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Pittori al muro
collettiva
Comunicato stampa
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Ogni tanto nelle stanze gravide di storia della mia galleria d’arte sento il bisogno di lasciare entrare una ventata di aria fresca. Tra l’aprire le porte a un soffio di verde o il riposare sugli allori scelgo ancora la prima via.
Puntare sui giovani artisti vuol dire anche sbagliare, mettere in conto delusioni e fallimenti, finché, come il cercatore d’oro che setaccia l’alveo di un fiume di montagna, ne vengo ripagato dal brillio di una pepita. In questi giorni, per l’appunto, mi domandavo: ce ne sarà più d’una, di pepite, tra questi cinque pittori che ho messo al muro? A Roma, nel campo della pittura, sono sempre sbocciate gemme. L’ultima grande fioritura è stata vent’anni fa all’epoca di Via degli Ausoni. Non sarebbe, mi dicevo, l’ora di una nuova primavera?
Sul muro, come dato reale e come metafora, ho giocato tutta la stagione dell’Attico: scultori al muro, scrittori al muro, pittori al muro. In questa mostra una cosa salta all’occhio: ognuno dei cinque pittori prescelti ha uno stile differentissimo dall’altro. Tale diversità si riscontra puntualmente nella postura da loro assunta di spalle, mani in alto, faccia alla parete, nella cartolina-invito. Osserviamoli bene: c’è una curiosa consonanza tra la disposizione del loro corpo, quasi un inconscio tableau-vivant, e il quadro reale che ciascuno ha dipinto. Di Silvestre, ad esempio, con i gomiti piegati appare il più distante dal muro. Rispetto agli altri suoi colleghi ha un atteggiamento pensoso, riflessivo. Non a caso il suo quadro, lo vedrete, è un’ affettuosa citazione fantasmatica, che getta un ponte tra due generazioni. Al suo fianco Bragantini, vestito di chiaro, dà l’impressione alzando le braccia di non premere affatto con le palme sul muro. Il suo gesto pare piuttosto un atto devozionale, tra resa e preghiera. Il muro è un’entità astratta come il suo quadro. Quanto a Padroni, egli dispone il suo corpo atletico in modo tale da formare sul muro una compattezza geometrica, in sintonia col treno raffigurato nel suo quadro. I vagoni dalla parete sbalzano sulla tela come per un salto di rotaia, ma non deragliano affatto, anzi corrono come frecce sul doppio binario metafisico-futurista. Il corto soprabito nero indossato da Picozza, nell’atto di alzare le braccia, si solleva come la membrana alare di un pipistrello. Lo stesso pipistrello che si intuisce abitatore dei suoi paesaggi metropolitani, bituminosi e notturni. Ma il quadro in mostra, bianco per una volta, è un abbacinante campo innevato, foriero di speranza. Ed ecco per ultimo Montani, che guarda davanti a sé e invece del muro vede il cielo: le mani piatte con le dita allargate, le gambe incrociate con le caviglie sovrapposte, la testa inclinata, evocano curiosamente un Cristo di spalle, inchiodato a un’invisibile croce. Sarà perché è di colore celeste, ma il suo quadro sembra non avere radici terrene.
Quasi un anno fa l’incontro con Marco Tonelli, giovane critico dagli occhietti vispi dietro le spesse lenti, è stato decisivo per questo progetto. Con passione, insieme, più volte abbiamo visitato gli studi e spronato gli artisti. Con soddisfazione abbiamo visto i loro lavori crescere, germogliare.
Viva le mostre primaverili!
Fabio Sargentini
Puntare sui giovani artisti vuol dire anche sbagliare, mettere in conto delusioni e fallimenti, finché, come il cercatore d’oro che setaccia l’alveo di un fiume di montagna, ne vengo ripagato dal brillio di una pepita. In questi giorni, per l’appunto, mi domandavo: ce ne sarà più d’una, di pepite, tra questi cinque pittori che ho messo al muro? A Roma, nel campo della pittura, sono sempre sbocciate gemme. L’ultima grande fioritura è stata vent’anni fa all’epoca di Via degli Ausoni. Non sarebbe, mi dicevo, l’ora di una nuova primavera?
Sul muro, come dato reale e come metafora, ho giocato tutta la stagione dell’Attico: scultori al muro, scrittori al muro, pittori al muro. In questa mostra una cosa salta all’occhio: ognuno dei cinque pittori prescelti ha uno stile differentissimo dall’altro. Tale diversità si riscontra puntualmente nella postura da loro assunta di spalle, mani in alto, faccia alla parete, nella cartolina-invito. Osserviamoli bene: c’è una curiosa consonanza tra la disposizione del loro corpo, quasi un inconscio tableau-vivant, e il quadro reale che ciascuno ha dipinto. Di Silvestre, ad esempio, con i gomiti piegati appare il più distante dal muro. Rispetto agli altri suoi colleghi ha un atteggiamento pensoso, riflessivo. Non a caso il suo quadro, lo vedrete, è un’ affettuosa citazione fantasmatica, che getta un ponte tra due generazioni. Al suo fianco Bragantini, vestito di chiaro, dà l’impressione alzando le braccia di non premere affatto con le palme sul muro. Il suo gesto pare piuttosto un atto devozionale, tra resa e preghiera. Il muro è un’entità astratta come il suo quadro. Quanto a Padroni, egli dispone il suo corpo atletico in modo tale da formare sul muro una compattezza geometrica, in sintonia col treno raffigurato nel suo quadro. I vagoni dalla parete sbalzano sulla tela come per un salto di rotaia, ma non deragliano affatto, anzi corrono come frecce sul doppio binario metafisico-futurista. Il corto soprabito nero indossato da Picozza, nell’atto di alzare le braccia, si solleva come la membrana alare di un pipistrello. Lo stesso pipistrello che si intuisce abitatore dei suoi paesaggi metropolitani, bituminosi e notturni. Ma il quadro in mostra, bianco per una volta, è un abbacinante campo innevato, foriero di speranza. Ed ecco per ultimo Montani, che guarda davanti a sé e invece del muro vede il cielo: le mani piatte con le dita allargate, le gambe incrociate con le caviglie sovrapposte, la testa inclinata, evocano curiosamente un Cristo di spalle, inchiodato a un’invisibile croce. Sarà perché è di colore celeste, ma il suo quadro sembra non avere radici terrene.
Quasi un anno fa l’incontro con Marco Tonelli, giovane critico dagli occhietti vispi dietro le spesse lenti, è stato decisivo per questo progetto. Con passione, insieme, più volte abbiamo visitato gli studi e spronato gli artisti. Con soddisfazione abbiamo visto i loro lavori crescere, germogliare.
Viva le mostre primaverili!
Fabio Sargentini
21
aprile 2006
Pittori al muro
Dal 21 aprile al 21 giugno 2006
arte contemporanea
Location
GALLERIA L’ATTICO – FABIO SARGENTINI
Roma, Via Del Paradiso, 41, (Roma)
Roma, Via Del Paradiso, 41, (Roma)
Orario di apertura
lun-sab 17-20
Vernissage
21 Aprile 2006, ore 19
Autore
Curatore