-
- container colonna1
- Categorie
- #iorestoacasa
- Agenda
- Archeologia
- Architettura
- Arte antica
- Arte contemporanea
- Arte moderna
- Arti performative
- Attualità
- Bandi e concorsi
- Beni culturali
- Cinema
- Contest
- Danza
- Design
- Diritto
- Eventi
- Fiere e manifestazioni
- Film e serie tv
- Formazione
- Fotografia
- Libri ed editoria
- Mercato
- MIC Ministero della Cultura
- Moda
- Musei
- Musica
- Opening
- Personaggi
- Politica e opinioni
- Street Art
- Teatro
- Viaggi
- Categorie
- container colonna2
- container colonna1
L’intervista/H.H. Lim L’opera più grande dello spazio
Senza categoria
Così sono i lavori esposti a Edicola Notte, lo spazio no profit che H. H. Lim, artista malese trapiantato a Roma, ha aperto molti anni fa nel cuore della Capitale. Una vetrina (in senso letterale) in cui sono passati più di cinquanta artisti. Perché sono loro, secondo Lim, i primi a dover dare il proprio contributo al sistema dell'arte e realizzare quel «faticoso cammino di testimonianza attraverso i loro occhi». Ecco il racconto di questa bella storia
H. H. Lim nasce in Malaysia, ma decide di studiare all’Accademia delle Belle Arti di Roma, città in cui vive e lavora da più di vent’anni e che gli ha regalato un meraviglioso accento sino-romano. Oltre che artista di successo, Lim è anche un attento operatore culturale che, nel 1990, ha aperto nel cuore di Roma, a Trastevere, come “Non profit-Artist Space”, lo spazio espositivo più piccolo e suggestivo della Capitale. Edicola Notte è, infatti, solo di un metro per sette, visibile dalla vetrina che affaccia su Vicolo del Cinque, cuore della movida trasteverina, tutti i giorni dalle 20:00 alle 3:00 del mattino.
Edicola Notte ha ospitato moltissimi artisti italiani e internazionali, che hanno realizzato per questa mini-galleria degli importanti progetti esclusivamente “site-specific”. Da qui sono passati, solo per citarne alcuni, Alfredo Pirri, Enzo Cucchi, Maurizio Mochetti, Michele Zaza, Carla Accardi, Jannis Kounellis, Huang Yong Ping, Yan Pei-Ming, Wang Du, Yang Jiechang, Sislej Xhafa, Micol Assaël, Gianfranco Baruchello, Jimmie Durham e circa un mese fa il duo goldiechiari.
Ci facciamo raccontare questa bella storia.
Lim, come mai hai scelto proprio Roma come città adottiva?
«Qualsiasi straniero vede Roma non come una città, ma come il mondo intero. Non posso parlare della sua storia e della sua arte, perché nessuna parola riuscirebbe a descriverne la grandezza. Non so se i romani si rendono conto di cosa vuol dire avere come eredità quel tesoro culturale e millenario che abbraccia la straordinarietà dell’arte rinascimentale, barocca e antica. A Roma ci sono le opere dei più grandi artisti di tutti i tempi e nomi come: Bramante, Raffaello, Michelangelo o Caravaggio, mi sembra che vadano oltre il mito e che siano, invece, piuttosto vicini a Dio! Quindi, chi sono io? Un giovanotto che, più di trent’anni fa, veniva dall’Oriente, molto appassionato d’arte e che doveva scegliere un luogo dove poter studiare arte. Mi viene spontaneo chiedermi: se non Roma, dove? Se devo pensare che a Roma non esiste nulla per l’arte contemporanea, allora mi sorge un dubbio: è forse Roma che ha scelto me!»
Com’è nata l’idea di aprire uno spazio no-profit?
«L’idea di Edicola Notte nasce da una visita che feci a New York più di vent’anni fa alla Dia Art Foundation dove vidi un’opera di Walter De Maria: una stanza di circa 400 mq riempita di terra e visibile solo dalla vetrina. Un luogo dove non si poteva accedere. Questo modo di esporre mi aveva molto colpito. A Roma passavo spesso a via del Monte di Pietà, dove c’era un’edicola chiusa con dentro il lumino e un’immagine della Madonna. Era un vero e proprio tabernacolo visibile solo dall’esterno. Il nome “Edicola” è anche quello del punto vendita dei giornali, quindi la fusione di tutte queste cose ha fatto nascere questo progetto».
Quando hai visto lo spazio di vicolo del Cinque è stato un colpo di fulmine?
«L’incontro con lo spazio di Vicolo del Cinque è stato del tutto casuale. Forse, anche se fosse stato quadrato, non avrebbe cambiato nulla. A quell’epoca avevo l’idea di fare una vetrina così. Ma trovai molto suggestivo questo spazio così piccolo, in una strada piena di passanti, e frequentata notte e giorno. Avevo bisogno di un luogo da gestire abbastanza facilmente, anche economicamente, essendo un “no-profit”.
Ma allora non avevo in mente in cosa potesse consistere la fatica e la responsabilità di mantenere uno spazio, seppur piccolo. Oggi, dopo 23 anni, invece capisco bene quanto impegno ci voglia, ma ancor meglio mi è chiaro quanto entusiasmo ci sia nel lavorare con un artista, e questa è la cosa che mi dà una soddisfazione inimmaginabile, come un massaggio alla schiena. Insomma: un dolore piacevole!»
Qual è stata la reazione degli artisti davanti alla sfida di interpretare uno spazio così angusto?
«Al primo impatto, ho letto negli occhi di tutti gli artisti che l’hanno visto una luce particolare, che è quella scatenata dalla sfida di riuscire a realizzare un progetto più grande dello spazio. E devo dire che sono riusciti quasi sempre nel loro intento. Per questo dico che c’è qualcosa di magico attorno a Edicola Notte che, non a caso, è al numero civico “23”, per dirla in romanesco! Per me “Edicola Notte” è come un utero che il più delle volte riesce a partorire un capolavoro. Sono molto orgoglioso di essere l’infermiere anzi, l’ostetrico, che è riuscito ad assistere per 23 anni alla nascita di tutti questi lavori. Per me ogni anno conta parecchio. Adesso la mia sfida è di andare verso il 24°, il 25° anno, e poi, e poi, e poi…»
Quanti artisti hai presentato dal 1990 ad oggi?
«Circa una cinquantina!»
Ci sono degli sponsor che ti aiutano economicamente in questa avventura?
«No, nessuna sovvenzione o sponsor. Io vendo i miei lavori per sostenere economicamente l’attività di Edicola Notte. Per questo credo che gli artisti possono fare meglio degli altri. Gli artisti per me dovrebbero sostenere un “artist-space” sia per dare il loro contributo al sistema dell’arte contemporanea che per realizzare un lunghissimo e faticoso cammino di testimonianza attraverso i loro occhi. E poi il mondo dell’arte è diviso secondo me in circa sei binari: ci sono i musei che rappresentano l’istituzione e che fanno un buon lavoro, i collezionisti che con le loro fondazioni hanno dimostrato grandi capacità gestionali, i galleristi che svolgono un importantissimo lavoro; i critici con i loro articoli e i loro libri; i curatori che con la scelta dei “temporary space” per esporre hanno dimostrato una certa capacità organizzativa, penso a Jeffrey Deitch che addirittura ha avuto un suo proprio spazio. Ma, a questo punto, indago e mi domando: che cosa fa l’artista? Da sempre l’artista ha assistito alla gestione di un “artist space”, ma oggi sembra che ci sia una grande difficoltà nel fare ciò. Forse oggi l’artista è incapace di mettere sull’altare un altro artista. Mi viene in mente il racconto di Suzanne Valadon sugli incontri settimanali degli Impressionisti nello studio di Toulouse-Lautrec, dove gli artisti discutevano le problematiche sull’arte, Van Gogh partecipava, seduto in un angolo, portando con sé una sua opera e esponendola, poi con una grande discrezione ascoltava il dibattito fino alla fine e quando la riunione si scioglieva se ne andava via con la sua opera. La settimana successiva si ripeteva la stessa scena. Per me è straordinario che coloro che amano l’arte scelgono un loro binario. Se gli altri “binari” hanno il pregio di una grande capacità manageriale, quello degli artisti dovrebbe interrogarsi di più sull’aspetto intimo dell’arte, discutendo sulle difficoltà della creazione delle opere e sulla possibilità di condividere l’esperienza comune. Ma ho la sensazione che l’unico binario mal gestito sia proprio quello degli artisti. Ed è da qui che nasce la mia sfida! Che un artista non sia capace, al di là di produrre arte, di dare un contributo per la gestione della propria casa, mi sembra assurdo».
La scelta degli artisti è solo tua o hai dei critici/curatori/ artisti/ galleristi con cui ti confronti?
«La domanda è molto delicata, perché qui stiamo toccando i sei “binari” di cui ho parlato prima. Ci tengo quindi a sottolineare che il mio “concept” è proprio legato all’artista. È l’artista stesso che deve decidere la propria casa ed “Edicola Notte” è come una casa degli artisti: quindi un’opera collettiva. Il mio modo di scegliere gli artisti spesso nasce da un incontro con dei colleghi che stimo, incontro che poi si trasforma in un rapporto lunghissimo, spesso di anni, durante il quale matura un progetto per Edicola Notte. Altre volte la scelta è del tutto casuale, altre ancora ci sono dei progetti già maturi, ma si aspetta il momento giusto per realizzarli!»