26 marzo 2002

Fino al 5.V.2002 Toots Zynsky – Sculture in vetro Venezia, Museo Correr

 
Dopo aver esordito al Glasmuseet di Ebeltoft in Danimarca, l’esposizione approda a Venezia, seconda tappa di un lungo percorso in Europa...

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L’artista bostoniana Toots Zynsky presenta in questa mostra monografica una selezione di circa cinquanta lavori in vetro, che ne esemplificano il percorso creativo dal 1984 a oggi, dopo, cioè, la decisione di dedicarsi in via esclusiva al linguaggio dell’arte vetraria, maturata a Murano con Venini, per il quale ha creato le celebri collezioni del Folto e dei Chiacchera. Nasce in questo periodo la formulazione di un linguaggio personalissimo che le farà guadagnare la presenza nelle più prestigiose collezioni di vetri contemporanei pubbliche e private. Le sue sono infatti vere e proprie sculture, realizzate utilizzando canne prodotte a Murano con una particolare e complessa tecnologia messa a punto con l’aiuto di un ingegnere olandese: il risultato sono sottilissimi fili di vetro, con i quali si compongono gli affascinanti e coloratissimi tessuti che danno corpo ai suoi lavori.
Ne dà testimonianza anche l’esposizione del Museo Correr – che peraltro mostra anche come Venezia voglia tenere stretta la presa sull’arte vetraria e le sue possibilità di attualizzazione. Fa forse pecca un allestimento un po’ troppo monotono e compresso nella sala del trono e sale adiacenti, che non rende sempre del tutto giustizia all’efficacia espressiva della Zynski. Novilunio, Flash fire, Black birds, Morning fuego, City lights, Icebergs, Indian summer sono solo alcune tappe del lungo poema intessuto dall’autrice. Si tratta spesso di variazioni ossessive sullo stesso tema formale – sia esso un vaso o una conchiglia evocatrice di mitiche nascite –, mutevoli per trama del filamento vitreo e tavolozza. Si va dalle accensioni neon delle raffigurazioni della città notturna alle estroverse espressioni d’atmosfera, di cui misteriosamente ci vengono restituiti non solo i colori ma anche sollecitazioni ad altre sfere sensoriali (come non provare un brivido al passaggio dalle calde sfere solari delle opere della prima sala al raggelamento invernale e crepuscolare dell’ultima, o non sentire i profumi della stagione che si risveglia nei pastelli caldi dei drappi primaverili?), fino delle opere che, pur in un alfabeto così sintetico, racchiudono l’anima di una figura umana. Tra queste, spicca la sensualità espansa e festosa della danza della “Bajadera” che annoda misteriosamente moto e stasi, vitalità innervata e freddezza minerale. Morte e vita, come sa fare, quando c’è, l’arte.

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G.C.


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