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Maurizio Briatta – Cantieri
Fotografie
Comunicato stampa
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Sostiene Briatta che le sue fotografie sono specchi e non finestre.
Il riferimento evidente è al presupposto teorico di una famosa mostra degli anni Settanta curata da John Szarkowski, che diceva testualmente: “Questa tesi suggerisce una dicotomia fondamentale nella fotografia contemporanea tra chi pensa la fotografia come mezzo di autoespressione e chi la crede strumento di esplorazione”[1] <#_ftn1> .
Mirrors and Windows, specchi e finestre, come riassumeva benissimo il titolo della mostra.
E la cosa buffa è che nella reflex, quando premi l’otturatore, ruota lo specchio che ti consentiva di vedere l’immagine attraverso il mirino, e scorre la tendina, aprendo una “finestra” sul mondo.
Volendola vedere in un altro modo, poi, la tendina, scorrendo, toglie il “velo” che copre la realtà.
E così siamo arrivati dalle parti di Schopenhauer.
La realtà “svelata”, può essere documentata e analizzata. Ma può essere anche interpretata e rappresentata.
E questo forse è un altro modo di porre la dicotomia.
Di nuovo Schopenhauer con il suo testo fondamentale, Il mondo come volontà e rappresentazione, può tornare utile per cercare di definire la scelta di campo di Briatta: le sue fotografie sono rappresentazioni volontarie, fortemente volute e vissute, di parti, sezioni scelte di realtà.
E se nella “scelta” del tema, di questo tema poi, ci può essere un’ipotesi “documentaria”, nella prassi fotografica (per non parlare dell’estetica sottesa) la rappresentazione prende il sopravvento sulla testimonianza, senza però perderla mai di vista.
E questo è il bello.
Per capirci meglio, manteniamo la metafora: Briatta si mette davanti allo specchio, ma alle sue spalle c’è una finestra aperta.
E quindi per quanto lui si frapponga, per quanto inserisca impronte, delimitazioni del quadro, presenze evanescenti, barriere fluttuanti e altre fantasticherie o “timbri” personali, la realtà non sfugge, ma resta lì, leggibile nella sua totalità e complessità.
Anzi, forse la comprensione è aiutata, guidata, concentrata. Un po’ come quando, di fronte a uno spettacolo che non può vedere (o perché gli altri non vogliono o perché è difficile da sostenere) un bambino mette le mani davanti agli occhi, ma sbircia tra le dita. Non si vede tutto, ma si sublima la complessità e si coglie il nocciolo.
Così questi “cantieri” della Torino che cambia.
Bruno Boveri
[1] Il testo di Szarkowski è reperibile in Documenti e Finzioni. Le mostre americane negli anni Sessanta e Settanta, a cura di Maria Antonella Pelizzari, Agorà Editrice, Torino, 2006. Pag. 52
Il riferimento evidente è al presupposto teorico di una famosa mostra degli anni Settanta curata da John Szarkowski, che diceva testualmente: “Questa tesi suggerisce una dicotomia fondamentale nella fotografia contemporanea tra chi pensa la fotografia come mezzo di autoespressione e chi la crede strumento di esplorazione”[1] <#_ftn1> .
Mirrors and Windows, specchi e finestre, come riassumeva benissimo il titolo della mostra.
E la cosa buffa è che nella reflex, quando premi l’otturatore, ruota lo specchio che ti consentiva di vedere l’immagine attraverso il mirino, e scorre la tendina, aprendo una “finestra” sul mondo.
Volendola vedere in un altro modo, poi, la tendina, scorrendo, toglie il “velo” che copre la realtà.
E così siamo arrivati dalle parti di Schopenhauer.
La realtà “svelata”, può essere documentata e analizzata. Ma può essere anche interpretata e rappresentata.
E questo forse è un altro modo di porre la dicotomia.
Di nuovo Schopenhauer con il suo testo fondamentale, Il mondo come volontà e rappresentazione, può tornare utile per cercare di definire la scelta di campo di Briatta: le sue fotografie sono rappresentazioni volontarie, fortemente volute e vissute, di parti, sezioni scelte di realtà.
E se nella “scelta” del tema, di questo tema poi, ci può essere un’ipotesi “documentaria”, nella prassi fotografica (per non parlare dell’estetica sottesa) la rappresentazione prende il sopravvento sulla testimonianza, senza però perderla mai di vista.
E questo è il bello.
Per capirci meglio, manteniamo la metafora: Briatta si mette davanti allo specchio, ma alle sue spalle c’è una finestra aperta.
E quindi per quanto lui si frapponga, per quanto inserisca impronte, delimitazioni del quadro, presenze evanescenti, barriere fluttuanti e altre fantasticherie o “timbri” personali, la realtà non sfugge, ma resta lì, leggibile nella sua totalità e complessità.
Anzi, forse la comprensione è aiutata, guidata, concentrata. Un po’ come quando, di fronte a uno spettacolo che non può vedere (o perché gli altri non vogliono o perché è difficile da sostenere) un bambino mette le mani davanti agli occhi, ma sbircia tra le dita. Non si vede tutto, ma si sublima la complessità e si coglie il nocciolo.
Così questi “cantieri” della Torino che cambia.
Bruno Boveri
[1] Il testo di Szarkowski è reperibile in Documenti e Finzioni. Le mostre americane negli anni Sessanta e Settanta, a cura di Maria Antonella Pelizzari, Agorà Editrice, Torino, 2006. Pag. 52
08
novembre 2006
Maurizio Briatta – Cantieri
Dall'otto novembre al 30 dicembre 2006
fotografia
Location
LIBRERIA AGORA’
Torino, Via Santa Croce, o/e, (Torino)
Torino, Via Santa Croce, o/e, (Torino)
Orario di apertura
martedì-sabato 9,30-19. Lunedì 15.30-19
Vernissage
8 Novembre 2006, ore 18
Autore