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Una vita per l’Africa
In occasione del 50° anniversario del patto di gemellaggio esclusivo fra Roma e Parigi, la città di Roma organizza una manifestazione per commemorare la vita del grande esploratore d’Africa, Pietro Savorgnan di Brazzà (Roma 1852 – Dakar 1905)
Comunicato stampa
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In occasione del 50° anniversario del patto di gemellaggio esclusivo fra Roma e Parigi, la città di Roma organizza una manifestazione per commemorare la vita del grande esploratore d’Africa, Pietro Savorgnan di Brazzà (Roma 1852 – Dakar 1905). Italiano di nascita e francese di adozione, questo grande umanista ci ha lasciato un messaggio universale di giustizia e di pace, eredità testimoniata ancora oggi dal nome della capitale della Repubblica del Congo, Brazzaville.
Le iniziative che si svolgono a Roma, nell’ambito di Italia-Africa, comprendono una mostra presso l’Auditorium Parco della Musica e una conferenza internazionale al Campidoglio il 29 settembre 2006.
Il filo conduttore della mostra, che ha come sponsor Louis Vuitton e apre il 10 settembre, è il messaggio, tramandato da Brazzà, di non violenza, ma anche di dialogo come ponte fra culture. Nel mondo di oggi, così segmentato, un tale messaggio assume vivissima urgenza.
Nel panorama della storia coloniale dell’Africa centrale del XIX secolo, questo esploratore si è imposto come figura visionaria che respingeva il razzismo della sua epoca, avvolgendo in un abbraccio ideale le popolazioni africane, con rispetto ed equanimità. La sua filosofia è in netto contrasto con l’aggressiva avidità che le potenze occidentali hanno imposto al Congo e ad altri paesi africani per oltre un secolo.
Volgendo le spalle ad una tale politica di sfruttamento, Brazzà, intesseva con pazienza rapporti durevoli, riuscendo a concludere dei trattati basati sulla fiducia e sul rispetto reciproci, giungendo perfino a liberare gli schiavi dal loro giogo. Il trattato sottoscritto nel 1880 con Makoko Iloo I, guida spirituale dell’antico regno bateké – la cui influenza si estendeva su un territorio pari a 725.000 chilometri quadrati - contribuì a consolidare un legame leggendario, tramandato fino ai nostri giorni dal presente sovrano Makoko Auguste Nguempio e la comunità teké che rappresenta almeno il 50% dei tre milioni di abitanti della Repubblica del Congo.
Brazzà offrì agli africani un futuro basato sull’istruzione, un modello che era destinato a consentire scambi equi e di reciproco vantaggio con l’Europa. Proprio con questo patrimonio di fiducia, egli rientrò a Parigi, dove consegnò al Parlamento un impero, ottenuto pacificamente, che equivaleva a tre volte la superficie della Francia.
A Parigi patrocinò con passione la causa africana, sostenendo pubblicamente l’irrinunciabile esigenza di assicurarle un trattamento giusto, e propose progetti concreti di collaborazione fra le due civiltà. Lavorò senza tregua per proteggere il Congo francese dalle concessioni internazionali, allo scopo di difenderlo dagli orrori perpetrati dal suo rivale, l’inglese Morton Stanley. Al servizio del re Leopoldo II del Belgio, Stanley aveva conquistato la riva meridionale del fiume Congo.
Nominato governatore generale del Congo francese e del Gabon nel 1886, Brazzà trascorse i dodici anni successivi a creare su tutto il territorio, scuole, cliniche e centri di formazione professionale. Ovunque, spinse i commercianti europei a retribuire i lavoratori indigeni in modo equo.
Il suo rifiuto alla pratica di metodi violenti, auspicati dal re Leopoldo per l’estrazione del caucciù – cioè la schiavitù, gli omicidi e la tortura – contribuì ad alienargli le simpatie dei potentati finanziari nonché dei politici corrotti. Contro di lui fu perfino orchestrata una campagna mediatica. Nel 1898, senza alcun preavviso, seppe, tramite la stampa, di essere stato rimosso dal suo incarico.
Brazzà proveniva da una famiglia agiata, ma pochi sanno che egli finanziò in parte con i suoi mezzi le proprie spedizioni. Quando il suo mandato fu revocato, tutto il suo patrimonio personale, equivalente a 6 milioni dei nostri euro, era stato inghiottito dal Congo.
Brazzà si ritirò allora a vita privata, vivendo di una piccola pensione ad Algeri, dove si dedicò alla famiglia. Nel frattempo, la situazione nel Congo si deteriorava con rapidità: gli abusi e la violenza erano diventati la triste realtà di una regione un tempo pacifica, rispecchiando la tragedia in territorio belga, al di là del fiume.
Nel 1905, a seguito di un terribile scandalo, il governo francese fu obbligato ad aprire un’inchiesta sulle brutalità coloniali. L’incarico di svolgerla fu affidato al solo uomo che possedeva la statura morale per farlo: Savorgnan di Brazzà. La moglie, Thérèse de Chambrun, insistette per accompagnarlo. Partirono insieme, lasciando i tre figli piccoli presso la nonna paterna a Roma. La missione in Congo e Gabon durò quattro mesi, durante i quali Brazzà, nonostante la fortissima opposizione dei coloni, registrò inenarrabili tragedie in un libretto destinato ad essere presentato in Parlamento come prova della corruzione, sofferenze e schiavitù che aveva constatato.
Ma via via che la missione procedeva, la salute di Brazzà si deteriorò inaspettatamente. Morì a Dakar, sulla via di ritorno in Francia. A Parigi fu onorato con i funerali di stato, ma non venne tuttavia sepolto al Pantheon, dove era stata predisposta la sepoltura, riservata agli eroi nazionali: su insistenza della moglie, due anni dopo le sue spoglie furono portate ad Algeri.
Nel febbraio 1906 l’Assemblea Nazionale francese stabilì di non pubblicare il rapporto di Brazzà, ritenendolo troppo imbarazzante e rischioso per la sicurezza pubblica. Al popolo francese non fu mai rivelata la verità. Ancora oggi, il suo contenuto resta un mistero.
Una cosa è certa: Pietro Savorgnan di Brazzà ha dato la vita per l’Africa. Fino all’ultimo respiro rimase fedele al suo convincimento visionario, concepito agli inizi del colonialismo che, solo tramite una cooperazione sociale ed economica, basata sul rispetto della diversità biologica e culturale - al contrario dall’odierna ‘‘globalizzazione’’ - gli africani ed i loro partners internazionali avrebbero potuto sperare di costruire uno sviluppo equo e durevole per l’Africa.
Le iniziative che si svolgono a Roma, nell’ambito di Italia-Africa, comprendono una mostra presso l’Auditorium Parco della Musica e una conferenza internazionale al Campidoglio il 29 settembre 2006.
Il filo conduttore della mostra, che ha come sponsor Louis Vuitton e apre il 10 settembre, è il messaggio, tramandato da Brazzà, di non violenza, ma anche di dialogo come ponte fra culture. Nel mondo di oggi, così segmentato, un tale messaggio assume vivissima urgenza.
Nel panorama della storia coloniale dell’Africa centrale del XIX secolo, questo esploratore si è imposto come figura visionaria che respingeva il razzismo della sua epoca, avvolgendo in un abbraccio ideale le popolazioni africane, con rispetto ed equanimità. La sua filosofia è in netto contrasto con l’aggressiva avidità che le potenze occidentali hanno imposto al Congo e ad altri paesi africani per oltre un secolo.
Volgendo le spalle ad una tale politica di sfruttamento, Brazzà, intesseva con pazienza rapporti durevoli, riuscendo a concludere dei trattati basati sulla fiducia e sul rispetto reciproci, giungendo perfino a liberare gli schiavi dal loro giogo. Il trattato sottoscritto nel 1880 con Makoko Iloo I, guida spirituale dell’antico regno bateké – la cui influenza si estendeva su un territorio pari a 725.000 chilometri quadrati - contribuì a consolidare un legame leggendario, tramandato fino ai nostri giorni dal presente sovrano Makoko Auguste Nguempio e la comunità teké che rappresenta almeno il 50% dei tre milioni di abitanti della Repubblica del Congo.
Brazzà offrì agli africani un futuro basato sull’istruzione, un modello che era destinato a consentire scambi equi e di reciproco vantaggio con l’Europa. Proprio con questo patrimonio di fiducia, egli rientrò a Parigi, dove consegnò al Parlamento un impero, ottenuto pacificamente, che equivaleva a tre volte la superficie della Francia.
A Parigi patrocinò con passione la causa africana, sostenendo pubblicamente l’irrinunciabile esigenza di assicurarle un trattamento giusto, e propose progetti concreti di collaborazione fra le due civiltà. Lavorò senza tregua per proteggere il Congo francese dalle concessioni internazionali, allo scopo di difenderlo dagli orrori perpetrati dal suo rivale, l’inglese Morton Stanley. Al servizio del re Leopoldo II del Belgio, Stanley aveva conquistato la riva meridionale del fiume Congo.
Nominato governatore generale del Congo francese e del Gabon nel 1886, Brazzà trascorse i dodici anni successivi a creare su tutto il territorio, scuole, cliniche e centri di formazione professionale. Ovunque, spinse i commercianti europei a retribuire i lavoratori indigeni in modo equo.
Il suo rifiuto alla pratica di metodi violenti, auspicati dal re Leopoldo per l’estrazione del caucciù – cioè la schiavitù, gli omicidi e la tortura – contribuì ad alienargli le simpatie dei potentati finanziari nonché dei politici corrotti. Contro di lui fu perfino orchestrata una campagna mediatica. Nel 1898, senza alcun preavviso, seppe, tramite la stampa, di essere stato rimosso dal suo incarico.
Brazzà proveniva da una famiglia agiata, ma pochi sanno che egli finanziò in parte con i suoi mezzi le proprie spedizioni. Quando il suo mandato fu revocato, tutto il suo patrimonio personale, equivalente a 6 milioni dei nostri euro, era stato inghiottito dal Congo.
Brazzà si ritirò allora a vita privata, vivendo di una piccola pensione ad Algeri, dove si dedicò alla famiglia. Nel frattempo, la situazione nel Congo si deteriorava con rapidità: gli abusi e la violenza erano diventati la triste realtà di una regione un tempo pacifica, rispecchiando la tragedia in territorio belga, al di là del fiume.
Nel 1905, a seguito di un terribile scandalo, il governo francese fu obbligato ad aprire un’inchiesta sulle brutalità coloniali. L’incarico di svolgerla fu affidato al solo uomo che possedeva la statura morale per farlo: Savorgnan di Brazzà. La moglie, Thérèse de Chambrun, insistette per accompagnarlo. Partirono insieme, lasciando i tre figli piccoli presso la nonna paterna a Roma. La missione in Congo e Gabon durò quattro mesi, durante i quali Brazzà, nonostante la fortissima opposizione dei coloni, registrò inenarrabili tragedie in un libretto destinato ad essere presentato in Parlamento come prova della corruzione, sofferenze e schiavitù che aveva constatato.
Ma via via che la missione procedeva, la salute di Brazzà si deteriorò inaspettatamente. Morì a Dakar, sulla via di ritorno in Francia. A Parigi fu onorato con i funerali di stato, ma non venne tuttavia sepolto al Pantheon, dove era stata predisposta la sepoltura, riservata agli eroi nazionali: su insistenza della moglie, due anni dopo le sue spoglie furono portate ad Algeri.
Nel febbraio 1906 l’Assemblea Nazionale francese stabilì di non pubblicare il rapporto di Brazzà, ritenendolo troppo imbarazzante e rischioso per la sicurezza pubblica. Al popolo francese non fu mai rivelata la verità. Ancora oggi, il suo contenuto resta un mistero.
Una cosa è certa: Pietro Savorgnan di Brazzà ha dato la vita per l’Africa. Fino all’ultimo respiro rimase fedele al suo convincimento visionario, concepito agli inizi del colonialismo che, solo tramite una cooperazione sociale ed economica, basata sul rispetto della diversità biologica e culturale - al contrario dall’odierna ‘‘globalizzazione’’ - gli africani ed i loro partners internazionali avrebbero potuto sperare di costruire uno sviluppo equo e durevole per l’Africa.
10
settembre 2006
Una vita per l’Africa
Dal 10 settembre al 04 ottobre 2006
Location
AUDITORIUM – PARCO DELLA MUSICA
Roma, Viale Pietro De Coubertin, 34, (Roma)
Roma, Viale Pietro De Coubertin, 34, (Roma)
Orario di apertura
tutti i giorni dalle 11 alle 20
Vernissage
10 Settembre 2006, ore 19
Curatore