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Gastone Biggi – Eventi
Biggi è passato dalle opere che risentono delle tristissime personali vicissitudini belliche: dalla deportazione alla prigionia alla tortura e dei temi sociali legati all’ambiente romano; allo sguardo rigoroso e solidamente europeo dell’astrazione
Comunicato stampa
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Le costanti che individuano il mio mondo espressivo sono certamente da ricavare nella continua aspirazione ad un operare dove la ragione e l’inconscio, in egual misura concorrano all’edificazione di un’opera.
Gastone Biggi
Cimentarsi nello scrivere sull’attività di Gastone Biggi è cosa assai complessa.
E’, infatti, artista a tutto tondo, perché sa essere eclettico e versatile nell’esprimersi in maniera coerente ed evolutiva sia con il pennello che con la penna, oltre ad avere una grande conoscenza in campo musicale.
E noterete più avanti che la sua biografia non può finire a piè pagina come se fosse una nota a margine, ma bisogna scorrerla come parte integrante del lavoro dell’artista.
Quest’uomo argutamente intelligente, dalla battuta sottile e tagliente che ha sempre espresso il suo parere negli innumerevoli interventi di argomento artistico e non a cui è stato pregato di partecipare, é un pittore simbolo degli ultimi cinquant’anni della storia dell’arte mondiale.
Si avverte nel suo percorso, in modo palese nel periodo forse più noto dell’artista, quello degli anni Sessanta e del Gruppo Uno ma in modo più criptico eppure non meno vivo anche nei momenti successivi, una dimensione pitagorica, una ricerca contrappuntistica del ritmo interno della pagina pittorica, dell’architettura del colore.
E prendendo in prestito lo spunto da uno dei suoi libri “BISNY (Bisanzio-New York), è una dimensione, questa, che si riallaccia più a Bisanzio che a New York, ... dove Bisanzio significa non solo mosaici ravennati, ma per estensione anche tutta la grande pittura dei secoli passati, da Giotto a Piero, entrambi amatissimi da Biggi. (Elena Pontiggia).
Biggi è passato dalle opere che risentono delle tristissime personali vicissitudini belliche: dalla deportazione alla prigionia alla tortura e dei temi sociali legati all’ambiente romano; allo sguardo rigoroso e solidamente europeo dell’astrazione.
Certo per Biggi il numero non è un principio divino, ma per così dire un principio musicale. Tutto, nelle sue tele, viene ricondotto a un mormorio ritmico, a un contrappunto bachiano.
Infatti, quando a partire dal 1972 la tavolozza cromatica recupera tutte le sue note, quella di Biggi non è una conversione al colore, ma una riconferma delle potenzialità delle cromie.
Invece il ciclo di opere di Biggi, presentato come nucleo centrale di questa esposizione milanese, è voluto nel tentativo, peraltro riuscito, di superare l’Astrattismo, quello di Kline e Malevic per esempio, che langue al giorno d’oggi in uno sperimentalismo sterile, privo di quel “quid” che lo rendeva una vera alternativa e la giusta evoluzione del Figurativo dopo l’avvento della fotografia.
Adoperando le parole dell’artista stesso: “ Ho pensato perciò nella mia ultima ricerca, cioè negli EVENTI, di ritrovare il bandolo di una realtà smarrita, ... non restaurazione, ... ma un movimento in avanti come questo, che io chiamerei REALISMO ASTRATTO, dove tutte le figurazioni del reale, passate al filtro delle grammatiche astratte, possano ripresentarsi a noi con una luce inedita, diversa.”
Ed il risultato è estremamente interessante, quadri riuscitissimi che sembrano essere stati dipinti da un animo fresco e giovane, mentre sono la più recente espressione di un uomo combattivo di ottant’anni con un talento enorme.
Ed ancora una volta, Biggi contesta la presunta fine della pittura con l’unico modo con cui lo può fare un pittore: dipingendo. E il suo ostinato ricercare le pieghe, le sfumature, le note più alte e più profonde del colore, ha anche questo significato: dimostrare che la pittura non deve essere attuale, e nemmeno essere moderna, perchè è eterna e che, come egli afferma “il mondo non ha bisogno di antichi e nuovi dolori, ma piuttosto, di nuove serenità e di nuove bellezze”.
NON ESISTONO ZONE MORTE NELLA PITTURA DI BIGGI, COME NON ESISTONO NELLA VITA. TUTTO VIBRA E RESPIRA.
LA BIOGRAFIA
Nasce a Roma il 12 febbraio 1925.
Nel 1945 si diploma al Liceo Artistico di Roma.
Nel 1946 inizia la sua attività di pittore nel Centro Ospedaliero della CRI, dove è stato ricoverato per una malattia contratta sul fronte di Cassino, dopo aver subito la deportazione e la condanna a morte da parte dei tedeschi. Riuscirà a fuggire.
Il suo primo periodo pittorico è fortemente influenzato dall’esperienza drammatica della guerra. Le tinte sono fosche e le pennellate sono larghe, espressioniste.
Con la sua prima mostra personale a Roma nel 1949, inizia l’interesse verso la musica. Le composizioni trarranno ispirazione dal mondo delle note (soprattutto Bach).
Nel 1952 realizza la scenografia de “Gli Uccelli” di Aristofane al Teatro delle Maschere di Roma.
Inizia da qui il suo impegno come insegnante nella scuola.
Sarà un artista indipendente e non si schiererà mai verso il realismo comunista, tanto di moda in quegli anni. Questo gli procurerà una sistematica emarginazione dalle manifestazioni ufficiali del mondo culturale.
Nel 1956 fonda insieme a Buratti, Mazzoli, Agostini, Marcucci e Di Vito il Gruppo 56, che avrà vita breve ma il merito di contrapporsi alla pittura di propaganda di quel periodo.
Biggi prosegue il suo percorso per cicli, interessandosi in maniera approfondita anche per anni di un medesimo argomento che in quel momento sente particolarmente vicino.
Nel 1957 abbiamo “I Profughi” e le “Cancellate” ultimi esempi della sua espressione figurativa.
Da ora in poi Biggi diverrà un pittore astratto.
La pittura astratta ha la possibilità straordinaria di essere parallela alla musica .... ma è altrettanto vero che, al contrario della pittura figurativa, se i suoi gesti non sono assoluti e straordinari rischi di essere molto noiosa e di una vitalità breve.
“I Racconti” opere astratte di tipo surrealiste precedono le “Sabbie” informali.
Nel 1960 da’ il via alle “Lettere”, dove usando frammenti di materia e di memoria tende a realizzare la superficie del ricordo.
Continua l’iter di Biggi nell’ambito dell’Informale con le “Colature” e “I Tempi”. Intanto la sua produzione è sempre più seguita anche da critici quali:, Calvesi,,Volpi, Sterpini, ma la corresponsione della critica non è di successo. Partecipa in questo periodo a molte collettive romane, dedicate ai talenti emergenti del panorama artistico della capitale. Gli vengono conferiti premi ed incarichi didattici (insegna Disegno Pubblicitario alla “Diaz” di Roma).
Dal 1962 riprende i viaggi in Francia, abbandona l’Informale e torna alla forma con i “Continui segnici”, abolendo il colore e dipingendo solo con il bianco e il nero. Espone a Genova dove conosce Roberto e Rinaldo Rotta.
Importantissimo quest’anno che vede la nascita del Gruppo Uno insieme ad Uncini, Pace, Frascà, Carrino e Santoro. Contemporaneamente comincerà a stringere rapporti con Dorazio, Perilli e Turcato.
Il Gruppo Uno intensificherà sempre di più la sua attività basata sulla realizzazione di una comunità operativa per la quale il pittore, pur mantenendo la sua specificità tenda a confrontarsi con le altre arti a lui affini, soprattutto la musica.
Finalmente nel 1963 arrivano i primi consensi con Il Gruppo, espongono a Firenze, a Genova nella Galleria Rotta. Espone i suoi continui puntiformi alla Galleria Nazionale d’Arte Moderna di Roma, che in questo anno acquisterà una sua opera.
Alla Biennale di San Marino “Oltre l’informale” con il Gruppo Uno vince il II° premio della Giuria Internazionale.
Biggi in questo anno intensifica i suoi viaggi in Europa: Germania, Francia, Austria, Norvegia, Svizzera e Svezia, fino in Russia.
Cambia la sua indagine pittorica, passa al discoforme con la serie delle “Variabili” e ritorna, dopo anni di bianco e nero, al colore. I primi anni Settanta lo vedono molto presente anche all’estero dove le esposizioni personali di Biggi iniziano a moltiplicarsi. Inoltre il suo impegno rimane inalterato anche nella scrittura e nella musica, grandi passioni dell’artista.
Dopo aver discettato sulle Variabili e averle portate all’esasperazione cromatica, ritorna al bianco (la luce), il grigio (il tempo), il nero (le origini) segnati dalla grafite, nella serie “Continui secondi”.
A metà degli anni settanta, la sua ricerca si rivolge ad operare sui cerchi e sulle tangenze studiando la possibilità dell’evidenziazione timbrica e materica mediante incidenze segniche: nascono le “Tangenziali”, fatte solo di cromie povere.
Nel 1976 viene chiamato a dirigere il Liceo Artistico di Ravenna. La sua attività didattica lo distrae dall’esporre, ma la ricerca non si ferma. Continua la serie dei “Ritmi” di grandi dimensioni, ancora in bianco e nero.
Ma nel 1979 con i “Cieli” riprende in pieno il colore, caricato dall’uso dei pastelli e delle cere.
Svilupperà questo tema per alcuni anni, esponendo molto e riscuotendo grande consenso di pubblico e di critica, soprattutto in Centro-Nord Europa.
Dopo un lungo viaggio in Francia, alla ricerca di ispirazione dal romanico e dal gotico (ha una forte passione per le vetrate di Chartres), inizia a dipingere “I Giorni” opere di grande spontaneità ed immediatezza.
E’ il 1983.
L’anno dopo, lascia Roma per trasferirsi nella campagna senese; e proprio questi paesaggi saranno la nuova esperienza chiaramente visibile nella evoluzione dei “Cieli” e soprattutto nel successivo ciclo de “I Campi”, dove l’ordito dei segni e dei colori tende a riflettere le innumerevoli vibrazioni della luce, per ritrarre le emozioni che l’artista prova.
Dopo tre anni di soggiorno senese, torna nel Lazio e si trasferisce a Genzano di Roma. Inizia una serie di opere nuove, concepite con estrema libertà nel tentativo di coniugare l’astrazione dell’idea con le realtà della visione e della memoria, in una sorta di figurazione dove possano apparire elementi del più oggettivo campionario visivo, ma trasfigurati all’atto stesso della realizzazione dal filtro della cultura e dell’esperienza operativa.
Del periodo di Genzano abbiamo “I Canti della Memoria” e le “Luci”, un ritorno alla cromia azzurra, tipica colorazione dell’aria pura e dei cieli tersi dei Colli Albani.
Continua a viaggiare molto. Importantissimo in questo periodo è un lungo soggiorno in America, dove lo colpiscono soprattutto lo splendore dei grattacieli di Manhattan e la durezza nera dei sobborghi.
Nella primavera del 1990 si trasferisce a Milano dove riprende le “Luci”, elaborate dopo l’esperienza americana ed arricchite dal soggiorno milanese. Ed è proprio Milano e la sua luminosa atmosfera ad ispirare le “Tabule”, serie dove è il fondo il vero protagonista del quadro.
Il nomadismo di Biggi continua nel 1992: si trasferisce a Verona. Ed anche qui come sempre viene ispirato per un nuovo percorso: le “Costellazioni”. Le sue personali si moltiplicano come i suoi viaggi, andrà infatti in Irlanda ed in Spagna. Ogni esperienza di viaggio per Biggi è un momento di arricchimento e di riflessione sia per le sue pitture che per i suoi scritti. Nel 1995 inizia la serie molto importante delle “Icone”, dove riprende l’uso della sabbia e della segatura in maniera solenne, quasi ieratica. Nel 1997, esporrà per l’ultima volta a Roma, alla Galleria Editalia proprio questa serie.
Nello stesso tempo, prende forma il progetto dell’ “Anno Padano” che riflette gli umori, le luci, le passioni della terra emiliana dove ora vive.
Gli stessi sentimenti che sono anche alla base della creazione dei quattro grandi quadri dedicati alle stagioni.
Dopo questa parentesi ispirata dall’ambiente circostante, inizia la serie “Diari” dove l’intento è di ristabilire quei contatti necessari perché l’opera non rimanga imbalsamata, ma segua anche le tematiche sociali, tanto care a questo artista. Il resto è storia di oggi con le ultime produzioni: le “Incursioni d’artista” e gli attuali “Eventi”.
Gastone Biggi
Cimentarsi nello scrivere sull’attività di Gastone Biggi è cosa assai complessa.
E’, infatti, artista a tutto tondo, perché sa essere eclettico e versatile nell’esprimersi in maniera coerente ed evolutiva sia con il pennello che con la penna, oltre ad avere una grande conoscenza in campo musicale.
E noterete più avanti che la sua biografia non può finire a piè pagina come se fosse una nota a margine, ma bisogna scorrerla come parte integrante del lavoro dell’artista.
Quest’uomo argutamente intelligente, dalla battuta sottile e tagliente che ha sempre espresso il suo parere negli innumerevoli interventi di argomento artistico e non a cui è stato pregato di partecipare, é un pittore simbolo degli ultimi cinquant’anni della storia dell’arte mondiale.
Si avverte nel suo percorso, in modo palese nel periodo forse più noto dell’artista, quello degli anni Sessanta e del Gruppo Uno ma in modo più criptico eppure non meno vivo anche nei momenti successivi, una dimensione pitagorica, una ricerca contrappuntistica del ritmo interno della pagina pittorica, dell’architettura del colore.
E prendendo in prestito lo spunto da uno dei suoi libri “BISNY (Bisanzio-New York), è una dimensione, questa, che si riallaccia più a Bisanzio che a New York, ... dove Bisanzio significa non solo mosaici ravennati, ma per estensione anche tutta la grande pittura dei secoli passati, da Giotto a Piero, entrambi amatissimi da Biggi. (Elena Pontiggia).
Biggi è passato dalle opere che risentono delle tristissime personali vicissitudini belliche: dalla deportazione alla prigionia alla tortura e dei temi sociali legati all’ambiente romano; allo sguardo rigoroso e solidamente europeo dell’astrazione.
Certo per Biggi il numero non è un principio divino, ma per così dire un principio musicale. Tutto, nelle sue tele, viene ricondotto a un mormorio ritmico, a un contrappunto bachiano.
Infatti, quando a partire dal 1972 la tavolozza cromatica recupera tutte le sue note, quella di Biggi non è una conversione al colore, ma una riconferma delle potenzialità delle cromie.
Invece il ciclo di opere di Biggi, presentato come nucleo centrale di questa esposizione milanese, è voluto nel tentativo, peraltro riuscito, di superare l’Astrattismo, quello di Kline e Malevic per esempio, che langue al giorno d’oggi in uno sperimentalismo sterile, privo di quel “quid” che lo rendeva una vera alternativa e la giusta evoluzione del Figurativo dopo l’avvento della fotografia.
Adoperando le parole dell’artista stesso: “ Ho pensato perciò nella mia ultima ricerca, cioè negli EVENTI, di ritrovare il bandolo di una realtà smarrita, ... non restaurazione, ... ma un movimento in avanti come questo, che io chiamerei REALISMO ASTRATTO, dove tutte le figurazioni del reale, passate al filtro delle grammatiche astratte, possano ripresentarsi a noi con una luce inedita, diversa.”
Ed il risultato è estremamente interessante, quadri riuscitissimi che sembrano essere stati dipinti da un animo fresco e giovane, mentre sono la più recente espressione di un uomo combattivo di ottant’anni con un talento enorme.
Ed ancora una volta, Biggi contesta la presunta fine della pittura con l’unico modo con cui lo può fare un pittore: dipingendo. E il suo ostinato ricercare le pieghe, le sfumature, le note più alte e più profonde del colore, ha anche questo significato: dimostrare che la pittura non deve essere attuale, e nemmeno essere moderna, perchè è eterna e che, come egli afferma “il mondo non ha bisogno di antichi e nuovi dolori, ma piuttosto, di nuove serenità e di nuove bellezze”.
NON ESISTONO ZONE MORTE NELLA PITTURA DI BIGGI, COME NON ESISTONO NELLA VITA. TUTTO VIBRA E RESPIRA.
LA BIOGRAFIA
Nasce a Roma il 12 febbraio 1925.
Nel 1945 si diploma al Liceo Artistico di Roma.
Nel 1946 inizia la sua attività di pittore nel Centro Ospedaliero della CRI, dove è stato ricoverato per una malattia contratta sul fronte di Cassino, dopo aver subito la deportazione e la condanna a morte da parte dei tedeschi. Riuscirà a fuggire.
Il suo primo periodo pittorico è fortemente influenzato dall’esperienza drammatica della guerra. Le tinte sono fosche e le pennellate sono larghe, espressioniste.
Con la sua prima mostra personale a Roma nel 1949, inizia l’interesse verso la musica. Le composizioni trarranno ispirazione dal mondo delle note (soprattutto Bach).
Nel 1952 realizza la scenografia de “Gli Uccelli” di Aristofane al Teatro delle Maschere di Roma.
Inizia da qui il suo impegno come insegnante nella scuola.
Sarà un artista indipendente e non si schiererà mai verso il realismo comunista, tanto di moda in quegli anni. Questo gli procurerà una sistematica emarginazione dalle manifestazioni ufficiali del mondo culturale.
Nel 1956 fonda insieme a Buratti, Mazzoli, Agostini, Marcucci e Di Vito il Gruppo 56, che avrà vita breve ma il merito di contrapporsi alla pittura di propaganda di quel periodo.
Biggi prosegue il suo percorso per cicli, interessandosi in maniera approfondita anche per anni di un medesimo argomento che in quel momento sente particolarmente vicino.
Nel 1957 abbiamo “I Profughi” e le “Cancellate” ultimi esempi della sua espressione figurativa.
Da ora in poi Biggi diverrà un pittore astratto.
La pittura astratta ha la possibilità straordinaria di essere parallela alla musica .... ma è altrettanto vero che, al contrario della pittura figurativa, se i suoi gesti non sono assoluti e straordinari rischi di essere molto noiosa e di una vitalità breve.
“I Racconti” opere astratte di tipo surrealiste precedono le “Sabbie” informali.
Nel 1960 da’ il via alle “Lettere”, dove usando frammenti di materia e di memoria tende a realizzare la superficie del ricordo.
Continua l’iter di Biggi nell’ambito dell’Informale con le “Colature” e “I Tempi”. Intanto la sua produzione è sempre più seguita anche da critici quali:, Calvesi,,Volpi, Sterpini, ma la corresponsione della critica non è di successo. Partecipa in questo periodo a molte collettive romane, dedicate ai talenti emergenti del panorama artistico della capitale. Gli vengono conferiti premi ed incarichi didattici (insegna Disegno Pubblicitario alla “Diaz” di Roma).
Dal 1962 riprende i viaggi in Francia, abbandona l’Informale e torna alla forma con i “Continui segnici”, abolendo il colore e dipingendo solo con il bianco e il nero. Espone a Genova dove conosce Roberto e Rinaldo Rotta.
Importantissimo quest’anno che vede la nascita del Gruppo Uno insieme ad Uncini, Pace, Frascà, Carrino e Santoro. Contemporaneamente comincerà a stringere rapporti con Dorazio, Perilli e Turcato.
Il Gruppo Uno intensificherà sempre di più la sua attività basata sulla realizzazione di una comunità operativa per la quale il pittore, pur mantenendo la sua specificità tenda a confrontarsi con le altre arti a lui affini, soprattutto la musica.
Finalmente nel 1963 arrivano i primi consensi con Il Gruppo, espongono a Firenze, a Genova nella Galleria Rotta. Espone i suoi continui puntiformi alla Galleria Nazionale d’Arte Moderna di Roma, che in questo anno acquisterà una sua opera.
Alla Biennale di San Marino “Oltre l’informale” con il Gruppo Uno vince il II° premio della Giuria Internazionale.
Biggi in questo anno intensifica i suoi viaggi in Europa: Germania, Francia, Austria, Norvegia, Svizzera e Svezia, fino in Russia.
Cambia la sua indagine pittorica, passa al discoforme con la serie delle “Variabili” e ritorna, dopo anni di bianco e nero, al colore. I primi anni Settanta lo vedono molto presente anche all’estero dove le esposizioni personali di Biggi iniziano a moltiplicarsi. Inoltre il suo impegno rimane inalterato anche nella scrittura e nella musica, grandi passioni dell’artista.
Dopo aver discettato sulle Variabili e averle portate all’esasperazione cromatica, ritorna al bianco (la luce), il grigio (il tempo), il nero (le origini) segnati dalla grafite, nella serie “Continui secondi”.
A metà degli anni settanta, la sua ricerca si rivolge ad operare sui cerchi e sulle tangenze studiando la possibilità dell’evidenziazione timbrica e materica mediante incidenze segniche: nascono le “Tangenziali”, fatte solo di cromie povere.
Nel 1976 viene chiamato a dirigere il Liceo Artistico di Ravenna. La sua attività didattica lo distrae dall’esporre, ma la ricerca non si ferma. Continua la serie dei “Ritmi” di grandi dimensioni, ancora in bianco e nero.
Ma nel 1979 con i “Cieli” riprende in pieno il colore, caricato dall’uso dei pastelli e delle cere.
Svilupperà questo tema per alcuni anni, esponendo molto e riscuotendo grande consenso di pubblico e di critica, soprattutto in Centro-Nord Europa.
Dopo un lungo viaggio in Francia, alla ricerca di ispirazione dal romanico e dal gotico (ha una forte passione per le vetrate di Chartres), inizia a dipingere “I Giorni” opere di grande spontaneità ed immediatezza.
E’ il 1983.
L’anno dopo, lascia Roma per trasferirsi nella campagna senese; e proprio questi paesaggi saranno la nuova esperienza chiaramente visibile nella evoluzione dei “Cieli” e soprattutto nel successivo ciclo de “I Campi”, dove l’ordito dei segni e dei colori tende a riflettere le innumerevoli vibrazioni della luce, per ritrarre le emozioni che l’artista prova.
Dopo tre anni di soggiorno senese, torna nel Lazio e si trasferisce a Genzano di Roma. Inizia una serie di opere nuove, concepite con estrema libertà nel tentativo di coniugare l’astrazione dell’idea con le realtà della visione e della memoria, in una sorta di figurazione dove possano apparire elementi del più oggettivo campionario visivo, ma trasfigurati all’atto stesso della realizzazione dal filtro della cultura e dell’esperienza operativa.
Del periodo di Genzano abbiamo “I Canti della Memoria” e le “Luci”, un ritorno alla cromia azzurra, tipica colorazione dell’aria pura e dei cieli tersi dei Colli Albani.
Continua a viaggiare molto. Importantissimo in questo periodo è un lungo soggiorno in America, dove lo colpiscono soprattutto lo splendore dei grattacieli di Manhattan e la durezza nera dei sobborghi.
Nella primavera del 1990 si trasferisce a Milano dove riprende le “Luci”, elaborate dopo l’esperienza americana ed arricchite dal soggiorno milanese. Ed è proprio Milano e la sua luminosa atmosfera ad ispirare le “Tabule”, serie dove è il fondo il vero protagonista del quadro.
Il nomadismo di Biggi continua nel 1992: si trasferisce a Verona. Ed anche qui come sempre viene ispirato per un nuovo percorso: le “Costellazioni”. Le sue personali si moltiplicano come i suoi viaggi, andrà infatti in Irlanda ed in Spagna. Ogni esperienza di viaggio per Biggi è un momento di arricchimento e di riflessione sia per le sue pitture che per i suoi scritti. Nel 1995 inizia la serie molto importante delle “Icone”, dove riprende l’uso della sabbia e della segatura in maniera solenne, quasi ieratica. Nel 1997, esporrà per l’ultima volta a Roma, alla Galleria Editalia proprio questa serie.
Nello stesso tempo, prende forma il progetto dell’ “Anno Padano” che riflette gli umori, le luci, le passioni della terra emiliana dove ora vive.
Gli stessi sentimenti che sono anche alla base della creazione dei quattro grandi quadri dedicati alle stagioni.
Dopo questa parentesi ispirata dall’ambiente circostante, inizia la serie “Diari” dove l’intento è di ristabilire quei contatti necessari perché l’opera non rimanga imbalsamata, ma segua anche le tematiche sociali, tanto care a questo artista. Il resto è storia di oggi con le ultime produzioni: le “Incursioni d’artista” e gli attuali “Eventi”.
20
aprile 2006
Gastone Biggi – Eventi
Dal 20 aprile al 27 maggio 2006
arte contemporanea
Location
SHOW ROOM TELEMARKET
Milano, Corso Di Porta Romana, 2, (Milano)
Milano, Corso Di Porta Romana, 2, (Milano)
Orario di apertura
Martedì/Venerdì 10.00-13.00 e 15.00-19.30
Sabato 10.00-19.30
Domenica e lunedì chiuso
Vernissage
20 Aprile 2006, ore 18
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