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28
marzo 2013
Speciale Biennale/Gli artisti del Padiglione Italia
Personaggi
Paola Ugolini incontra Marco Tirelli
Con questa intervista, iniziamo un focus sul Padiglione Italia che vedremo alla prossima Biennale di Venezia. Si tratta di incontri tra artisti e critici (o curatori) che si conoscono da tempo. Come vedrete, a volte gli artisti sono sintetici, altre volte raccontano volentieri del proprio lavoro
Con questa intervista, iniziamo un focus sul Padiglione Italia che vedremo alla prossima Biennale di Venezia. Si tratta di incontri tra artisti e critici (o curatori) che si conoscono da tempo. Come vedrete, a volte gli artisti sono sintetici, altre volte raccontano volentieri del proprio lavoro
Questa è la tua terza Biennale di Venezia, la prima è stata nel 1982 quando Tommaso Trini ti ha invitato ad Aperto ’80, e la seconda nel 1990 invitato da Giovanni Carandente, Laura Cherubini, Flaminio Gualdoni. L’emozione è sempre la stessa?
«Sempre più forte, perché il volo è sempre più alto».
Quando sei stato contattato da Bartolomeo Pietromarchi?
«Forse più di venti anni fa, quando ci siamo conosciuti».
Ti aspettavi l’invito a partecipare?
«Le cose avvengono quando devono avvenire».
In quest’occasione, al fine di reperire i fondi per realizzare al meglio la mostra del Padiglione Italia il direttore ha lanciato il progetto del crowdfunding. Chiunque attraverso il web può partecipare economicamente al sostegno dell’iniziativa, cosa ne pensi?
«Tutto il bene possibile. Se il denaro serve ad alimentare nuove visioni, benvenuto».
Il tema dell’arte come illusione, che è una delle cifre stilistiche distintive del tuo lavoro pittorico, è il comune denominatore scelto da Pietromarchi per far dialogare il tuo lavoro a quello di Giulio Paolini, sei soddisfatto di questo confronto?
«Ho sempre pensato che noi del mondo vediamo solo ciò che la luce ci restituisce e nient’altro. La frontalità dei nostri lavori mi fa pensare a due grandi specchi
contrapposti che si trasmettono luce. Attraversandosi ed espandendosi l’uno nell’altro».
Hai concordato il tuo progetto espositivo con Giulio Paolini, o state lavorando autonomamente?
«Gli artisti sono delle piazze attraversate, abitate o abbandonate dagli altri artisti».
La mostra ideata da Pietromarchi si intitola “Vice-Versa” ed è una sorta di viaggio ideale nell’arte italiana di oggi e di ieri, con una diversa lettura dell’arte recente non più vista come una contrapposizione fra movimenti e generazioni ma come una mappa, un ventaglio, di storie, di temi e di attitudini che intersecandosi possano innescare un dialogo fra i maestri e i giovani artisti. Cosa ne pensi del progetto?
«Appunto, come dicevo, siamo dei luoghi di incontro, delle piazze, degli echi, degli specchi».
Quando sei stato invitato il progetto ti è stato esposto nel suo complesso con gli abbinamenti fra gli artisti già decisi oppure voi artisti siete stati coinvolti nelle scelte?
«In questa mostra saranno visibili quindici opere, di cui quattordici fatte dagli artisti e una che è la mostra stessa. Le riflessioni che le opere creeranno tra di loro metteranno in forma un’altra opera».
Quando hai saputo i nomi degli altri artisti invitati?
«Come tutti».
Ha ancora senso secondo te che la Biennale sia strutturata per padiglioni nazionali?
«Questo è un problema che riguarda l’ ”Istituzione” Biennale di Venezia, dunque l’orgoglio e la dignità di questo Paese, se ancora vuole rappresentarsi davanti al mondo. Ma questi non sono territori dell’arte, quanto del suo ruolo sociale».
Puoi anticiparci qualcosa del tuo progetto espositivo?
«No».