Create an account
Welcome! Register for an account
La password verrà inviata via email.
Recupero della password
Recupera la tua password
La password verrà inviata via email.
-
- container colonna1
- Categorie
- #iorestoacasa
- Agenda
- Archeologia
- Architettura
- Arte antica
- Arte contemporanea
- Arte moderna
- Arti performative
- Attualità
- Bandi e concorsi
- Beni culturali
- Cinema
- Contest
- Danza
- Design
- Diritto
- Eventi
- Fiere e manifestazioni
- Film e serie tv
- Formazione
- Fotografia
- Libri ed editoria
- Mercato
- MIC Ministero della Cultura
- Moda
- Musei
- Musica
- Opening
- Personaggi
- Politica e opinioni
- Street Art
- Teatro
- Viaggi
- Categorie
- container colonna2
- container colonna1
E pluribus unum
Una mostra che nasce da un vincolo di amicizia, dalla stima reciproca e da affinità linguistiche
Comunicato stampa
Segnala l'evento
Una mostra che nasce da un vincolo di amicizia, dalla stima reciproca e da affinità linguistiche. Le opere di Lucio Pozzi e Albano Morandi rispecchiano un “fare” e un “pensare” l’arte al di là degli stili precostituiti, infrangendo i generi per spaziare da esperienze figurative a soluzioni astratte, rimanendo coerenti con se stessi, con il proprio modus operandi più che con le leggi di mercato. L’esposizione è stata pensata come momento di dialettica tra le opere dei due artisti (nonostante il dato anagrafico, Pozzi e Morandi sono accomunati da un “sentire” l’arte che va oltre la contingenza temporale) e al contempo come contaminazione. Nella prima sala una grande tela di Pozzi, in cui figure in bianco e nero creano una texture che ironizza sull’idea di carta da parti, farà da sfondo alle opere di Morandi ivi collocate, oggetti del quotidiano logorati dal tempo e dall’uso che l’artista trasforma in opere astratto-geometriche perché «Strumento della trasformazione è il linguaggio stesso dell’arte, strumento alchemico che agisce plasticamente sulle materie e sulle forme». Nella seconda sala il rapporto binario si inverte; alcuni piccoli acquerelli di Pozzi, la cui trama tende a diventare più rarefatta assumendo la forma di “macchie” per quella capacità di oscillare «fra ossessione e meditazione, ripetizione frenetica e improvvisi cambiamenti», fronteggiano alcune sculture di Morandi, improbabili assemblaggi ricoperti di gesso e cera che coniugano fiori secchi agli oggetti più disparati. Il dualismo - tra le opere dell’uno e dell’altro - e l’antinomia - all’interno della ricerca di ciascuno - rivelano un procedere funambolico che rimane in equilibrio sulle ali della libertà d’invenzione.
catalogo generale di prossima pubblicazion
la mostra è visibile fino al 29 aprile, dal martedì al sabato dalle ore 16.00 alle 19.00
«Le cose muoiono quando noi moriamo, e in verità moriamo tutti i giorni» [Paul Auster]. Nonostante le dottrine spirituali ammoniscano sull’ineluttabilità del destino dall’altra ci confortano con la promessa di una rinascita. Alla maniera in cui il fuoco trasforma in fuoco ciò che brucia, l’arte porta alla continua catarsi della realtà e così pure del suo fucinatore. Le opere di Albano Morandi paventano il distacco dal mondo con-dividendo la metafora delle cose e la definizione delle cose stesse. Esse rifiutano lo specifico quanto l’immediato, si fanno portatrici di quella che Walter Guadagnini ravvisa essere la certezza «dell’infinità del possibile nel mondo della creazione». Nell’imperante condizione del ready-made, l’atto del “recupero” sottende all’elisir di nuova, lunga vita; in tale processo di reversibilità – di ciò che non serve più ed è confinato nell’oblio – il divenire porta con sé sostanziali differenze (verrebbe da dire di carattere poetico) che scardinano l’oggetto ordinario. Si tratta di oggetti di basso profilo, a bon marché, inficiati con il collage, l’assemblaggio, il colore o la grafite. Morandi li chiama “Gesti quotidiani” poiché sono pervasi da una naturalezza del fare che accresce quella dell’essere. C’è poi l’ordine, di tipo geometrico, ottenuto con del nastro adesivo colorato, a tracciare bande regolari sulle superfici-supporti, bienséance dell’astrazione la cui autorità si è finalmente addolcita: meno intransigente verso l’assoluto, più incline al gioco. Le opere che si richiamano alla pittura si avvalgono di una patina “calda” come la cera, le opere che si rifanno alla scultura prediligono invece un materiale “freddo” quale il gesso, ma né le une né le altre si lasciano veramente incasellare nei generi, sconfinano di stile in stile, di accidente in accidente. Del resto sarebbe come voler rinchiudere una bestia in un serraglio, la contumacia le darà ragione su ogni altro guitto perché il fremito di vita e di libertà vince la paura della mortalità che tanto attanaglia il mondo occidentale. [testo di Alberto Zanchetta]
ALBANO MORANDI è nato a Salò (BS) nel 1958, vive e lavora a Puegnago del Garda. Dopo la maturità artistica, frequenta dal 1976 al 1980 l'Accademia di Belle Arti di Roma, ove consegue il diploma in scenografia. Nel 1981 fonda il Teatro dell'Evidenza con il quale mette in scena varie opere di contaminazione fra teatro, musica ed arti visive; tra le numerose collaborazioni vanno segnalate quelle con i jazzisti Tristan Honsinger e Gianluigi Trovasi, con i compositori Giancarlo Facchinetti e Francesco Pennisi ed il poeta Attilio Lolini. Dal 1981 espone in mostre personali e collettive in gallerie e musei (Roma, Milano, Bologna, Parma, L'Aja, Francoforte, Liegi, Parigi, Mannheim, Trnava, New York, Monaco, Los Angeles, S. Diego, Klatovy). Nel 1986 e nel 1996 è invitato alla Quadriennale di Roma. Tra i vari scritti dedicati alla sua opera vanno segnalate la monografia edita da Nuovi Strumenti nel 1992 e quella edita dalle edizioni Peccolo di Livorno nel 1998.
Come nel caso di un gioco, sia nell’arte che nella guerra la pratica e la teoria sono tutto; il parallelismo più immediato lo si rinviene negli scacchi, passatempo disinteressato che «risveglia istinti bellicosi» [Hong Zicheng]. Negli scacchi si esemplifica la guerra di posizione, quella che vede Lucio Pozzi sempre in prima linea. Ora ardito, ora arroccato, deciso a sfruttare il fattore sorpresa. Ogni conquista è per lui una scoperta, il suo piano d’azione, la sua personalissima scacchiera è l’Inventory Game. Ma se negli scacchi la gerarchia dei pezzi va scemando dal re fino al fante, Pozzi è gli uni e gli altri, alfiere che si muove in diagonale, cavallo che traccia figure ad “L”, torre che si spinge sui cartesiani, pedone che avanza senza timore. Il percorso artistico ne rispecchia la ricerca: disinvolta e camaleontica. Basterebbe mettere in relazione i suoi repentini spostamenti con la macchia biomorfa o la linea a zig-zag usata nelle opere per essere subito seminati in fase di pedinamento. Nel celebre trattato di Sun-Tzu è scritto che “la guerra si basa sull’inganno”, Thomas Cleary così commenta il passo: «cercate di apparire diversi da ciò che siete, in modo da poter essere né capiti né previsti». Lezione che sembra innata in Pozzi, capace di dipingere opere tra l’astrattismo e il realismo con disarmante naturalezza, e (con il senno dei posteri) innegabile coerenza. Se nella vita è stato sottotenente di cavalleria, nell’arte è a tutt’oggi un impavido “generale” - da qui il compito di risalire al particolare. L’errore più imperdonabile in cui potrebbe incorrere sarebbe la celebrazione (ricordare Pirro! l’orgoglio portato in trionfo sancisce la propria disfatta), ma la modestia è pari all’impiego/impegno delle sue arti-glierie. Pozzi ha da sempre fomentato conflitti, del sistema, dell’anima, dell’artista-uomo, senza servirsi di strategie, tattiche o logistiche. La sua arte si è rivelata anno dopo anno un’impresa diuturna che non sconosce scoramento. [testo di Alberto Zanchetta]
LUCIO POZZI è nato a Milano nel 1935, si è poi trasferito a Roma e dal 1962, definitivamente, a New York, dove vive e lavora. Dal 1983 è membro della National Endowment for the Arts Visuale Artist Fellowship. Pozzi ha iniziato ad esporre in mostre collettive e personali dal 1961 nei più importanti musei e gallerie italiane ed internazionali. Nel 1977 ha partecipato a Documenta 6 di Kassel e nel 1980 alla 39° Biennale di Venezia nel Padiglione degli Stati Uniti. Le sue opere sono entrate a far parte delle collezioni dei più prestigiosi Musei d'Arte Contemporanea: il Museum of Modern e il Whitney Museum of American Art di New York; l'Art Museum of Contemporary Art di Chicago; il N.E.A. Archives, National Museum of American Art of Washington D.C; il Buenos Aires National Fine Arts Museum (Argentina); l'Art Gallery of Ontario di Toronto (Canada); in all'Australian National Gallery di Canberra (Australia); il Kunstmuseum di Basel (Svizzera); il Centro per l'Arte Contemporanea Luigi Pecci di Prato.
catalogo generale di prossima pubblicazion
la mostra è visibile fino al 29 aprile, dal martedì al sabato dalle ore 16.00 alle 19.00
«Le cose muoiono quando noi moriamo, e in verità moriamo tutti i giorni» [Paul Auster]. Nonostante le dottrine spirituali ammoniscano sull’ineluttabilità del destino dall’altra ci confortano con la promessa di una rinascita. Alla maniera in cui il fuoco trasforma in fuoco ciò che brucia, l’arte porta alla continua catarsi della realtà e così pure del suo fucinatore. Le opere di Albano Morandi paventano il distacco dal mondo con-dividendo la metafora delle cose e la definizione delle cose stesse. Esse rifiutano lo specifico quanto l’immediato, si fanno portatrici di quella che Walter Guadagnini ravvisa essere la certezza «dell’infinità del possibile nel mondo della creazione». Nell’imperante condizione del ready-made, l’atto del “recupero” sottende all’elisir di nuova, lunga vita; in tale processo di reversibilità – di ciò che non serve più ed è confinato nell’oblio – il divenire porta con sé sostanziali differenze (verrebbe da dire di carattere poetico) che scardinano l’oggetto ordinario. Si tratta di oggetti di basso profilo, a bon marché, inficiati con il collage, l’assemblaggio, il colore o la grafite. Morandi li chiama “Gesti quotidiani” poiché sono pervasi da una naturalezza del fare che accresce quella dell’essere. C’è poi l’ordine, di tipo geometrico, ottenuto con del nastro adesivo colorato, a tracciare bande regolari sulle superfici-supporti, bienséance dell’astrazione la cui autorità si è finalmente addolcita: meno intransigente verso l’assoluto, più incline al gioco. Le opere che si richiamano alla pittura si avvalgono di una patina “calda” come la cera, le opere che si rifanno alla scultura prediligono invece un materiale “freddo” quale il gesso, ma né le une né le altre si lasciano veramente incasellare nei generi, sconfinano di stile in stile, di accidente in accidente. Del resto sarebbe come voler rinchiudere una bestia in un serraglio, la contumacia le darà ragione su ogni altro guitto perché il fremito di vita e di libertà vince la paura della mortalità che tanto attanaglia il mondo occidentale. [testo di Alberto Zanchetta]
ALBANO MORANDI è nato a Salò (BS) nel 1958, vive e lavora a Puegnago del Garda. Dopo la maturità artistica, frequenta dal 1976 al 1980 l'Accademia di Belle Arti di Roma, ove consegue il diploma in scenografia. Nel 1981 fonda il Teatro dell'Evidenza con il quale mette in scena varie opere di contaminazione fra teatro, musica ed arti visive; tra le numerose collaborazioni vanno segnalate quelle con i jazzisti Tristan Honsinger e Gianluigi Trovasi, con i compositori Giancarlo Facchinetti e Francesco Pennisi ed il poeta Attilio Lolini. Dal 1981 espone in mostre personali e collettive in gallerie e musei (Roma, Milano, Bologna, Parma, L'Aja, Francoforte, Liegi, Parigi, Mannheim, Trnava, New York, Monaco, Los Angeles, S. Diego, Klatovy). Nel 1986 e nel 1996 è invitato alla Quadriennale di Roma. Tra i vari scritti dedicati alla sua opera vanno segnalate la monografia edita da Nuovi Strumenti nel 1992 e quella edita dalle edizioni Peccolo di Livorno nel 1998.
Come nel caso di un gioco, sia nell’arte che nella guerra la pratica e la teoria sono tutto; il parallelismo più immediato lo si rinviene negli scacchi, passatempo disinteressato che «risveglia istinti bellicosi» [Hong Zicheng]. Negli scacchi si esemplifica la guerra di posizione, quella che vede Lucio Pozzi sempre in prima linea. Ora ardito, ora arroccato, deciso a sfruttare il fattore sorpresa. Ogni conquista è per lui una scoperta, il suo piano d’azione, la sua personalissima scacchiera è l’Inventory Game. Ma se negli scacchi la gerarchia dei pezzi va scemando dal re fino al fante, Pozzi è gli uni e gli altri, alfiere che si muove in diagonale, cavallo che traccia figure ad “L”, torre che si spinge sui cartesiani, pedone che avanza senza timore. Il percorso artistico ne rispecchia la ricerca: disinvolta e camaleontica. Basterebbe mettere in relazione i suoi repentini spostamenti con la macchia biomorfa o la linea a zig-zag usata nelle opere per essere subito seminati in fase di pedinamento. Nel celebre trattato di Sun-Tzu è scritto che “la guerra si basa sull’inganno”, Thomas Cleary così commenta il passo: «cercate di apparire diversi da ciò che siete, in modo da poter essere né capiti né previsti». Lezione che sembra innata in Pozzi, capace di dipingere opere tra l’astrattismo e il realismo con disarmante naturalezza, e (con il senno dei posteri) innegabile coerenza. Se nella vita è stato sottotenente di cavalleria, nell’arte è a tutt’oggi un impavido “generale” - da qui il compito di risalire al particolare. L’errore più imperdonabile in cui potrebbe incorrere sarebbe la celebrazione (ricordare Pirro! l’orgoglio portato in trionfo sancisce la propria disfatta), ma la modestia è pari all’impiego/impegno delle sue arti-glierie. Pozzi ha da sempre fomentato conflitti, del sistema, dell’anima, dell’artista-uomo, senza servirsi di strategie, tattiche o logistiche. La sua arte si è rivelata anno dopo anno un’impresa diuturna che non sconosce scoramento. [testo di Alberto Zanchetta]
LUCIO POZZI è nato a Milano nel 1935, si è poi trasferito a Roma e dal 1962, definitivamente, a New York, dove vive e lavora. Dal 1983 è membro della National Endowment for the Arts Visuale Artist Fellowship. Pozzi ha iniziato ad esporre in mostre collettive e personali dal 1961 nei più importanti musei e gallerie italiane ed internazionali. Nel 1977 ha partecipato a Documenta 6 di Kassel e nel 1980 alla 39° Biennale di Venezia nel Padiglione degli Stati Uniti. Le sue opere sono entrate a far parte delle collezioni dei più prestigiosi Musei d'Arte Contemporanea: il Museum of Modern e il Whitney Museum of American Art di New York; l'Art Museum of Contemporary Art di Chicago; il N.E.A. Archives, National Museum of American Art of Washington D.C; il Buenos Aires National Fine Arts Museum (Argentina); l'Art Gallery of Ontario di Toronto (Canada); in all'Australian National Gallery di Canberra (Australia); il Kunstmuseum di Basel (Svizzera); il Centro per l'Arte Contemporanea Luigi Pecci di Prato.
01
aprile 2006
E pluribus unum
Dal primo al 29 aprile 2006
arte contemporanea
Location
BELLOFRESCO
Venezia, Calle Della Testa, 1, (Venezia)
Venezia, Calle Della Testa, 1, (Venezia)
Orario di apertura
dal martedì al sabato 16-19
Vernissage
1 Aprile 2006, ore 18.30
Autore
Curatore