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Berenice Darrer – Between the lines
Berenice Darrer ricopre le sue pitture di un’epidermide di colore carnoso e fluido, steso in campiture solide, che si organizzano in combinazioni di ombreggiature lattiginose, regalando un’impressione di fissità organica
Comunicato stampa
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Il vento fra le righe…
di Viviana Siviero
Quando il vento si leva, irrefrenabile con il suo alito intenso, smuove le foglie confondendole in una hojarasca[1] e coinvolge le particelle elementari, in una danza libera e purificatrice: un gioco gioioso come un carnevale, immaginariamente colorato come un arcobaleno.
Berenice Darrer ricopre le sue pitture di un’epidermide di colore carnoso e fluido, steso in campiture solide, che si organizzano in combinazioni di ombreggiature lattiginose, regalando un’impressione di fissità organica. Ad una prima occhiata, pare di essere risucchiati nel mondo grafico dei fumetti, ma uno sguardo più accurato, tradisce la realtà…
«Siamo arrivate con il vento del carnevale. Un vento tiepido per febbraio, carico degli odori caldi delle cialde friabili e dolci, cotte alla piastra proprio sul bordo della strada, con i coriandoli che scivolano simili a nevischio da colletti e polsini e finiscono sui marciapiedi come inutile antidoto contro l'inverno...Il vento ha spazzato via le mie paure. Faccio un cenno di saluto all'Uomo Nero nella sua torre, e il vento mi strattona allegramente la gonna. Sono fuori di me per la gioia, piena di aspettative.»
Joanne Harris, Chocolat, 1998.
I quadri, fin dai tempi antichi, sono i migliori narratori di storie, anticamente imprigionati in rigidi schemi iconografici, poi liberati, nella modernità, dalla brezza leggera della contemporaneità. Così – a livello interpretativo - tutto si è fatto più complicato, ma anche più affascinante. Berenice Darrer sembra raccontare col suo pennello allegro, la storia di presenze portate dal vento, che hanno trovato riparo fra quiete mura.
La brezza liberatrice - quella che si respira a pieni polmoni e che scompiglia i fogli, facendoli volare come coriandoli - ha salvato, col suo moto inquieto, l’essere grigio dal suo grigio lavoro e si riposa adesso in un ambiente domestico fatto di luci, ombre che appaiono su paratie di carta leggera e minuscoli “boschi” addomesticati e domestici.
Quella della Darrer è una tavolozza che si nutre dei riflessi assolati e dei colori carnosi del continente africano, sua terra d’origine e luogo dell’infanzia. Certe temperature visive, mitigate dall’aria rarefatta di Vienna, hanno concorso a creare un popolo elfico di femmine che appaiono immote, ma allo stesso tempo indaffarate. L’atmosfera di tutte le visioni è nitida, scevra da quello sfumato arioso che svapora i confini della lontananza; una scenografia in cui fanno la loro apparizione presenze corporee, che pur vestendo gli abiti della geisha, rivelano un’estetica iconica da pin up, dichiarando la loro appartenenza ad un “qui” e ad un “ora”, ma che sussurrano all’orecchio la consapevolezza di esistere da sempre. Si crea così uno slittamento, che si accoccola nella natura rassicurante ed antica della pittura, rendendo palpabile il paradosso ed innescando una serie di cortocircuiti fra “ciò che è”, “ciò che sembra” e “ciò che dovrebbe essere”.
Proprio come si trattasse della trama di un libro, le pitture di Berenice Darrer possiedono sia l’eternità del divino, sia la fugacità del fotogramma, che palesa la sua provenienza narrativa; le sue figurine, scaturite dalla danza di un pennello, sono morbide e sinuose come la cioccolata fusa, capaci di stravolge l’andamento tranquillo della vita, fatto dell’infrangersi di un’onda, di turbinii semoventi, di luoghi e tempi intrappolati nella tradizione, manifestando una miscela perfetta di ingredienti, quali la commedia, il mistero, la solitudine, l’ironia. Nella fissità delle scene sembrano svelarsi, in modo misurato, quei modi stravaganti e splendidamente imprevedibili delle persone, dipinti con tocchi di leggerezza, garbo, passionalità ed intelligenza, da un pennello che pare mosso dal soffio di un magico vento di carnevale, un vento che spira fra le righe, sollevando le cortine dell’apparenza, capace di spazzare via “l’Uomo Nero”…
[1] Vortice di foglie che si verifica, talora, in piena calura. Titolo originale del romanzo di Gabriel Garcìa Màrquez, tradotto come Foglie morte.
di Viviana Siviero
Quando il vento si leva, irrefrenabile con il suo alito intenso, smuove le foglie confondendole in una hojarasca[1] e coinvolge le particelle elementari, in una danza libera e purificatrice: un gioco gioioso come un carnevale, immaginariamente colorato come un arcobaleno.
Berenice Darrer ricopre le sue pitture di un’epidermide di colore carnoso e fluido, steso in campiture solide, che si organizzano in combinazioni di ombreggiature lattiginose, regalando un’impressione di fissità organica. Ad una prima occhiata, pare di essere risucchiati nel mondo grafico dei fumetti, ma uno sguardo più accurato, tradisce la realtà…
«Siamo arrivate con il vento del carnevale. Un vento tiepido per febbraio, carico degli odori caldi delle cialde friabili e dolci, cotte alla piastra proprio sul bordo della strada, con i coriandoli che scivolano simili a nevischio da colletti e polsini e finiscono sui marciapiedi come inutile antidoto contro l'inverno...Il vento ha spazzato via le mie paure. Faccio un cenno di saluto all'Uomo Nero nella sua torre, e il vento mi strattona allegramente la gonna. Sono fuori di me per la gioia, piena di aspettative.»
Joanne Harris, Chocolat, 1998.
I quadri, fin dai tempi antichi, sono i migliori narratori di storie, anticamente imprigionati in rigidi schemi iconografici, poi liberati, nella modernità, dalla brezza leggera della contemporaneità. Così – a livello interpretativo - tutto si è fatto più complicato, ma anche più affascinante. Berenice Darrer sembra raccontare col suo pennello allegro, la storia di presenze portate dal vento, che hanno trovato riparo fra quiete mura.
La brezza liberatrice - quella che si respira a pieni polmoni e che scompiglia i fogli, facendoli volare come coriandoli - ha salvato, col suo moto inquieto, l’essere grigio dal suo grigio lavoro e si riposa adesso in un ambiente domestico fatto di luci, ombre che appaiono su paratie di carta leggera e minuscoli “boschi” addomesticati e domestici.
Quella della Darrer è una tavolozza che si nutre dei riflessi assolati e dei colori carnosi del continente africano, sua terra d’origine e luogo dell’infanzia. Certe temperature visive, mitigate dall’aria rarefatta di Vienna, hanno concorso a creare un popolo elfico di femmine che appaiono immote, ma allo stesso tempo indaffarate. L’atmosfera di tutte le visioni è nitida, scevra da quello sfumato arioso che svapora i confini della lontananza; una scenografia in cui fanno la loro apparizione presenze corporee, che pur vestendo gli abiti della geisha, rivelano un’estetica iconica da pin up, dichiarando la loro appartenenza ad un “qui” e ad un “ora”, ma che sussurrano all’orecchio la consapevolezza di esistere da sempre. Si crea così uno slittamento, che si accoccola nella natura rassicurante ed antica della pittura, rendendo palpabile il paradosso ed innescando una serie di cortocircuiti fra “ciò che è”, “ciò che sembra” e “ciò che dovrebbe essere”.
Proprio come si trattasse della trama di un libro, le pitture di Berenice Darrer possiedono sia l’eternità del divino, sia la fugacità del fotogramma, che palesa la sua provenienza narrativa; le sue figurine, scaturite dalla danza di un pennello, sono morbide e sinuose come la cioccolata fusa, capaci di stravolge l’andamento tranquillo della vita, fatto dell’infrangersi di un’onda, di turbinii semoventi, di luoghi e tempi intrappolati nella tradizione, manifestando una miscela perfetta di ingredienti, quali la commedia, il mistero, la solitudine, l’ironia. Nella fissità delle scene sembrano svelarsi, in modo misurato, quei modi stravaganti e splendidamente imprevedibili delle persone, dipinti con tocchi di leggerezza, garbo, passionalità ed intelligenza, da un pennello che pare mosso dal soffio di un magico vento di carnevale, un vento che spira fra le righe, sollevando le cortine dell’apparenza, capace di spazzare via “l’Uomo Nero”…
[1] Vortice di foglie che si verifica, talora, in piena calura. Titolo originale del romanzo di Gabriel Garcìa Màrquez, tradotto come Foglie morte.
03
febbraio 2007
Berenice Darrer – Between the lines
Dal 03 febbraio al 18 marzo 2007
arte contemporanea
Location
GALLERIA DE FAVERI ARTE – LAB 610 XL
Sovramonte, Frazione Servo, 167/B, (Belluno)
Sovramonte, Frazione Servo, 167/B, (Belluno)
Orario di apertura
dal martedì alla domenica dalle 15,30 alle 19.30, oppure su appuntamento
Vernissage
3 Febbraio 2007, ore 17.30
Autore