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Plastica oro contemporaneo
collettiva
Comunicato stampa
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La più totale libertà creativa nella gioielleria contemporanea è raggiunta con la scoperta della plastica, termine generico che comprende varie sostanze di produzione sintetica che, dall’utilizzo industriale, si sono via via applicate al design, alle arti visive e alla gioielleria. Sin dalle prime elaborazioni, nel tardo Ottocento, sono individuate le possibilità d’imitazione di questa materia che, all’epoca, con il nome di galalite, riprodusse l’avorio, il corallo, la tartaruga, il corno, il legno negli ornamenti Vittoriani, Biedermeier nonché Art Nouveau.
Una propria autonomia espressiva, seppure limitata al gioiello di fantasia e di complemento della moda, fu conquistata dalla plastica nei primi decenni del secolo scorso. L’Art Déco con la sua cultura modernista influenza l’ideazione di collane e di spille di bachelite, sostanza spessa e lucida, perfetta nel rendere gli spazi geometrici in nette contrapposizioni coloristiche.
È nel secondo dopoguerra, con il diffondersi di una ricerca libera da schemi tradizionali e particolarmente attratta dalla sperimentazione di prodotti di sintesi, che la plastica trionfa. Tra gli artisti pionieri nell’adottarla si annoverano l’inglese David Watkins e l’austriaco Fritz Maierhofer: operatori esperti nella lavorazione dei metalli accedono al nuovo mezzo, l’acrilico in particolare, di cui esplorano la resa di trasparenze e di ricche policromie che innovano i loro specifici linguaggi. Il minimalismo di Watkins assume una più ampia espansione con l’arricchimento interattivo di complesse linearità dislocate in piani spaziali diversi. Maierhofer testimonia la sua immersione nella cultura pop londinese con un originale vocabolario, che, senza escludere una rigorosa impostazione astratta, realizza modelli meccanici tra il gioco e la fantascienza, tra il segno esoterico e quello pubblicitario. Negli anni recenti, con il corian, nuova sostanza opaca e magmatica, l’artista formula modi espressionisti, che, tra fratture e lacerazioni, in un disordine caotico, hanno abbandonato ogni riferimento alla misura.
L’inglese di origine cinese Peter Chang, pittore e scultore, assomma le due discipline nel gioiello rendendo insieme la massa volumetrica della forma e lo spessore coloristico di una pittura necessitata a calarsi nella fisicità della plastica. Questa diventa materia insostituibile nel rendere le correlazioni iconografiche espresse da culture antichissime e da esperienze visive contemporanee che caratterizzano il linguaggio dell’artista. Con acrilici, polivinilcloruri (PVC), resine, poliesteri, Chang coordina e distribuisce in un armonioso equilibrio le linearità bidimensionali di una vegetazione tropicale o subacquea, le tridimensionali protuberanze di ali o pinne di mostri marini, i segni astratti delle tessere di mosaico, l’arcaica figurazione mitologica, la grafica esoterica, la fumettistica contemporanea. Le immagini eterogenee si snodano in una continuità che giustifica ogni relazione mnemonica, ogni suggestione concettuale, nella pienezza di forme arrotondate, colme, lucide che non fanno trasparire le ardue tecniche di stratificazione, di inclusioni, di infiltrazioni che sottendono tanto ordine compositivo.
L’artista tedesca Bussi Buhs si avvale totalmente di materie sintetiche di cui conosce le infinite possibilità di trasformismo idoneo al suo linguaggio simbolista. Sceglie poliesteri, fibre di vetro, pellicole per ottenere una materia insieme liquescente e sedimentata, aerea e volatile, capace di rendere i più sottili organigrammi anatomici del corpo evocando gli incerti confini tra fisicità e spiritualità.
Il ceco Pavel Opočenský con il suo linguaggio essenziale, ricco di lontani riferimenti all’Art Concret, sperimenta poliuretani, colorcore, fibre di vetro, polivinili, le cui molli, duttili caratteristiche agiscono sulle immagini geometriche insinuando nelle precise composizioni apparenti dissolvimenti, sdoppiamenti visivi, cedimenti strutturali.
L’artista austriaca Petra Zimmermann fa un uso prevalente di polimetilmetacrilati: interviene con plurime colate su foto digitali o reperti di giornali apposti su superfici metalliche in oro e argento, disseminate, tra gli interstizi, di perle, pietre, gemme e grafie auree. Le trasparenze creano deformazioni o enfatizzazioni di immagini di donne, icone rock o punk, di un glamour sfacciato da copertina. Una brillante rievocazione pop, ricca di citazioni, in cui l’aggressività non è più dirompente trasgressione, ma kitsch intenzionale.
La mostra presenta ben quattro artisti olandesi confermando l’Olanda come il paese dove Accademie e Scuole mantengono alto il livello della ricerca sperimentale. La plastica, fin dagli anni Sessanta, determinò una produzione che apparve rivoluzionaria; oggi è usata normalmente, spesso accostata ad altri materiali anche gemmologici.
Ted Noten sacralizza il gioiello prezioso raccogliendone esemplari entro contenitori trasparenti di perspex, a volte a forma di borse femminili, urne che li preservano per l’eternità: masse di anelli di stili diversi spesso veri corredi di una vita, privati della loro funzione ornamentale si trasformano in un omaggio ai modi stilistici del passato.
Un accentuato gusto per la preziosità gemmologica è presente anche nell’opera di Truike Verdegaal ricca di riferimenti a stili e modi del passato in cui la plastica è totalmente integrata, con tecniche finissime, ad altre materie. Recentemente l’artista ha dedicato uno studio approfondito alla rappresentazione di uccelli: tessuti, piume, trine, gemme, acrilici, poliuretani e metacrilati li raffigurano morbidi, languidi nelle loro positure, senza tradire la loro estinzione per epidemia.
Nell’iconografia tecnologica di Katja Prins si riconosce la rappresentazione di una realtà domestica dominata da macchine diventate inutili, libere dalla funzionalità, in una recuperata bellezza puramente oggettuale: permane nei meccanismi di metallo e polistirene la memoria della dedizione, della costanza, della precisione del lavoro femminile.
Iris Eichenberg, olandese di origine tedesca, accosta metilmetacrilati, gomma e gommapiuma all’argento operando una costante azione di mascheramento, rimozione e riesumazione d’immagini: la plastica medica si mescola alla porcellana per modulare un fiore che sembra una radice dentaria; la nera gomma di uno spinotto elettrico, un objet trouvé, produce argentee campanule fiorite. Il gioco dei camuffamenti, dei fraintendimenti, piuttosto che alla cultura surrealista e dadaista, è legato all’happening, alla figurazione concettuale.
L’Italia, per tradizione legata ai metalli nobili, riconosce con ritardo la valenza creativa della plastica. È all’interno della complessa sperimentazione della Scuola di Padova che si rintracciano le prime applicazioni sintetiche. Un esempio è riconducibile ad alcune opere minimaliste di Giampaolo Babetto presenti alla mostra internazionale di Tokyo nel 1983, in cui superfici di volumi aurei appaiono rivestite di resine colorate. A partire dal Duemila Babetto crea opere neocostruttiviste con plurime sovrapposizioni di geometrie piane in metacrilato, sempre profilate d’oro, dove le trasparenze rendono più complesse le articolazioni in un approfondimento spaziale.
Annamaria Zanella, altra protagonista della Scuola di Padova, si è sempre cimentata con i materiali più diversi, vetro, ferro, legno; quando utilizza l’oro ne azzera ogni evidente carattere per estorcerne la negativa forza aggressiva con pigmenti, ossidi, smalti a fuoco e smalti acrilici. Nella successiva sperimentazione della materia plastica opera con acrilici e polivinili lucidi o opacizzati, sagomati in irregolari e interrotte geometrie. Con l’acrilico ottiene un effetto spugna che l’avvia a disvelamenti naturalistici con vere e proprie fioriture colorate rette da involucri metallici.
Graziella Folchini Grassetto
Una propria autonomia espressiva, seppure limitata al gioiello di fantasia e di complemento della moda, fu conquistata dalla plastica nei primi decenni del secolo scorso. L’Art Déco con la sua cultura modernista influenza l’ideazione di collane e di spille di bachelite, sostanza spessa e lucida, perfetta nel rendere gli spazi geometrici in nette contrapposizioni coloristiche.
È nel secondo dopoguerra, con il diffondersi di una ricerca libera da schemi tradizionali e particolarmente attratta dalla sperimentazione di prodotti di sintesi, che la plastica trionfa. Tra gli artisti pionieri nell’adottarla si annoverano l’inglese David Watkins e l’austriaco Fritz Maierhofer: operatori esperti nella lavorazione dei metalli accedono al nuovo mezzo, l’acrilico in particolare, di cui esplorano la resa di trasparenze e di ricche policromie che innovano i loro specifici linguaggi. Il minimalismo di Watkins assume una più ampia espansione con l’arricchimento interattivo di complesse linearità dislocate in piani spaziali diversi. Maierhofer testimonia la sua immersione nella cultura pop londinese con un originale vocabolario, che, senza escludere una rigorosa impostazione astratta, realizza modelli meccanici tra il gioco e la fantascienza, tra il segno esoterico e quello pubblicitario. Negli anni recenti, con il corian, nuova sostanza opaca e magmatica, l’artista formula modi espressionisti, che, tra fratture e lacerazioni, in un disordine caotico, hanno abbandonato ogni riferimento alla misura.
L’inglese di origine cinese Peter Chang, pittore e scultore, assomma le due discipline nel gioiello rendendo insieme la massa volumetrica della forma e lo spessore coloristico di una pittura necessitata a calarsi nella fisicità della plastica. Questa diventa materia insostituibile nel rendere le correlazioni iconografiche espresse da culture antichissime e da esperienze visive contemporanee che caratterizzano il linguaggio dell’artista. Con acrilici, polivinilcloruri (PVC), resine, poliesteri, Chang coordina e distribuisce in un armonioso equilibrio le linearità bidimensionali di una vegetazione tropicale o subacquea, le tridimensionali protuberanze di ali o pinne di mostri marini, i segni astratti delle tessere di mosaico, l’arcaica figurazione mitologica, la grafica esoterica, la fumettistica contemporanea. Le immagini eterogenee si snodano in una continuità che giustifica ogni relazione mnemonica, ogni suggestione concettuale, nella pienezza di forme arrotondate, colme, lucide che non fanno trasparire le ardue tecniche di stratificazione, di inclusioni, di infiltrazioni che sottendono tanto ordine compositivo.
L’artista tedesca Bussi Buhs si avvale totalmente di materie sintetiche di cui conosce le infinite possibilità di trasformismo idoneo al suo linguaggio simbolista. Sceglie poliesteri, fibre di vetro, pellicole per ottenere una materia insieme liquescente e sedimentata, aerea e volatile, capace di rendere i più sottili organigrammi anatomici del corpo evocando gli incerti confini tra fisicità e spiritualità.
Il ceco Pavel Opočenský con il suo linguaggio essenziale, ricco di lontani riferimenti all’Art Concret, sperimenta poliuretani, colorcore, fibre di vetro, polivinili, le cui molli, duttili caratteristiche agiscono sulle immagini geometriche insinuando nelle precise composizioni apparenti dissolvimenti, sdoppiamenti visivi, cedimenti strutturali.
L’artista austriaca Petra Zimmermann fa un uso prevalente di polimetilmetacrilati: interviene con plurime colate su foto digitali o reperti di giornali apposti su superfici metalliche in oro e argento, disseminate, tra gli interstizi, di perle, pietre, gemme e grafie auree. Le trasparenze creano deformazioni o enfatizzazioni di immagini di donne, icone rock o punk, di un glamour sfacciato da copertina. Una brillante rievocazione pop, ricca di citazioni, in cui l’aggressività non è più dirompente trasgressione, ma kitsch intenzionale.
La mostra presenta ben quattro artisti olandesi confermando l’Olanda come il paese dove Accademie e Scuole mantengono alto il livello della ricerca sperimentale. La plastica, fin dagli anni Sessanta, determinò una produzione che apparve rivoluzionaria; oggi è usata normalmente, spesso accostata ad altri materiali anche gemmologici.
Ted Noten sacralizza il gioiello prezioso raccogliendone esemplari entro contenitori trasparenti di perspex, a volte a forma di borse femminili, urne che li preservano per l’eternità: masse di anelli di stili diversi spesso veri corredi di una vita, privati della loro funzione ornamentale si trasformano in un omaggio ai modi stilistici del passato.
Un accentuato gusto per la preziosità gemmologica è presente anche nell’opera di Truike Verdegaal ricca di riferimenti a stili e modi del passato in cui la plastica è totalmente integrata, con tecniche finissime, ad altre materie. Recentemente l’artista ha dedicato uno studio approfondito alla rappresentazione di uccelli: tessuti, piume, trine, gemme, acrilici, poliuretani e metacrilati li raffigurano morbidi, languidi nelle loro positure, senza tradire la loro estinzione per epidemia.
Nell’iconografia tecnologica di Katja Prins si riconosce la rappresentazione di una realtà domestica dominata da macchine diventate inutili, libere dalla funzionalità, in una recuperata bellezza puramente oggettuale: permane nei meccanismi di metallo e polistirene la memoria della dedizione, della costanza, della precisione del lavoro femminile.
Iris Eichenberg, olandese di origine tedesca, accosta metilmetacrilati, gomma e gommapiuma all’argento operando una costante azione di mascheramento, rimozione e riesumazione d’immagini: la plastica medica si mescola alla porcellana per modulare un fiore che sembra una radice dentaria; la nera gomma di uno spinotto elettrico, un objet trouvé, produce argentee campanule fiorite. Il gioco dei camuffamenti, dei fraintendimenti, piuttosto che alla cultura surrealista e dadaista, è legato all’happening, alla figurazione concettuale.
L’Italia, per tradizione legata ai metalli nobili, riconosce con ritardo la valenza creativa della plastica. È all’interno della complessa sperimentazione della Scuola di Padova che si rintracciano le prime applicazioni sintetiche. Un esempio è riconducibile ad alcune opere minimaliste di Giampaolo Babetto presenti alla mostra internazionale di Tokyo nel 1983, in cui superfici di volumi aurei appaiono rivestite di resine colorate. A partire dal Duemila Babetto crea opere neocostruttiviste con plurime sovrapposizioni di geometrie piane in metacrilato, sempre profilate d’oro, dove le trasparenze rendono più complesse le articolazioni in un approfondimento spaziale.
Annamaria Zanella, altra protagonista della Scuola di Padova, si è sempre cimentata con i materiali più diversi, vetro, ferro, legno; quando utilizza l’oro ne azzera ogni evidente carattere per estorcerne la negativa forza aggressiva con pigmenti, ossidi, smalti a fuoco e smalti acrilici. Nella successiva sperimentazione della materia plastica opera con acrilici e polivinili lucidi o opacizzati, sagomati in irregolari e interrotte geometrie. Con l’acrilico ottiene un effetto spugna che l’avvia a disvelamenti naturalistici con vere e proprie fioriture colorate rette da involucri metallici.
Graziella Folchini Grassetto
16
novembre 2006
Plastica oro contemporaneo
Dal 16 novembre al 23 dicembre 2006
design
arte contemporanea
arti decorative e industriali
arte contemporanea
arti decorative e industriali
Location
STUDIO GR.20 – GRAZIELLA FOLCHINI GRASSETTO
Padova, Via Dei Soncin, 27, (Padova)
Padova, Via Dei Soncin, 27, (Padova)
Orario di apertura
16-19.30
Vernissage
16 Novembre 2006, ore 18
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