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20
marzo 2013
Chi ha paura della cultura?
lavagna
Chi ha paura della cultura?
di Francesca Pasini
Il licenziamento di Stefano Boeri riattualizza un male antico di Milano. Ma soprattutto rivela come la politica voglia fare della cultura uno strumento di consenso
di Francesca Pasini
Il licenziamento di Stefano Boeri riattualizza un male antico di Milano. Ma soprattutto rivela come la politica voglia fare della cultura uno strumento di consenso
A Milano il dialogo tra Assessore alla cultura e Sindaco non ha vita facile: una storia che si ripete e che in questo caso sorprende veramente. Boeri ha le potenzialità per avviare quella sinergia internazionale che non si può più procrastinare e quindi era la personalità che Milano attendeva da tempo. Diversa era la situazione che aveva visto lo scontro tra la Moratti e Sgarbi, dove c’era stata una lotta esplicita tra i due. Ma è comunque un precedente negativo.
Pisapia aveva preferito per Boeri la carica di assessore alla cultura invece che una delega piena all’Expo a cui Boeri teneva per portare avanti la modifica al progetto che già aveva proposto durante l’era Moratti. Questo è, secondo molti, uno dei motivi per cui la sintonia iniziale ha avuto una battuta d’arresto. Ma dopo la discussione di alcuni mesi fa, la situazione si era appianata e tutto faceva prevedere che il mandato di Boeri potesse proseguire e portare avanti i progetti messi in campo.
Il potenziamento dei teatri di quartiere, il progetto “Piano city”, che ha visto decine di pianisti esibirsi in città sotto la selezione di Lodovico Einaudi, “Book city”che ha dato voce all’editoria grande e piccola con letture in vari punti della città, e nelle biblioteche. L’avvio dell’ Officina Creativa Ansaldo (OCA), le mostre che hanno avuto grande successo, come quella di Picasso ma anche di Bramantino. Il Pac, dopo la grande mostra di Alberto Garutti, ha inaugurato ieri, ironia della sorte, una bella mostra di Jeff Wall a cura di Francesco Bonami. Wall, uno dei grandi artisti del mondo ha collaborato attivamente, prestando quasi tutte le opere. Cosa che indica la credibilità dell’istituzione con la quale un artista è invitato a collaborare. Merito della gestione Boeri che fin dall’inizio ha deciso di creare un dialogo reale con la situazione internazionale in modo che Milano possa guadagnare una credibilità internazionale, necessaria anche per promuovere gli artisti italiani. Al di là di possibili giudizi critici, la qualità di un assessore sta nella sua volontà di promuovere le ricerche sia rispetto al contemporaneo che alla grandiosa storia dell’arte italiana, come è previsto con la mostra su Bernardino Luini.
Insomma, tutto giocava a favore di questa sinergia. Allora perchè a Milano si ripropone il conflitto tra sindaco e assessore alla cultura? È forse una difficoltà nazionale? Molti sono gli esempi anche altrove, a cominciare dal MAXXI di Roma, ma a Milano si è salutato un cambiamento che consente di spingerci oltre le dinamiche di spartizione di cariche. Quindi questa rottura, proprio perchè avviene nella città che ha compiuto una svolta decisiva, assume un valore preoccupante.
La mia opinione e che ci sia un problema a monte: manca da parte della politica e della cultura pubblica un progetto di messa in sicurezza del territorio per farsi carico del più alto patrimonio artistico del mondo e del paesaggio più bello del mondo. Pompei crolla e non sembra un dramma nazionale, Salvatore Settis ce lo ricorda in ogni suo intervento, eppure le sue parole non provocano lo choc che ci si immaginerebbe. Dietro la sospensione delle deleghe all’assessore alla cultura di Milano, Stefano Boeri, credo ci sia la mancanza di un progetto del genere, che peraltro sarebbe l’unico in grado di rilanciare un’economia effettiva. In un Paese come l’Italia non si può prescindere dal patrimonio culturale e ambientale e dagli stimoli di pensiero e di ricerca contemporanea se vogliamo restare in Europa in modo autonomo. Ad ogni temporale il territorio frana ovunque, alcuni dei nostri musei non hanno risorse sufficienti per tenere aperte tutte le sale, mancano i soldi per una guardiania completa. Eppure L’Italia è importante nel mondo per questo e non solo per la qualità delle sue industrie.
Allora come è possibile che nella città più europea d’Italia si consumi una rottura tra sindaco e assessore alla cultura di questo tipo?
Pisapia non ha dato motivazioni chiare rispetto alla sua decisione, tranne dichiarare che non ci sono motivi personali, ma non sono stati enunciati motivi professionali specifici. Boeri nella conferenza stampa addebita l’origine dello scontro a motivi politici legati al suo partito, il Pd. È stato molto duro riguardo a questo, sia nella conferenza stampa al cinema Apollo che nella sua intervista su la Repubblica di ieri. Ha tuttavia ribadito che la sua battaglia continuerà dentro il Pd. In realtà non si capisce cosa sia realmente successo.
Alla conferenza stampa sono intervenuti vari consiglieri della giunta milanese da Anita Sonego ad alcuni del Pd, Monguzzi, Barberis, Bocci, che hanno dichiarato di non essere stati avvertiti delle decisioni che si andavano prefigurando e hanno tutti sottoscritto il loro sostegno a Boeri. Una bella distanza rispetto al desiderio di trasparenza dell”inizio che aveva mostrato in diretta in uno schermo in piazza le riunioni della giunta.
Insomma, in questo momento di grande discussione nazionale su come rinnovare i partiti, da Milano emerge la difficoltà a metterlo concretamente in pratica. Vedremo se questa crisi conclamata, attorno all’assessore Boeri, può essere uno choc che determina un cambiamento o se si rinchiuderà nel perimetro della città più importante d’Italia. Sembra che ci sia da un lato una paura rispetto alla cultura e dall’altro la preoccupazione che possa differenziarsi dal consenso, privilegiando invenzioni non in linea con programmi e partiti.
Penso però che attorno alla liquidazione di Boeri emerga soprattutto l’assenza di un aggiornamento dei rapporti professionali. Da anni ci si dice che bisogna essere più flessibili, per diventare capaci di avviare collaborazioni specifiche in grado di delineare carriere professionali specialistiche, anche se non ancorate a a incarichi fissi, permanenti. Ma soprattutto nella cultura, che ha subito forti tagli, questo spesso si risolve in una aleatorietà che non consente una progressione di competenze. Quando un incarico finisce, si ricomincia da capo, e in genere dipende dalle rigidità delle burocrazie amministrative e dei partiti, più che dall’effettiva capacità che ognuno si è creato e ha messo a disposizione. Ma, se con una dose di fatalismo, questa evanescenza è stata accettata dall’esercito di intellettuali indipendenti che di volta in volta partecipano alla cosa pubblica, fa effetto vederla applicata non a un tecnico prestato alla politica, ma a un assessore eletto con 13mila preferenze, come ha ricordato Boeri. Il fulmine che ha fatto tuonare il cielo di Milano è proprio questo.
Boeri in conferenza stampa ha detto che «se ci sono buone idee, c’è buona politica», e ha descritto il suo concetto di partecipazione che non può basarsi solo sul consenso, ma sulla capacità di «condividere le scelte delle giunte e delle amministrazioni». Qui sta il nodo da sciogliere o da tagliare, se si vuole realmente rinnovare la politica e la cultura.
La democrazia rappresentativa, dice il politologo Giorgio Galli, «deve affrontare il grande problema della sostituzione del potere decisionale che dalla politica è passato a 500 multinazionali che determinano il destino degli stati e delle economie» .La cultura può intervenire per promuovere un diverso rapporto di decisione nella gestione delle città e dei programmi del Paese? Questa è la domanda cruciale alla quale è necessario rispondere, anche se non sono ancora visibili proposte precise. Il clima collettivo è cambiato e chiede uno sforzo di idee e di realizzazione. Gli intellettuali ribelli, che, in accordo con i movimenti politici degli anni ’60 e ‘70, hanno contribuito a grandi conquiste sociali – il divorzio, l’aborto, lo statuto dei lavoratori – oggi non ci sono più e quelli rimasti sono poco influenti. La passività è aumentata, e il modello del lavoratore indipendente che contratta personalmente la sua professionalità è diventato quasi normale.
Ma la cultura ha sempre avuto il compito di segnalare la contraddizione, la crisi, la rigidità della morale. I grandi movimenti delle avanguardie artistiche dell’inizio del secolo scorso ci hanno raccontato questo. Pasolini, oggi spesso santificato, dalle pagine del Corriere della Sera con i suoi Scritti Corsari ci aveva avvertito di molte contraddizioni della società italiana, ivi compreso il rischio della supremazia televisiva sul rapporto di pensiero creatore e politico. Lo aveva visto con grande anticipo. Oggi lo viviamo.
Se la cultura può intervenire per promuovere un diverso rapporto nella gestione delle città e del paese?Bisogna vedere come si intende la cultura.Se è intesa come divertimento sovrastrutturale per i cittadino allora no,perché sarà sempre serva del potere.Se invece la si intende come strutturale rispetto alla formazione delle coscienze,pensiero critico sulla realtà e sua manifestazione,strumento di verità,allora si.Sarebbe ben ora che gli intellettuali,gli artisti,prendessero posizione a favore del popolo e per le sua presa di coscienza.Non è con il”tutti a casa”che si risolvono le cose ma rendendo chiara la complessità della realtà,da parte di chi ha i mezzi per poterla meglio comprendere,a chi ne ha meno.Oggi anche gli intellettuali e gli artisti sono obbligati ad una scelta di campo:per la verità,contro l’anestesia televisiva,contro il potere politico e finanziario che ha potuto corrompere le coscienze proprio perché gli intellettuali stessi hanno preferito coltivare il proprio orticello invece che contrastare e ben comprendere la marea nera che stava montando;oppure si sono rinchiusi nella “cultura”,negando la possibilità di creare il cambiamento.In molte parti del mondo i popoli si sono sollevati ed adesso è giunto anche il nostro turno,qui in Italia,ed è per questo che è così importante scegliere da che parte stare.Bisogna mettere tutte le energie personali in campo,perché l’onda cresca e si sviluppi.Chi non è con,è contro ed è precisamente questa la connotazione dei tempi storici di cambiamento;gli ignavi non sono ammessi.Penso sia meglio essere parte attiva nel cambiamento,con proposte,dibattiti,idee(e magari facendo prima un piccolo esame di coscienza)piuttosto che esserne trascinati spettatori passivi.Bisogna anche avere il coraggio di denunciare pubblicamente i comportamenti culturali negativi o nulli,senza guardare in faccia nessuno e smettendola una buona volta di cercare di piacere a tutti,di cercare il consenso a tutti i costi!E’ anche a causa degli intellettuali compiacenti che si è creata la moda di essere artisti.Anche in tempi di democrazia bisogna avere il coraggio di separare il loglio dal grano ed è proprio questo,io penso,il compito della cultura nella la gestione della città e del paese.