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Davide Orler – La Bibbia
Cento opere d’arte sacra ispirate all’Antico e al Nuovo Testamento
Comunicato stampa
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Brevi note sul Maestro Davide Orler e sulla mostra napoletana
Tutta l’opera di Davide orler, che si distende fino ad oggi per oltre mezzo secolo di attività indefessa, è quasi esempio paradigmatico di come l’arte possa e debba essere espressione autentica di un’anima, divenendo intuizione di un messaggio universale, non soggetto a mode o a correnti. La vigorosa gestualità onirica dell’ultima sua produzione, infatti, non si potrebbe comprendere appieno senza considerare le precedenti tappe della sua maturazione umana e professionale. Fin dagli anni 1955/1956 inizia per Orler un periodo di crisi profonda. Nel 1958, lasciata la Marina Militare, fu invitato a tenere una personale al Musée Grimaldi di Antibes. La mostra francese gli dette la possibilità di aprire la sua arte ad esperienze internazionali e di conoscere alcune delle figure più eminenti nel panorama culturale dell’epoca, come lo stesso Pablo Picasso, che tanto influenzerà la sua arte di quegli anni e non solo.
In questo delicato e travagliato momento la riflessione su letture sacre e di letteratura francese - in particolare del poeta e scrittore Paul Valéry - lo spinse ad una riconsiderazione dell’universo panteistico giovanile, per approdare ad una più autentica fede cristiana. Negli anni 1959/1960, con l’affiorare nelle sue opere del tema a carattere sacro, si può indicare la grande ‘svolta’ esistenziale ed artistica. la profonda conoscenza dell’arte e del sentimento religioso dell’Europa Orientale, e segnatamente della Russia, ha influenzato soprattutto la sua più recente produzione, risalente all’ultimo decennio. Aderendo al Discorso agli Artisti scritto da Paolo VI nel 1964 e alla più recente Lettera agli artisti di Giovanni Paolo II del 1999, Orler ha inteso affermare che anche l’arte moderna può avere un messaggio di fede, come ha già avuto in passato, e che l’arte sacra è viva ancor oggi, pur fra tanti neri vaticini di morte. Nell’ansia che Orler rivela di voler lasciare questo suo messaggio, i grandi problemi esistenziali insoluti ed insolubili dell’Uomo si riversano come un gorgo straripante sulla tela, attraverso ampie pennellate gestuali, fluidamente veloci, creando vorticosamente opere nuove di grande impatto emotivo, come, appunto, le cento raffigurazioni del 1999-2000, esposte in questa mostra napoletana, ispirate alle storie dell’Antico e del Nuovo Testamento. Il suo modo di fare pittura, il suo disegno deciso ed incisivo, la sua forte accentuazione cromatica e così piena di luce denunciano chiaramente il fascino subito da Orler verso la lezione di Van Gogh e nei confronti della matrice tedesca del grande espressionismo, facendo sì che i suoi racconti della realtà biblica diventino sorgente di un’esperienza intensamente emozionale e spirituale; forme che risentono del dinamismo ‘invaso’ di Kokoschka, cromie pure gestualmente fauves, collegate, talvolta, a un mistico lirismo dall’inondante musicalità wagneriana. Indubbiamente, sebbene in maniera sui generis, queste tele bibliche di Orler risentono delle teorie della Transavanguardia e, in maniera più lata, del Neoespressionismo, particolarmente di quello tedesco degli Anni Ottanta. Un espressionismo, quello del microcosmo di Orler, totalmente scevro da concezioni moderne e avanguardiste di arte come denuncia sociale, ma perfettamente immerso in quello postmoderno, definitivamente sancito dal crollo del muro di Berlino nel 1989, e, diremmo, in una visione “profeticamente” posteriore anche all’11 settembre 2001, dove Orler, come un cieco-vedente, dischiude muri ed intravede nuovi cieli di comunione e di dialogo non attraverso le armi e nemmeno tramite le ideologie, bensì mediante la fede. L’ecumenismo, che supera un discorso logocentrico della cultura occidentale, non approda ad una deriva creativa, ad una ‘tranfilosofia’ da New Age; nell’intimità pur gioiosa e personalissima dell’atto pittorico - questo sì eclettico e ‘nomade’ nella volubilità dello stile, che indubbiamente dà piacere in sé ma che in Orler non si esaurisce in sé - si riflette una scelta lampante di fede ben precisa e per nulla indefinita o eclettica. Non sempre il suo linguaggio è fatto di pulsioni gestualmente crude: segni plastici ed armonici, che ci rammentano quelli fantastici di un angelo ribelle di Osvaldo Licini, possono tracciare corpi che rimandano, nella cromia vivace, al fauvisme di un Matisse. uniti a tali connotati, riscontriamo sovente forti ascendenze oniriche e metafisiche dechirichiane ed eco del surrealismo di Mirò o di quello dei ‘racconti’ oniricamente fantastici di Chagall, dove, però, spesso il racconto nostalgico di quest’ultimo è tradotto in vorticosi turbini ‘premonitori’. Formalmente, le sue tele sono sempre ben strutturate e costruite con perfetti equilibri fra le parti, con una sapienza nell’inserimento delle immagini umane assolutamente studiata e calibrata, al di là di quanto la gestualità istintiva della pennellata possa far pensare, rivelandoci un Orler dalla solida preparazione anche delle tecniche in una pittura sempre cromaticamente opulenta. Davide Orler ci restituisce ambienti, personaggi, vicende e, più che altro, sensazioni bibliche antiche che parlano direttamente e con linguaggio sciolto e modernissimo alla complessa e contraddittoria società odierna, sempre rivolgendosi al cuore dell’uomo prima che alla sua mente, alieno da una smaterializzazione concettuale dell’arte, tipica di certe ribellioni degli Anni Settanta, ma anche dai connotati tecnologici e mediatici dell’arte globalizzata e ‘metropolista’ degli Anni Novanta, priva di un’identità individuale. Proprio in questo sta, a nostro avviso, la vis più vera e genuina di Davide Orler, un autentico messaggio culturale realizzato mediante una pittura di frontiera tra arte, vita e fede che, forse, dischiude una nuova possibile maniera agli inizi di questo nostro problematico Ventunesimo secolo.
Tutta l’opera di Davide orler, che si distende fino ad oggi per oltre mezzo secolo di attività indefessa, è quasi esempio paradigmatico di come l’arte possa e debba essere espressione autentica di un’anima, divenendo intuizione di un messaggio universale, non soggetto a mode o a correnti. La vigorosa gestualità onirica dell’ultima sua produzione, infatti, non si potrebbe comprendere appieno senza considerare le precedenti tappe della sua maturazione umana e professionale. Fin dagli anni 1955/1956 inizia per Orler un periodo di crisi profonda. Nel 1958, lasciata la Marina Militare, fu invitato a tenere una personale al Musée Grimaldi di Antibes. La mostra francese gli dette la possibilità di aprire la sua arte ad esperienze internazionali e di conoscere alcune delle figure più eminenti nel panorama culturale dell’epoca, come lo stesso Pablo Picasso, che tanto influenzerà la sua arte di quegli anni e non solo.
In questo delicato e travagliato momento la riflessione su letture sacre e di letteratura francese - in particolare del poeta e scrittore Paul Valéry - lo spinse ad una riconsiderazione dell’universo panteistico giovanile, per approdare ad una più autentica fede cristiana. Negli anni 1959/1960, con l’affiorare nelle sue opere del tema a carattere sacro, si può indicare la grande ‘svolta’ esistenziale ed artistica. la profonda conoscenza dell’arte e del sentimento religioso dell’Europa Orientale, e segnatamente della Russia, ha influenzato soprattutto la sua più recente produzione, risalente all’ultimo decennio. Aderendo al Discorso agli Artisti scritto da Paolo VI nel 1964 e alla più recente Lettera agli artisti di Giovanni Paolo II del 1999, Orler ha inteso affermare che anche l’arte moderna può avere un messaggio di fede, come ha già avuto in passato, e che l’arte sacra è viva ancor oggi, pur fra tanti neri vaticini di morte. Nell’ansia che Orler rivela di voler lasciare questo suo messaggio, i grandi problemi esistenziali insoluti ed insolubili dell’Uomo si riversano come un gorgo straripante sulla tela, attraverso ampie pennellate gestuali, fluidamente veloci, creando vorticosamente opere nuove di grande impatto emotivo, come, appunto, le cento raffigurazioni del 1999-2000, esposte in questa mostra napoletana, ispirate alle storie dell’Antico e del Nuovo Testamento. Il suo modo di fare pittura, il suo disegno deciso ed incisivo, la sua forte accentuazione cromatica e così piena di luce denunciano chiaramente il fascino subito da Orler verso la lezione di Van Gogh e nei confronti della matrice tedesca del grande espressionismo, facendo sì che i suoi racconti della realtà biblica diventino sorgente di un’esperienza intensamente emozionale e spirituale; forme che risentono del dinamismo ‘invaso’ di Kokoschka, cromie pure gestualmente fauves, collegate, talvolta, a un mistico lirismo dall’inondante musicalità wagneriana. Indubbiamente, sebbene in maniera sui generis, queste tele bibliche di Orler risentono delle teorie della Transavanguardia e, in maniera più lata, del Neoespressionismo, particolarmente di quello tedesco degli Anni Ottanta. Un espressionismo, quello del microcosmo di Orler, totalmente scevro da concezioni moderne e avanguardiste di arte come denuncia sociale, ma perfettamente immerso in quello postmoderno, definitivamente sancito dal crollo del muro di Berlino nel 1989, e, diremmo, in una visione “profeticamente” posteriore anche all’11 settembre 2001, dove Orler, come un cieco-vedente, dischiude muri ed intravede nuovi cieli di comunione e di dialogo non attraverso le armi e nemmeno tramite le ideologie, bensì mediante la fede. L’ecumenismo, che supera un discorso logocentrico della cultura occidentale, non approda ad una deriva creativa, ad una ‘tranfilosofia’ da New Age; nell’intimità pur gioiosa e personalissima dell’atto pittorico - questo sì eclettico e ‘nomade’ nella volubilità dello stile, che indubbiamente dà piacere in sé ma che in Orler non si esaurisce in sé - si riflette una scelta lampante di fede ben precisa e per nulla indefinita o eclettica. Non sempre il suo linguaggio è fatto di pulsioni gestualmente crude: segni plastici ed armonici, che ci rammentano quelli fantastici di un angelo ribelle di Osvaldo Licini, possono tracciare corpi che rimandano, nella cromia vivace, al fauvisme di un Matisse. uniti a tali connotati, riscontriamo sovente forti ascendenze oniriche e metafisiche dechirichiane ed eco del surrealismo di Mirò o di quello dei ‘racconti’ oniricamente fantastici di Chagall, dove, però, spesso il racconto nostalgico di quest’ultimo è tradotto in vorticosi turbini ‘premonitori’. Formalmente, le sue tele sono sempre ben strutturate e costruite con perfetti equilibri fra le parti, con una sapienza nell’inserimento delle immagini umane assolutamente studiata e calibrata, al di là di quanto la gestualità istintiva della pennellata possa far pensare, rivelandoci un Orler dalla solida preparazione anche delle tecniche in una pittura sempre cromaticamente opulenta. Davide Orler ci restituisce ambienti, personaggi, vicende e, più che altro, sensazioni bibliche antiche che parlano direttamente e con linguaggio sciolto e modernissimo alla complessa e contraddittoria società odierna, sempre rivolgendosi al cuore dell’uomo prima che alla sua mente, alieno da una smaterializzazione concettuale dell’arte, tipica di certe ribellioni degli Anni Settanta, ma anche dai connotati tecnologici e mediatici dell’arte globalizzata e ‘metropolista’ degli Anni Novanta, priva di un’identità individuale. Proprio in questo sta, a nostro avviso, la vis più vera e genuina di Davide Orler, un autentico messaggio culturale realizzato mediante una pittura di frontiera tra arte, vita e fede che, forse, dischiude una nuova possibile maniera agli inizi di questo nostro problematico Ventunesimo secolo.
22
aprile 2006
Davide Orler – La Bibbia
Dal 22 aprile al 04 giugno 2006
arte contemporanea
Location
COMPLESSO MUSEALE DI SANTA CHIARA
Napoli, Via Santa Chiara, 49C, (Napoli)
Napoli, Via Santa Chiara, 49C, (Napoli)
Biglietti
tariffa intera : € 4,00
tariffa turistica: € 3,50 (gruppi min. 25 persone accompagnate da guida turistica Regione Campania)
tariffa studenti: € 2,50
Orario di apertura
9.30-18.30 giorni feriali; 9.30–14 festivi
Vernissage
22 Aprile 2006, ore 12
Autore