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Paola Volpato – Omaggio ad Emily D.
personale
Comunicato stampa
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La "filosofia" di Paola Volpato.
Le virgolette forse era meglio non metterle, perché qualcuno può anche
pensare che ho usato la parola "filosofia" in senso traslato, in senso
metaforico, per indicare qualcosa che può magari assomigliare alla
filosofia, ma non è filosofia vera e propria.
E invece no. Il contenuto della pittura di Paola Volpato si può considerare
filosofico a pieno titolo. Del resto una caratteristica dell'arte
contemporanea dovrebbe essere (non sempre lo è) proprio questo: un contenuto
di pensiero che mette in moto dei processi emozionali che a loro volta
inducono e producono un certo tipo di manifestazione pittorica. E' il caso
della pittura di Paola Volpato, donna intelligente e colta, che alla
produzione pittorica unisce una produzione poetica di tutto rispetto. E che
del contenuto sapienziale della sua pittura lei abbia piena consapevolezza è
dimostrato dalle parole poste in epigrafe a questo libro, una frase di Mimmo
Paladino: "L'arte non è cosa di superficie" e tre versi suoi, di Paola
Volpato: "Distaccato ed elegante, sublime caos / E la parola che nomina e
ordina / E il segno che entra lentamente".
La frase di Paladino ha un fondamentale significato gnoseologico: non è più
il significante quello che conta; ci siamo baloccati abbastanza con le forme
belle; la superficie dell'opera, quello che si mostra agli occhi del
visitatore frettoloso, può tutt'al più servire a rendere più persuasivo ed
accettabile il messaggio; a divulgarlo, cioè a renderlo noto al volgo. E
basta. E quindi noi che leggiamo l'opera, dobbiamo trapanare l'opera, vedere
che cosa c'è al suo interno, insomma cercare il che cosa e non il come,
nella consapevolezza che nell'opera di Paola Volpato questo contenuto c'è. E
i tre versi tra i suoi moltissimi, che lei ha scelto a rappresentare se
stessa descrivono proprio questo contenuto, il suo aspetto primario.
Guardiamo i suoi quadri e confrontiamoli con questa sintesi della sua
poetica: c'è un aspetto comune nei suoi quadri, la varietà dei punti di
vista prospettici e talvolta (abbastanza spesso) la frammentarietà dei temi:
molte volte il quadro si suddivide in formelle; e quasi sempre gli argomenti
sono disparati, sghembi, inconciliabili. Prendiamo un altro testo pittorico:
non a caso, ma lo scegliamo col criterio della rappresentatività: 1,2,3 .
canto con te: è un quadro di quelli fatti a formelle e le formelle alternano
reminiscenze diverse, un'eco rinascimentale, la riproduzione di un
altorilievo (tre putti canori), un sacco alla Burri, momenti informali, un
accenno alla transavanguardia. Ma perché dividere il quadro in tanti
sottomultipli? Appunto per questo. Si tratta di una pittura che ha un sacco
di cose da dire; alcune le dice il narratore, che le organizza e le dispone
sulla tela, altre affiorano dalla coscienza implicita del quadro, e si
affidano alla collaborazione colta dell'osservatore. E qui, in questo
quadro, la sensazione preminente che nasce dalla frammentazione è quella del
Dasein heideggeriano, lo sradicamento reciproco dei pensieri e delle cose.
Mentre altrove (per es. I.O. non vedo non sento non parlo) è piuttosto un
orizzonte jaspersiano, che si sposta con l'autore e lascia l'assoluto
nascosto dietro di sé, una specie di siepe leopardiana mobile. Prendiamo un
altro testo pittorico: non a caso, ma lo scegliamo col criterio della
rappresentatività: 1,2,3 . canto con te: è un quadro di quelli fatti a
formelle e le formelle alternano reminiscenze diverse, un'eco
rinascimentale, un sacco alla Burri, momenti informali, un accenno alla
transavanguardia. Ma perché dividere il quadro in tanti sottomultipli?
Appunto per questo. Si tratta di una pittura che ha un sacco di cose da
dire; alcune le dice il narratore, che le organizza e le dispone sulla tela,
altre affiorano dalla coscienza implicita del quadro, e si affidano alla
collaborazione colta dell'osservatore. E qui, in questo quadro, la
sensazione preminente che nasce dalla frammentazione è quella del Dasein
heideggeriano, mentre altrove (per es. I.O. non vedo non sento non parlo) è
piuttosto un orizzonte jaspersiano, che si sposta con l'autore e lascia l'
assoluto nascosto dietro di sé, una specie di siepe leopardiana mobile. C'è
una presa diretta tra la suggestione emotiva prodotta dal pensiero riflesso
(la filosofia insomma) e la raffigurazione pittorica, per cui il pensiero
nitido si rapprende in una sorta di impetuoso grumo affettivo che deforma l'
argomento e lo spalma sulla raffigurazione. La sintesi è estremamente
efficace, con una sorta di aristocratico ritegno.
Vien da dire con la Dickinson Gentility is fine, e dalla Paola Volpato c'è
sempre Gentility.
BRUNO ROSADA
Le virgolette forse era meglio non metterle, perché qualcuno può anche
pensare che ho usato la parola "filosofia" in senso traslato, in senso
metaforico, per indicare qualcosa che può magari assomigliare alla
filosofia, ma non è filosofia vera e propria.
E invece no. Il contenuto della pittura di Paola Volpato si può considerare
filosofico a pieno titolo. Del resto una caratteristica dell'arte
contemporanea dovrebbe essere (non sempre lo è) proprio questo: un contenuto
di pensiero che mette in moto dei processi emozionali che a loro volta
inducono e producono un certo tipo di manifestazione pittorica. E' il caso
della pittura di Paola Volpato, donna intelligente e colta, che alla
produzione pittorica unisce una produzione poetica di tutto rispetto. E che
del contenuto sapienziale della sua pittura lei abbia piena consapevolezza è
dimostrato dalle parole poste in epigrafe a questo libro, una frase di Mimmo
Paladino: "L'arte non è cosa di superficie" e tre versi suoi, di Paola
Volpato: "Distaccato ed elegante, sublime caos / E la parola che nomina e
ordina / E il segno che entra lentamente".
La frase di Paladino ha un fondamentale significato gnoseologico: non è più
il significante quello che conta; ci siamo baloccati abbastanza con le forme
belle; la superficie dell'opera, quello che si mostra agli occhi del
visitatore frettoloso, può tutt'al più servire a rendere più persuasivo ed
accettabile il messaggio; a divulgarlo, cioè a renderlo noto al volgo. E
basta. E quindi noi che leggiamo l'opera, dobbiamo trapanare l'opera, vedere
che cosa c'è al suo interno, insomma cercare il che cosa e non il come,
nella consapevolezza che nell'opera di Paola Volpato questo contenuto c'è. E
i tre versi tra i suoi moltissimi, che lei ha scelto a rappresentare se
stessa descrivono proprio questo contenuto, il suo aspetto primario.
Guardiamo i suoi quadri e confrontiamoli con questa sintesi della sua
poetica: c'è un aspetto comune nei suoi quadri, la varietà dei punti di
vista prospettici e talvolta (abbastanza spesso) la frammentarietà dei temi:
molte volte il quadro si suddivide in formelle; e quasi sempre gli argomenti
sono disparati, sghembi, inconciliabili. Prendiamo un altro testo pittorico:
non a caso, ma lo scegliamo col criterio della rappresentatività: 1,2,3 .
canto con te: è un quadro di quelli fatti a formelle e le formelle alternano
reminiscenze diverse, un'eco rinascimentale, la riproduzione di un
altorilievo (tre putti canori), un sacco alla Burri, momenti informali, un
accenno alla transavanguardia. Ma perché dividere il quadro in tanti
sottomultipli? Appunto per questo. Si tratta di una pittura che ha un sacco
di cose da dire; alcune le dice il narratore, che le organizza e le dispone
sulla tela, altre affiorano dalla coscienza implicita del quadro, e si
affidano alla collaborazione colta dell'osservatore. E qui, in questo
quadro, la sensazione preminente che nasce dalla frammentazione è quella del
Dasein heideggeriano, lo sradicamento reciproco dei pensieri e delle cose.
Mentre altrove (per es. I.O. non vedo non sento non parlo) è piuttosto un
orizzonte jaspersiano, che si sposta con l'autore e lascia l'assoluto
nascosto dietro di sé, una specie di siepe leopardiana mobile. Prendiamo un
altro testo pittorico: non a caso, ma lo scegliamo col criterio della
rappresentatività: 1,2,3 . canto con te: è un quadro di quelli fatti a
formelle e le formelle alternano reminiscenze diverse, un'eco
rinascimentale, un sacco alla Burri, momenti informali, un accenno alla
transavanguardia. Ma perché dividere il quadro in tanti sottomultipli?
Appunto per questo. Si tratta di una pittura che ha un sacco di cose da
dire; alcune le dice il narratore, che le organizza e le dispone sulla tela,
altre affiorano dalla coscienza implicita del quadro, e si affidano alla
collaborazione colta dell'osservatore. E qui, in questo quadro, la
sensazione preminente che nasce dalla frammentazione è quella del Dasein
heideggeriano, mentre altrove (per es. I.O. non vedo non sento non parlo) è
piuttosto un orizzonte jaspersiano, che si sposta con l'autore e lascia l'
assoluto nascosto dietro di sé, una specie di siepe leopardiana mobile. C'è
una presa diretta tra la suggestione emotiva prodotta dal pensiero riflesso
(la filosofia insomma) e la raffigurazione pittorica, per cui il pensiero
nitido si rapprende in una sorta di impetuoso grumo affettivo che deforma l'
argomento e lo spalma sulla raffigurazione. La sintesi è estremamente
efficace, con una sorta di aristocratico ritegno.
Vien da dire con la Dickinson Gentility is fine, e dalla Paola Volpato c'è
sempre Gentility.
BRUNO ROSADA
04
settembre 2006
Paola Volpato – Omaggio ad Emily D.
Dal 04 al 20 settembre 2006
arte contemporanea
Location
RISTORANTE AI PIRATI
Venezia, Punta San Giuliano, (VENEZIA)
Venezia, Punta San Giuliano, (VENEZIA)
Orario di apertura
tutti i giorni
Vernissage
4 Settembre 2006, ore 17
Autore