23 aprile 2013

Mezza giornata dentro per una tag, trent’anni dopo. Il grande Kenny Scharf pizzicato con le mani sulla bomboletta, a Brooklyn

 

di

Kenny Scharf a New York
Come dire, il lupo perde il pelo ma non il vizio. Kenny Scharf, uno dei più noti writer della prima generazione della Grande Mela, quelli che lavoravano con la galleria Fashion Moda di Tony Shafrazi per intenderci, non ha abbandonato l’abitudine (come un vero e proprio artista della bomboletta) di scrivere sui muri di New York, nonostante non sia più propriamente un ragazzino, e il successo ottenuto in questi anni gli permetta di fare mostre e vendere la propria arte senza passare dall’ “illegalità”. E così, a distanza di oltre trent’anni dal suo primo e traumatico arresto, dove fu picchiato brutalmente dai poliziotti «Se fossi stato nero mi avrebbero ucciso», riporta l’artista rimembrando l’episodio dell’epoca, Scharf sabato notte intorno all’una, sulla Morgan Avenue, a pochi isolati dalla Metropolitan Avenue, a Brooklyn, è finito di nuovo in manette, anche se con qualche differenza: 
«Il poliziotto che mi ha arrestato, ha detto che era affascinato dalla mia tag, mi ha chiesto di Exit Through the Gift shop, e mi ha domandato di Banksy». Portato in una piccola caserma di Williamsburg, ora per il 55enne graffitista si profila una pena da scontare in lavori socialmente utili, perché il reato nello stato di New York è considerato di classe B.
«I Graffiti sono una grande espressione che non vuole essere controllata. E noi non siamo burattini come il governo vorrebbe. Penso che i graffiti dovrebbero essere lasciati accadere, e se un proprietario di un muro di un edificio o di un cancello non li vuole li può ridipingere o fare un rivestimento protettivo che permetta di lavarli via. La polizia dovrebbe concentrarsi su crimini reali. I graffitisti agiscono su muri di cui nessuno si occupa, e anzi migliorano spesso l’ambiente.
Non tutti i newyorkesi sono anti-graffiti, come molte persone pensano. Una volta stavo creando un lavoro sul muro di un magazzino e il proprietario si è avvicinato: credevo mi avrebbe insultato e invece mi chiese di firmare il lavoro» dichiara l’artista. Controversa questione di una realtà che, come vi abbiamo raccontato, nella Grande Mela sembra tornare a galla. Sui muri più insoliti e sempre più spesso. Sarà che, molto probabilmente, c’è bisogno di esprimersi?

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