "ciò che non siamo, ciò che non vogliamo". E qui alzo la palla: cos'è che non siamo? Cos'è che non vogliamo?
B.B.: Non siamo invidiosi, mi viene da dire. Siamo provinciali non invidiosi. Non siamo New York e non siamo Milano. E le due negazioni non sono identiche: Milano non vogliamo esserla. Se ne stia pure là con la Moratti e la prosopopea di Sgarbi. Ci piacciono molto di più la faccia da indio, da “pueblo de langa” (e qui cito i Mau Mau) di Chiamparino e l’acuta (auto)ironia della Litizzetto. Ma al di là di questo, sta volta bisogna dire che l’abbiamo pensata in grande, dico le Olimpiadi e tutto quel po’ po’ di rimescolamenti edilizi e urbanistici. La città cambia faccia e pure la provincia non scherza. Lo affermano inequivocabilmente queste belle immagini di Saroldi, che storicizzano (più che documentare punto e basta) i cambiamenti. E il distinguo messo tra parentesi è confermato dal fatto che Marco non illustra solo i cantieri, anche se presenta visioni diacroniche del “prima” e “dopo”, ogni tanto ci mette delle persone, figure umane che passano come per caso, assorte nei propri pensieri o che comunque non sono attratte o distratte dall’evento che sta maturando, dal bestione edilizio in fieri. Tutta sta gente ci riconferma che, in fondo, Torino non è New York. Non tiriamocela più di tanto. Saroldi, poi, usa spesso tagli slanciati verso l’alto, verso il cielo. Insomma la sua è una visione “dal basso dei cieli”, per citare questa volta il miglior cantautore operante oggi sulla scena torinese, Federico Sirianni, che non a caso viene da Genova. Tu, noto cronachista più che cronista, dovresti essere sulla stessa lunghezza d’onda di Saroldi. Che mi dici del “grande mutamento” della città? “Ci è o ci fa?”, chiedevi sopra. Datti una risposta da solo (ci mancava Marzullo…).
L.I.: Se dici Saroldi e dici Olimpiadi e dici edilizia non posso non rivedermi con Marco in un mezzogiorno dechirichiano nel mezzo di un meriggiare pallido e assorto tra i parallelepipedi colorati del Villaggio Olimpico. Eravamo al seguito della delegazione giapponese durante Terra Madre. Una roba da Antonioni: le case squadrate, vuote, il sole bianco d'ottobre, gli scaffali deserti di un Pam in allestimento, l'impossibile comunicazione tra i delegati – che non parlavano una parola d'una lingua che non fosse la loro – e due cani sciolti, il Saroldi ed io, lì per un reportage. Beh, eravamo un po' come i passanti tanto cari a Marco: ognuno perso dentro i fatti suoi (questo è Vasco), con la scenografia di gru, cantieri, case, ponti e grattacieli che si ridisegna continuamente sullo sfondo senza che manco ci si faccia caso. Tuttavia. Tuttavia credo che puoi far pure finta di niente, ma se attorno hai foresta, cresci Tarzan, se hai Wall Street, cresci broker, se hai campi, contadino. E' il contesto, bellezza. Quindi: al di là sia della retorica roboante – sempre più bella! Sempre più al centro del mondo! Sempre più nel cuore della galassia! – che dei prevedibili scetticismi – è tutta una speculazione! I soldi finiscono nelle solite tasche! E' uno scan-da-lo! – a me un posto che si pone interrogativi sulla propria identità (tra l'altro: c'erano alternative?), prova a progettarla e magari pure sbaglia piace più di una stolida tetragonia (nel senso di agonia tetra). E se la città modella i cittadini, i torinesi saran gente che s'interroga, progetta e magari pure sbaglia. Beh, a me va bene. Ah, dimenticavo: non ho risposto alla domanda se Torino "ci è o ci fa". Per me "ci prova". E pure un po' c'è già riuscita. Vuoi un esempio? Sirianni, Saroldi e pure io abbiamo vissuto a Genova e ci siamo trasferiti sotto la Mole. Evidentemente là hanno il mare, ma qua c'è qualcosa di meglio. Tu che sei torinese da più lunga data, saprai cos'è che attira noi rivieraschi qui, tra le brume pedemontane. Dai, dimmelo, ti prego, dimmelo.
B.B.: Il fatto che qui ci puoi provare senza assilli. Mal che vada finirai sempre nella casistica del pessimismo sabaudo. Il motto chiampariniano, esageruma nen (non so scrivere in piemontese!!! Se mi becca Borghezio sono spacciato) è emblematico. Poi magari si mette su la Fiat ( Torino che non è Detroit), progettiamo le navicelle spaziali (Torino che non e Houston), inventiamo i Punti Verdi (e tutti ce li copiano e se ne appropriano, vero Nicolini? un ricordo riconoscente a Balmas), ma lo stile resta sempre dimesso. Comunque, nella ventata del cambiamento è coinvolto solo e soprattutto l’Ente Pubblico. Dov’è la gloriosa imprenditoria privata? Perché non partecipa? Ad esempio, i gianduiotti di Piazza Solferino: hanno detto che il prossimo autunno li demoliscono perché costano troppo in manutenzione e varie amenità. Visto il nome ormai popolare che hanno, perché non se ne fa carico, che so, Streglio o Ferrero o qualche altro cospicuo cioccolatiere e ne fa il museo del Gianduiotto? Ecco un altro quesito: sopravviveranno questi nuovi colossi? Ne faremo qualcosa che non siano macerie? E gia vi vedo tu e Saroldi a girare sornioni…
L.I.: Beh, però, guarda un po' le foto: qualche anno fa non si faceva altro che immortalare archeologia industriale, molto urban, post-industrial, trans-metallurgic, ora invece il Saroldi – che pure non è uno da magnifiche sorti e progressive, direi – si fa affascinare da vetrate e ottoni rilucenti. Che poi un giorno –prima o poi – saran rovine, non v'è dubbio (e il Palavela appassirà facendo torto così non a uno, ma a due architetti di fama) ma a questo giro direi che non abbiamo esagerato: tanto make-up, poche pazzie. Insomma, all'insegna del vero motto piemontese coniato da un lombardo e messo in bocca a uno spagnolo: non "bogia nen" ma "adelante, con juicio".
B.B.: Ci mancava il Manzoni… Riguardando ancora una volta le foto, correggo in parte quanto dicevo sopra: l’”umanità dolente” che passa di fianco a questi palazzi “figli di cotanti padri”, manco li vede, dicevo, tutta presa nel suo vissuto. Vero, però forse china il capo oppressa dal peso di tanto “spatusso”. O forse per non vedere, come la statua romana di Piazza Navona che si copre il volto per oscurare la vista dell’orrendo palazzo che la fronteggia (Bernini che sbeffeggia Michelangelo, se non erro). Ma allora, alla fine, cosa vuol dire “essere Torino, che non è New York”? A te la chiosa finale.
Per me, lo dico come augurio, essere “confusi e felici”, citando la cantantessa Carmen Consoli, con la paura che sia invece stare “come d’Autunno sugli alberi le foglie”. Tira su il morale, dai…
L.I.: Sai cosa ti dico? Che a sorpresa – per tirar su gli spiriti – chiudo lasciando la forma per la sostanza. E la sostanza è che a Turin, se pur tra mille difficoltà, si produce (in senso lato) e dove si produce si lavora (nel 2005 il bacino torinese è sceso al minimo storico di disoccupazione con il 4.8). E dove si lavora si sta meglio di dove non si lavora, non ultime per le ragioni cantate da Celentano. Così, con abile sillogismo, dimostro che il Passion lives here delle Olimpiadi non era poi così sbagliato, e che da appassiti forse davvero stiamo diventato appassionati. Come tanti ottimisti, sono solo un pessimista male informato? Ti rispondo col nostro illustre concittadino Antonio Gramsci: al pessimismo della ragione bisogna sempre opporre l'ottimismo della volontà. E se mi fai notare le recenti, tristi vicende legate proprio alla vendita di "Casa Gramsci", ti dico solo questo: qualche volta ci vuole tanta, tanta, tanta volontà.
09
gennaio 2007
Marco Saroldi – Torino 1 città 1000 città
Dal 09 gennaio al 24 febbraio 2007
fotografia
Location
LIBRERIA AGORA’
Torino, Via Santa Croce, o/e, (Torino)
Torino, Via Santa Croce, o/e, (Torino)
Orario di apertura
martedì-sabato 9,30-19. Lunedì 15.30-19
Vernissage
9 Gennaio 2007, ore 18
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