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Aristide Barilli – L’intimità dipinta
antologica
Comunicato stampa
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Con il titolo “L’intimità dipinta. Antologica di Aristide Barilli” il Comune di Colorno e l’Accademia Nazionale di Belle Arti di Parma rende omaggio a Aristide Barilli, il più anziano accademico parmense, novantatreenne, riprendendo la mostra che l’Accademia gli aveva organizzato per il compleanno nel 2004 e che, in un certo senso, lo aveva fatto scoprire anche a chi credeva di conoscerlo, poiché, nelle sale espositive della reggia, vengono presentate quaranta opere che coprono il percorso dal 1951 alla fine degli anni novanta.
L’esposizione sarà presentata dal sindaco di Colorno Stefano Gelati e da Marzio Dall’Acqua, presidente dell’Accademia Nazionale di Belle Arti di Parma.
Mostra sorprendente questa di Aristide Barilli, pittore e poeta vissuto al margine, in una striscia di terra di nessuno che si è creato e che ha battuto un passo avanti l’altro negli anni. Al margine di una famiglia illustre ed un po’ ingombrante, con la quale inevitabilmente era facile doversi confrontare e competere. Al margine di una tradizione pittorica ottocentesca e novecentesca interiorizzate e impastate con i propri umori ed amori, in un privato che è stato visto come il mondo esclusivo di questo artista dalla voce flebile, dal canto intimo se non intimistico, dall’ambito ristretto di familiari frequentazioni, in una incapacità di lasciare quel nido troppo vasto, che si riempiva e vuotava di generazioni in febbrile transumanza, che fu casa Barilli. Ed anche nelle mostre Aristide si metteva od era messo al margine, con opere di una segreta emozione e di un intimo respiro come appariva il suo naturalismo fatto di paesaggi e di lievi nature morte, che sembrava riflettere la sua riservatezza e compostezza umana.
Ebbene nulla di tutto questo in questa esposizione, dalla voce incisiva, dal canto limpido, ma anche dalla forte tempra di una ricerca che parte dal postfuturismo, apprende dalla lezione futurista un modo di disfare la materia, che accende esplosioni al limite dell’astrazione come ne Lo scoppio del 1967, manifesto contro la guerra che è violenza pittorica e cromatica, insieme lirica denuncia nella dinamicità del disfarsi della materia. La quotidianità come sospensione, come pazienza, come attesa, come stare segreto ed intimo delle cose. A questa immobilità si acquieta il pittore nelle nature morte, che abbiamo scelto per l’esposizione, adattandosi ad una sospensione, ad un osservare che percepisce ogni alterità, togliendo ogni respiro. Occhio che contempla e mano che registra, per cui queste nature morte sono sorprendenti nei soggetti, come in Pantofole del 1965, Arco e bottiglie, del 1978 e Rame e sedia del 1991. La luce certo, ma non solo, poiché il linguaggio artistico di Aristide è complesso e va da un realismo magico, come nelle opere che sono testimonianze - Parma tra guerra e pace del 1947 - ad un gioco di colori che compongono - e quindi scompongono - i piani della realtà in teleri segreti, in una prospettiva degli affetti e degli effetti, molto più complessa di un paesaggismo di maniera, come dimostrano le tante opere é un vero e proprio corpus - legate ai soggiorni nella villa di Mamiano, violata dai ladri, alla fine e quindi rifiutata. La luce come emersione dei colori, come eccitazione dell’animo. La corsa infinita, come il “verde que te quiero verde” di Garcia Lorca, a dipingere il verde su verde: sublimazione alchemica della pittura che cerca la sua araba fenice, in intrighi di foglie, di tocchi di pennello e di macchie, senza luce che non sia impastata con il colore. Un ombrellone, una base gialla squillante, un colpo di rosso, un verde emergono e s’impongono incongrui eppure così candidi e teneri nella loro fragilità da anticipare una serie di opere che sono di natura psichica, profondamente coinvolte con il tema dell’inconscio, di una interiorità indomita, inquieta, insospettabile in un artista così solitario, così elegantemente “nobile” così privato nella sua modestia, nella sua marginalità. Eppure sono proprio opere come Autoritratto con gli spiriti del 1970, che lo stesso pittore definisce “momento di ansia nell’esistenza”, oppure Cielo in Val di Fassa del 1978 - scrive Aristide “questo cielo, quest’aria fermano Barilli al ciglio della strada”- , Giochi pericolosi del 1970 oppure La fantasia (Il Prestigiatore) del 1970. Ed è da questo filone che muove, sempre con un sentiero minimale, come ha fatto per tutta la vita, verso l’astrazione - l’unico tra i Barilli che abbia il coraggio di tentare se non negare la figura -, gesto di coraggio inaspettato da un cauto, da uno riservato e schivo, al limite della timidezza, da uno che sceglie il piacere dell’osservare, il “paziente desiderio di non raccogliere”, ma arriva a esiti sorprendenti come in L’attesa del 1969.
Il catalogo
Per l’occasione la Tielleci, la Tipografia La Colornese ha stampato un catalogo di 128 pagine, che presenta le quaranta opere in mostra a piena pagina e a colori. L’iconografia è preceduta da un saggio critico di Marzio Dall’Acqua e seguita da una serie di testimonianze, che mettono in luce l’uomo Aristide Barilli, il giornalista, lo scrittore ed il poeta scritte da Davide Barilli, Francesco Barocelli, Carlo Donati, Luca Goldoni, Giuseppe Marchetti, Tiziano Marcheselli, Matteo Montan, Giorgio Torelli, il cui testo è commentato dai ritratti inediti che gli ha fatto Latino Barilli e da un pupazzo caricatura di Aristide Barilli. Un ricco corredo di fotografie, proveniente dalla raccolta di famiglia e dalla collezione di Romano Rosati di Parma, illustra la biografia, la più ampia fino ad ora scritta, e la nota bibliografica, che è anche antologia critica, la prima per l’artista, chiude il volume.
L’esposizione sarà presentata dal sindaco di Colorno Stefano Gelati e da Marzio Dall’Acqua, presidente dell’Accademia Nazionale di Belle Arti di Parma.
Mostra sorprendente questa di Aristide Barilli, pittore e poeta vissuto al margine, in una striscia di terra di nessuno che si è creato e che ha battuto un passo avanti l’altro negli anni. Al margine di una famiglia illustre ed un po’ ingombrante, con la quale inevitabilmente era facile doversi confrontare e competere. Al margine di una tradizione pittorica ottocentesca e novecentesca interiorizzate e impastate con i propri umori ed amori, in un privato che è stato visto come il mondo esclusivo di questo artista dalla voce flebile, dal canto intimo se non intimistico, dall’ambito ristretto di familiari frequentazioni, in una incapacità di lasciare quel nido troppo vasto, che si riempiva e vuotava di generazioni in febbrile transumanza, che fu casa Barilli. Ed anche nelle mostre Aristide si metteva od era messo al margine, con opere di una segreta emozione e di un intimo respiro come appariva il suo naturalismo fatto di paesaggi e di lievi nature morte, che sembrava riflettere la sua riservatezza e compostezza umana.
Ebbene nulla di tutto questo in questa esposizione, dalla voce incisiva, dal canto limpido, ma anche dalla forte tempra di una ricerca che parte dal postfuturismo, apprende dalla lezione futurista un modo di disfare la materia, che accende esplosioni al limite dell’astrazione come ne Lo scoppio del 1967, manifesto contro la guerra che è violenza pittorica e cromatica, insieme lirica denuncia nella dinamicità del disfarsi della materia. La quotidianità come sospensione, come pazienza, come attesa, come stare segreto ed intimo delle cose. A questa immobilità si acquieta il pittore nelle nature morte, che abbiamo scelto per l’esposizione, adattandosi ad una sospensione, ad un osservare che percepisce ogni alterità, togliendo ogni respiro. Occhio che contempla e mano che registra, per cui queste nature morte sono sorprendenti nei soggetti, come in Pantofole del 1965, Arco e bottiglie, del 1978 e Rame e sedia del 1991. La luce certo, ma non solo, poiché il linguaggio artistico di Aristide è complesso e va da un realismo magico, come nelle opere che sono testimonianze - Parma tra guerra e pace del 1947 - ad un gioco di colori che compongono - e quindi scompongono - i piani della realtà in teleri segreti, in una prospettiva degli affetti e degli effetti, molto più complessa di un paesaggismo di maniera, come dimostrano le tante opere é un vero e proprio corpus - legate ai soggiorni nella villa di Mamiano, violata dai ladri, alla fine e quindi rifiutata. La luce come emersione dei colori, come eccitazione dell’animo. La corsa infinita, come il “verde que te quiero verde” di Garcia Lorca, a dipingere il verde su verde: sublimazione alchemica della pittura che cerca la sua araba fenice, in intrighi di foglie, di tocchi di pennello e di macchie, senza luce che non sia impastata con il colore. Un ombrellone, una base gialla squillante, un colpo di rosso, un verde emergono e s’impongono incongrui eppure così candidi e teneri nella loro fragilità da anticipare una serie di opere che sono di natura psichica, profondamente coinvolte con il tema dell’inconscio, di una interiorità indomita, inquieta, insospettabile in un artista così solitario, così elegantemente “nobile” così privato nella sua modestia, nella sua marginalità. Eppure sono proprio opere come Autoritratto con gli spiriti del 1970, che lo stesso pittore definisce “momento di ansia nell’esistenza”, oppure Cielo in Val di Fassa del 1978 - scrive Aristide “questo cielo, quest’aria fermano Barilli al ciglio della strada”- , Giochi pericolosi del 1970 oppure La fantasia (Il Prestigiatore) del 1970. Ed è da questo filone che muove, sempre con un sentiero minimale, come ha fatto per tutta la vita, verso l’astrazione - l’unico tra i Barilli che abbia il coraggio di tentare se non negare la figura -, gesto di coraggio inaspettato da un cauto, da uno riservato e schivo, al limite della timidezza, da uno che sceglie il piacere dell’osservare, il “paziente desiderio di non raccogliere”, ma arriva a esiti sorprendenti come in L’attesa del 1969.
Il catalogo
Per l’occasione la Tielleci, la Tipografia La Colornese ha stampato un catalogo di 128 pagine, che presenta le quaranta opere in mostra a piena pagina e a colori. L’iconografia è preceduta da un saggio critico di Marzio Dall’Acqua e seguita da una serie di testimonianze, che mettono in luce l’uomo Aristide Barilli, il giornalista, lo scrittore ed il poeta scritte da Davide Barilli, Francesco Barocelli, Carlo Donati, Luca Goldoni, Giuseppe Marchetti, Tiziano Marcheselli, Matteo Montan, Giorgio Torelli, il cui testo è commentato dai ritratti inediti che gli ha fatto Latino Barilli e da un pupazzo caricatura di Aristide Barilli. Un ricco corredo di fotografie, proveniente dalla raccolta di famiglia e dalla collezione di Romano Rosati di Parma, illustra la biografia, la più ampia fino ad ora scritta, e la nota bibliografica, che è anche antologia critica, la prima per l’artista, chiude il volume.
16
settembre 2006
Aristide Barilli – L’intimità dipinta
Dal 16 settembre al primo ottobre 2006
arte contemporanea
Location
REGGIA DI COLORNO
Colorno, Piazza Giuseppe Garibaldi, 26, (Parma)
Colorno, Piazza Giuseppe Garibaldi, 26, (Parma)
Orario di apertura
da martedì a domenica 10- 13 15-18
Vernissage
16 Settembre 2006, ore 17,30
Ufficio stampa
ANTEA
Autore