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Antonio Pedretti – Il Naturalismo esistenziale
La forza dell’uomo, il suo dolore, il suo potente conflitto con la natura sono e sono stati, per una profonda radice di non eludibile verità, i temi principali della ricerca di Antonio Pedretti
Comunicato stampa
Segnala l'evento
E’ il paesaggio, e ancor di più il sentimento della natura il filo
conduttore del percorso artistico di questo importante artista lombardo
contemporaneo.
Pedretti parte dai grandi maestri del paesaggio della grande tradizione
inglese e francese: Turner “per la materializzazione della pittura di luce e
quel gran senso d’aria che vi circola”, Constable per “l’invenzione e le
luci”, Monet di cui studia a non finire le ninfee e di cui predilige l’ampia
dimensione delle tele. Significativa per l’artista sarà anche la tradizione
di paesaggio della scuola pittorica lombarda italiana tra ‘800 e ‘900:
Gaetano Previati, Giovanni Segantini, Ennio Morlotti di cui comprende nel
profondo il loro naturalismo.
E’ lo stesso artista che in un’intervista afferma: “Ho riflettuto sulla
pittura di Morlotti, quella degli anni sessanta soprattutto, nella quale la
materia opulenta esprime un’energia di trasformazione che mi ha interessato
molto. Della tradizione lombarda credo di aver ereditato lo sguardo ampio,
la propensione a calarsi nella natura e poi l’attenzione alle luci ed alle
acque e quindi al trascorrere del tempo, tutti elementi di mobilità che sono
attuali come sensibilità. I miei colori umidi, soffusi e sommessi possono
considerarsi lombardi. Qualche volta possono evocare il vuoto, il buio, ma
non sono tragici. Il riferimento al Seicento lombardo, che è stato pure
fatto è relativo forse a qualche umore, ma nella mia pittura c’è un
sentimento laico, legato alla concretezza dei processi naturali.”
Il paesaggio per Pedretti, si identifica con il suo legame con l’acqua, e,
in particolare, con le zone dove l’acqua del suo amato lago diventa palude.
Dichiara l’artista: “è il luogo fisico, ma anche mentale che rivela segreti
sulla mia, sulla nostra piccola storia temporale, forse anche un regno del
silenzio dove posso compiere senza essere disturbato i miei viaggi
interiori”. L’acqua diventa simbolo dell’inconscio, rappresenta il nostro
doppio che pulsa dentro di noi attraverso gli istinti e i sentimenti. “Ho
sempre dipinto solo il lago – afferma – anzi la palude: fazzoletti di quella
natura per trovare la mia verità”.
Ma non conta più riprodurre la natura così come appare, secondo il
principio della mimesi, ma così come la si interpreta e la si percepisce.
Ecco che allora i paesaggi diventano luoghi simbolici, reali, ma nello
stesso tempo immaginari, privi di particolari che permettano di individuarne
con esattezza le località e caratterizzati da una totale assenza di presenze
umane. Divengono “Il luogo dello spirito – come afferma Giovanni Faccenda-
fortemente evocativo, esso è fonte di ispirazione, ma soprattutto rifugio
sicuro nel grembo umido delle sue foschie odorose di muschio.”
Quindi una culla materna, un legame al femminile estremamente forte, tanto
da portarlo nel 2000 a lasciare il lago di Varese per un avventuroso viaggio
in Amazzonia e per un serie di mostre organizzate in Brasile.
La grandiosità del paesaggio e la ricchezza dei contrasti cromatici
suggeriti dalla lussureggiante vegetazione dilatano la forza e l’ampiezza
della gestualità e la carica emotiva che già caratterizzavano i precedenti
dipinti dell’artista. La forza della natura è smisurata e l’uomo non può
comprenderla fino in fondo. La pittura diventa così astratta anche se
Pedretti non riesce ad abbandonare completamente riferimenti a figure
riconoscibili, piante, fiori, che collocano geograficamente i soggetti delle
sue tele. E Sgarbi puntualizza: “Antonio Perdetti è una vera sentinella del
sentimento della natura, guardiano dello spirito del mondo”.
Ora la materia pittorica si fa sempre più sofferta: a colpi di spatola,
graffiata, ferita quasi a voler alludere al faticoso cammino, aperto a colpi
di machete, nella foresta.
“Pedretti – scrive F. Magalhães nel catalogo Azzurro Amazzonia – esimio
paesaggista ritrae la foresta come fosse personaggio. […]. Pedretti ha
intimità con la natura: il lago di Varese e i suoi dintorni, nel nord
Italia, fanno parte del suo universo pittorico, soggetto ricorrente nelle
sue tele. L’artista si accosta allo stesso paesaggio, continuamente
reinterpretato, in modo via via più denso, con gesti, colori, texture e
materie. Le sue immagini sono trasfigurazioni delle forme dinamiche che
governano la natura.
L’Amazzonia è stata per lui una sorta di avventura amorosa, vissuta in una
realtà selvaggia, incolta, naturale, radicalmente diversa dal bucolico
paesaggio italiano.”
BIOGRAFIA
Antonio Perdetti nasce il 2 febbraio 1950 a Gavirate in provincia di Varese.
La sua formazione avviene, dapprima, alla scuola di pittura del Castello
Sforzesco e poi all'Accademia di Brera che abbandona nel 1972. Nel
frattempo, all'età di sedici anni, ha già allestito la sua prima personale
alla Galleria Ca' Vegia di Varese con opere dipinte a spatola in cui erano
rappresentati, con un certo sentimentalismo e una pregevole, precoce abilità
tecnica, paesaggi, casolari, fiori, alberi, acque stagnanti.
Soggetto quest'ultimo che resterà una costante all'interno del percorso
dell'artista, nato sulle rive del lago e dunque intimamente legato a questo
genere di paesaggio naturale.
Dopo aver partecipato ad alcune collettive, fra le quali ricordiamo il
Premio Nazionale Varese Arte, ordina nel 1970 una seconda personale alla
Galleria Ghiggini di Varese con alcuni nudi che ricordano certe dolcezze
segniche di un De Pisis o un Bonnard, e con una serie di paesaggi dedicati
alla Sicilia. Scrive Gian Franco Maffina in catalogo: 'Egli ancora con gli
occhi pieni di umide tenerezze di questa terra lombarda si sarà trovato
certamente attonito di fronte alla violenta bellezza del nostro Sud, alla
luce accecante dei suoi muri riarsi da un sole implacabile e dalla salsedine
marina, alle sue spiaggie abbacinanti, al suo mare increspato dal caldo
vento d'Africa e lo si avverte questo suo turbamento quasi attonito in
queste sue borgate costiere dove il silenzio è rotto solo dallo scalpire di
un asinello o dal richiamo da nenia orientale del venditore ambulante'. Due
anni dopo espone alla Galerie L'Angle aigu di Bruxelles ottenendo un
lusinghiero successo di critica sulla stampa belga. Lo presenta Renato
Guttuso: 'Caro Pedretti, benché tu sia molto giovane, il tuo lavoro offre
già alcuni elementi sicuri per giudicare delle tue doti non comuni. Non si
può non essere colpiti dalla sicurezza con cui il tuo segno, le tue note di
colore definiscono un paesaggio, una figura, un intero nei suoi tratti
essenziali; del piglio con cui il tuo disegno ha la capacità di penetrare la
forma, ad indagarla con precisione, senza cadere nell'analisi minuziosamente
accademica. Oggi il tuo lavoro si trova ad un punto assai serio, e mi pare
che i tuoi dipinti recenti contengano elementi nuovi rispetto alla felicità
e facilità delle tue precedenti pitture. C'è la coscienza di un impegno
nuovo e di nuove difficoltà. E' la premessa di un balzo in avanti'.
A questo punto, dopo una mostra alla Galleria Ghiggini di carattere
riassuntivo, inizia per l'artista una pausa riflessione, un periodo di
ripensamento durante il quale si ritira dall'attività pubblica per una
silenziosa e pensosa opera di ricerca, rivede le esperienze artistiche
finora vissute e le rimette in discussione.
I primi risultati di questa appartata fase di sperimentazione sono una serie
di paesaggi immaginari composti solo di onde marine e di vaganti nubi e
fissati in atmosfere sospese percorse di vivida luce. E' il gesto, alla
maniera di Pollock, ad assumere importanza in queste opere della seconda
metà degli anni '70, un gesto ampio e disteso che consente alla materia
pittorica di espandersi e corrugarsi, di brillare in vividi colori e di
disegnare trame allusive. Dipinge queste immagini 'informali' su fogli di
pvc o di plexiglass e le rinchiude all'interno degli stessi stratificando i
materiali ed utilizzando anche delle resine. Viana Conti nella presentazione
della mostra Ceneri a reazione, tenutasi nel 1982 al Luogo di Gauss di
Milano, vede in queste scelte un punto di avvio: 'Il pittore, dopo essersi
scatenato nelle grandi dimensioni e dopo aver dimostrato di poter invadere
il mondo, ritesse uno spazio di gioco e di analisi e ricomincia a parlare
dietro un velo. La soglia al di là della quale ripete i suoi gesti pittorici
è quella della trasparenza di una lastra di plexiglass. Ma quella lastra è
lì per creare una distanza, per funzionare ancora come una finestra, un
punto focale dello sguardo. La libertà dell'artista, nelle sue opere
recenti, non è cercata nell'estensione massima delle braccia, nell'urlo a
voce spiegata, ma in una successione di piccoli gesti e di modulazioni della
voce. Quel pensiero del limite che prima diventava angosciante, ridiventa
per questo artista praticabile, quando addirittura non è una condizione per
dare continuità al discorso arte. L'idea di frammento, liberandosi di una
connotazione rovinosa ricrea una condizione di partenza per la costruzione
non più del monumento del passato, ma di un documento presente.
Nel lavoro di Pedretti è recuperabile un ricordo di matrice informale, che
nel tempo si è svuotato di significati e di valori, trovando nella
frequentazione della materia' e dei colori... pulsioni magiche e ludiche'.
Per Marco Meneguzzo, invece, con queste opere l'artista si pone sul confine
oltre il quale la pittura invade altri territori: 'E' indubbio che la
pittura di Pedretti sia pittura di paesaggio - e quanto egli debba a certo
naturalismo lombardo non viene certo nascosto-; il fatto oggi sorprendente è
piuttosto che questo paesaggio vuol essere paesaggio di natura e non, ancora
una volta, paesaggio d'arte. Non è dunque la sua operazione 'manieristica'
per quanto oggi si possa sfuggire al manierismo -che mutua la propria ragion
d'essere soltanto dall'arte. Posizione rischiosa da sostenere, ma audace e,
paradossalmente, nuova: come se una positiva fiducia in se stessi e nei
mezzi della pittura potesse aver la forza eversiva di ribaltare tendenze e
direzioni, che mostrano sì qualche sintomo di stanchezza, ma che tuttora
sembrano senza alternativa. Non l'attraversamento delle immagini e della
storia dell'arte, non l'analisi e il tormento degli strumenti ultimi della
pittura, ma un referente antico e nuovo al contempo, un tentativo di
rivitalizzare e di riannodare i fili forse non totalmente recisi con certa
tradizione, specialmente d'impianto romantico. Le trasparenze che Pedretti
raggiunge attraverso ripetute colate di resina e di pittura sono trasparenze
che possono ricordare persino i cieli tiepoleschi, ma anche un cielo
lombardo 'così bello quando è bello'. Un'altro naturalismo? La questione è
vecchia come la pittura...' (presentazione al catalogo della mostra
personale al Luogo di Gauss, Milano, 1983).
Ed in effetti la questione del naturalismo in Pedretti è centrale come
dimostrano i suoi esiti ulteriori.
Difatti, abbandonate, a partire dalla metà degli anni '80, le velleità delle
avanguardie contemporanee, ritorna in una certa misura a quel senso della
natura delle origini, a liriche evocazioni paesistiche, memori però della
gestualità informale e soprattutto della lezione di tre grandi maestri del
genere:
Constable, Segantini e Morlotti. Dei primi due ritroviamo nelle immagini di
Pedretti il sapiente uso delle scansioni cromatiche e la grande capacità di
strutturare l'insieme per giochi chiaroscurali; del terzo, appare evidente
il rapporto -diremmo- terragno con la materia, la quale sempre tende più a
solidificarsi e ad acquistare spessore. Indubbiamente queste sono solo
referenze culturali, le solide basi su cui poggiano le costruzioni
pittoriche di Pedretti il quale si affida a sensazioni visive, ma
soprattutto ricrea in studio sul filo della memoria visioni che già sono
depositate nel suo immaginario fin dall'infanzia, che affiorano e si
accumulano ad ogni esperienza. E, se dapprima rendeva delle ampie
panoramiche dei paesaggi lacustri, delle erbe di palude e dei canneti, ora
pare immergervisi, in un rito quasi di sapore simbolico, per evidenziare un
dettaglio, per isolare un particolare, per mettere a fuoco uno stelo o un
fiore o un intero cespuglio.
conduttore del percorso artistico di questo importante artista lombardo
contemporaneo.
Pedretti parte dai grandi maestri del paesaggio della grande tradizione
inglese e francese: Turner “per la materializzazione della pittura di luce e
quel gran senso d’aria che vi circola”, Constable per “l’invenzione e le
luci”, Monet di cui studia a non finire le ninfee e di cui predilige l’ampia
dimensione delle tele. Significativa per l’artista sarà anche la tradizione
di paesaggio della scuola pittorica lombarda italiana tra ‘800 e ‘900:
Gaetano Previati, Giovanni Segantini, Ennio Morlotti di cui comprende nel
profondo il loro naturalismo.
E’ lo stesso artista che in un’intervista afferma: “Ho riflettuto sulla
pittura di Morlotti, quella degli anni sessanta soprattutto, nella quale la
materia opulenta esprime un’energia di trasformazione che mi ha interessato
molto. Della tradizione lombarda credo di aver ereditato lo sguardo ampio,
la propensione a calarsi nella natura e poi l’attenzione alle luci ed alle
acque e quindi al trascorrere del tempo, tutti elementi di mobilità che sono
attuali come sensibilità. I miei colori umidi, soffusi e sommessi possono
considerarsi lombardi. Qualche volta possono evocare il vuoto, il buio, ma
non sono tragici. Il riferimento al Seicento lombardo, che è stato pure
fatto è relativo forse a qualche umore, ma nella mia pittura c’è un
sentimento laico, legato alla concretezza dei processi naturali.”
Il paesaggio per Pedretti, si identifica con il suo legame con l’acqua, e,
in particolare, con le zone dove l’acqua del suo amato lago diventa palude.
Dichiara l’artista: “è il luogo fisico, ma anche mentale che rivela segreti
sulla mia, sulla nostra piccola storia temporale, forse anche un regno del
silenzio dove posso compiere senza essere disturbato i miei viaggi
interiori”. L’acqua diventa simbolo dell’inconscio, rappresenta il nostro
doppio che pulsa dentro di noi attraverso gli istinti e i sentimenti. “Ho
sempre dipinto solo il lago – afferma – anzi la palude: fazzoletti di quella
natura per trovare la mia verità”.
Ma non conta più riprodurre la natura così come appare, secondo il
principio della mimesi, ma così come la si interpreta e la si percepisce.
Ecco che allora i paesaggi diventano luoghi simbolici, reali, ma nello
stesso tempo immaginari, privi di particolari che permettano di individuarne
con esattezza le località e caratterizzati da una totale assenza di presenze
umane. Divengono “Il luogo dello spirito – come afferma Giovanni Faccenda-
fortemente evocativo, esso è fonte di ispirazione, ma soprattutto rifugio
sicuro nel grembo umido delle sue foschie odorose di muschio.”
Quindi una culla materna, un legame al femminile estremamente forte, tanto
da portarlo nel 2000 a lasciare il lago di Varese per un avventuroso viaggio
in Amazzonia e per un serie di mostre organizzate in Brasile.
La grandiosità del paesaggio e la ricchezza dei contrasti cromatici
suggeriti dalla lussureggiante vegetazione dilatano la forza e l’ampiezza
della gestualità e la carica emotiva che già caratterizzavano i precedenti
dipinti dell’artista. La forza della natura è smisurata e l’uomo non può
comprenderla fino in fondo. La pittura diventa così astratta anche se
Pedretti non riesce ad abbandonare completamente riferimenti a figure
riconoscibili, piante, fiori, che collocano geograficamente i soggetti delle
sue tele. E Sgarbi puntualizza: “Antonio Perdetti è una vera sentinella del
sentimento della natura, guardiano dello spirito del mondo”.
Ora la materia pittorica si fa sempre più sofferta: a colpi di spatola,
graffiata, ferita quasi a voler alludere al faticoso cammino, aperto a colpi
di machete, nella foresta.
“Pedretti – scrive F. Magalhães nel catalogo Azzurro Amazzonia – esimio
paesaggista ritrae la foresta come fosse personaggio. […]. Pedretti ha
intimità con la natura: il lago di Varese e i suoi dintorni, nel nord
Italia, fanno parte del suo universo pittorico, soggetto ricorrente nelle
sue tele. L’artista si accosta allo stesso paesaggio, continuamente
reinterpretato, in modo via via più denso, con gesti, colori, texture e
materie. Le sue immagini sono trasfigurazioni delle forme dinamiche che
governano la natura.
L’Amazzonia è stata per lui una sorta di avventura amorosa, vissuta in una
realtà selvaggia, incolta, naturale, radicalmente diversa dal bucolico
paesaggio italiano.”
BIOGRAFIA
Antonio Perdetti nasce il 2 febbraio 1950 a Gavirate in provincia di Varese.
La sua formazione avviene, dapprima, alla scuola di pittura del Castello
Sforzesco e poi all'Accademia di Brera che abbandona nel 1972. Nel
frattempo, all'età di sedici anni, ha già allestito la sua prima personale
alla Galleria Ca' Vegia di Varese con opere dipinte a spatola in cui erano
rappresentati, con un certo sentimentalismo e una pregevole, precoce abilità
tecnica, paesaggi, casolari, fiori, alberi, acque stagnanti.
Soggetto quest'ultimo che resterà una costante all'interno del percorso
dell'artista, nato sulle rive del lago e dunque intimamente legato a questo
genere di paesaggio naturale.
Dopo aver partecipato ad alcune collettive, fra le quali ricordiamo il
Premio Nazionale Varese Arte, ordina nel 1970 una seconda personale alla
Galleria Ghiggini di Varese con alcuni nudi che ricordano certe dolcezze
segniche di un De Pisis o un Bonnard, e con una serie di paesaggi dedicati
alla Sicilia. Scrive Gian Franco Maffina in catalogo: 'Egli ancora con gli
occhi pieni di umide tenerezze di questa terra lombarda si sarà trovato
certamente attonito di fronte alla violenta bellezza del nostro Sud, alla
luce accecante dei suoi muri riarsi da un sole implacabile e dalla salsedine
marina, alle sue spiaggie abbacinanti, al suo mare increspato dal caldo
vento d'Africa e lo si avverte questo suo turbamento quasi attonito in
queste sue borgate costiere dove il silenzio è rotto solo dallo scalpire di
un asinello o dal richiamo da nenia orientale del venditore ambulante'. Due
anni dopo espone alla Galerie L'Angle aigu di Bruxelles ottenendo un
lusinghiero successo di critica sulla stampa belga. Lo presenta Renato
Guttuso: 'Caro Pedretti, benché tu sia molto giovane, il tuo lavoro offre
già alcuni elementi sicuri per giudicare delle tue doti non comuni. Non si
può non essere colpiti dalla sicurezza con cui il tuo segno, le tue note di
colore definiscono un paesaggio, una figura, un intero nei suoi tratti
essenziali; del piglio con cui il tuo disegno ha la capacità di penetrare la
forma, ad indagarla con precisione, senza cadere nell'analisi minuziosamente
accademica. Oggi il tuo lavoro si trova ad un punto assai serio, e mi pare
che i tuoi dipinti recenti contengano elementi nuovi rispetto alla felicità
e facilità delle tue precedenti pitture. C'è la coscienza di un impegno
nuovo e di nuove difficoltà. E' la premessa di un balzo in avanti'.
A questo punto, dopo una mostra alla Galleria Ghiggini di carattere
riassuntivo, inizia per l'artista una pausa riflessione, un periodo di
ripensamento durante il quale si ritira dall'attività pubblica per una
silenziosa e pensosa opera di ricerca, rivede le esperienze artistiche
finora vissute e le rimette in discussione.
I primi risultati di questa appartata fase di sperimentazione sono una serie
di paesaggi immaginari composti solo di onde marine e di vaganti nubi e
fissati in atmosfere sospese percorse di vivida luce. E' il gesto, alla
maniera di Pollock, ad assumere importanza in queste opere della seconda
metà degli anni '70, un gesto ampio e disteso che consente alla materia
pittorica di espandersi e corrugarsi, di brillare in vividi colori e di
disegnare trame allusive. Dipinge queste immagini 'informali' su fogli di
pvc o di plexiglass e le rinchiude all'interno degli stessi stratificando i
materiali ed utilizzando anche delle resine. Viana Conti nella presentazione
della mostra Ceneri a reazione, tenutasi nel 1982 al Luogo di Gauss di
Milano, vede in queste scelte un punto di avvio: 'Il pittore, dopo essersi
scatenato nelle grandi dimensioni e dopo aver dimostrato di poter invadere
il mondo, ritesse uno spazio di gioco e di analisi e ricomincia a parlare
dietro un velo. La soglia al di là della quale ripete i suoi gesti pittorici
è quella della trasparenza di una lastra di plexiglass. Ma quella lastra è
lì per creare una distanza, per funzionare ancora come una finestra, un
punto focale dello sguardo. La libertà dell'artista, nelle sue opere
recenti, non è cercata nell'estensione massima delle braccia, nell'urlo a
voce spiegata, ma in una successione di piccoli gesti e di modulazioni della
voce. Quel pensiero del limite che prima diventava angosciante, ridiventa
per questo artista praticabile, quando addirittura non è una condizione per
dare continuità al discorso arte. L'idea di frammento, liberandosi di una
connotazione rovinosa ricrea una condizione di partenza per la costruzione
non più del monumento del passato, ma di un documento presente.
Nel lavoro di Pedretti è recuperabile un ricordo di matrice informale, che
nel tempo si è svuotato di significati e di valori, trovando nella
frequentazione della materia' e dei colori... pulsioni magiche e ludiche'.
Per Marco Meneguzzo, invece, con queste opere l'artista si pone sul confine
oltre il quale la pittura invade altri territori: 'E' indubbio che la
pittura di Pedretti sia pittura di paesaggio - e quanto egli debba a certo
naturalismo lombardo non viene certo nascosto-; il fatto oggi sorprendente è
piuttosto che questo paesaggio vuol essere paesaggio di natura e non, ancora
una volta, paesaggio d'arte. Non è dunque la sua operazione 'manieristica'
per quanto oggi si possa sfuggire al manierismo -che mutua la propria ragion
d'essere soltanto dall'arte. Posizione rischiosa da sostenere, ma audace e,
paradossalmente, nuova: come se una positiva fiducia in se stessi e nei
mezzi della pittura potesse aver la forza eversiva di ribaltare tendenze e
direzioni, che mostrano sì qualche sintomo di stanchezza, ma che tuttora
sembrano senza alternativa. Non l'attraversamento delle immagini e della
storia dell'arte, non l'analisi e il tormento degli strumenti ultimi della
pittura, ma un referente antico e nuovo al contempo, un tentativo di
rivitalizzare e di riannodare i fili forse non totalmente recisi con certa
tradizione, specialmente d'impianto romantico. Le trasparenze che Pedretti
raggiunge attraverso ripetute colate di resina e di pittura sono trasparenze
che possono ricordare persino i cieli tiepoleschi, ma anche un cielo
lombardo 'così bello quando è bello'. Un'altro naturalismo? La questione è
vecchia come la pittura...' (presentazione al catalogo della mostra
personale al Luogo di Gauss, Milano, 1983).
Ed in effetti la questione del naturalismo in Pedretti è centrale come
dimostrano i suoi esiti ulteriori.
Difatti, abbandonate, a partire dalla metà degli anni '80, le velleità delle
avanguardie contemporanee, ritorna in una certa misura a quel senso della
natura delle origini, a liriche evocazioni paesistiche, memori però della
gestualità informale e soprattutto della lezione di tre grandi maestri del
genere:
Constable, Segantini e Morlotti. Dei primi due ritroviamo nelle immagini di
Pedretti il sapiente uso delle scansioni cromatiche e la grande capacità di
strutturare l'insieme per giochi chiaroscurali; del terzo, appare evidente
il rapporto -diremmo- terragno con la materia, la quale sempre tende più a
solidificarsi e ad acquistare spessore. Indubbiamente queste sono solo
referenze culturali, le solide basi su cui poggiano le costruzioni
pittoriche di Pedretti il quale si affida a sensazioni visive, ma
soprattutto ricrea in studio sul filo della memoria visioni che già sono
depositate nel suo immaginario fin dall'infanzia, che affiorano e si
accumulano ad ogni esperienza. E, se dapprima rendeva delle ampie
panoramiche dei paesaggi lacustri, delle erbe di palude e dei canneti, ora
pare immergervisi, in un rito quasi di sapore simbolico, per evidenziare un
dettaglio, per isolare un particolare, per mettere a fuoco uno stelo o un
fiore o un intero cespuglio.
12
ottobre 2006
Antonio Pedretti – Il Naturalismo esistenziale
Dal 12 ottobre all'undici novembre 2006
arte contemporanea
Location
SHOW ROOM TELEMARKET
Brescia, Piazza Della Loggia, 11, (Brescia)
Brescia, Piazza Della Loggia, 11, (Brescia)
Orario di apertura
MARTEDI'- MERCOLEDI'- VENERDI'- SABATO 10.00 - 13.00 / 15.30 - 19.30
GIOVEDI' 10.00 - 22.30
DOMENICA E LUNEDI' CHIUSO
Vernissage
12 Ottobre 2006, ore 18
Autore