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Filippo Del Vita – Foro preistorico
Ventitre fotografie, colori, trenta per trenta, ottenute con un foro stenopeico di legno usando pellicole Fuji, cento iso e realizzate tra Firenze, Torino, Cecina, Aosta e Buenos Aires.
Comunicato stampa
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Quando ero ancora uno studente, due anni fa, ci venne presentato un progetto della città di Firenze, di fotografare le sue zone periferiche. Ad ognuno di noi, venne affidata una zona, la mia era caratterizzata dall’ingresso del fiume Arno in città.
Arrivato sulla zona designatami, ai miei occhi si presentò una scena irreale per Firenze: poche abitazioni, nessun negozio, neanche un turista. Si trattava del classico lungo fiume dove passare qualche domenica primaverile, facendosi coccolare dai primi timidi raggi di sole.
Per giorni, ho vagato in quelle zone senza combinare niente, poche fotografie, nessuna idea, pensai allora che avrei potuto io cambiare qualcosa, creare un mondo tutto mio da quel niente che mi circondava. Osservando bene l’ambiente circostante, non vedevo più il lento scorrere del fiume, non più i canali di scolo dell’acqua, non più erbette e piccoli arbusti, al loro posto, magicamente, erano apparse pozze paludose e stagnanti, caverne scavate su gigantesche rocce cresciute in altezza in seguito ad immani terremoti dovuti allo spostamento di enormi placche sotterranee, enormi foreste formate da alberi di un mondo lontano e perduto. Non trovavo più rane che al mio passaggio schizzavano in acqua, non più formiche disposte su colonne e dedite al loro interminabile lavoro, non più lente lumache esposte alla continua minaccia di essere calpestate.
Focalizzando meglio gli ambienti, ero io, ora, a dovermi immobilizzare, affascinato ed impaurito dal lento passaggio di un immane Apatosauro che ad ogni suo passo provocava scosse telluriche, io, a nascondermi dietro una roccia, sperando di non essere visto da bizzarre creature dalla doppia bocca e, di conseguenza, dalla doppia ferocia, io a correre per sottrarmi all’agguato di un gruppo di strani carnivori apparsi improvvisamente dalla fitta vegetazione. Da allora, non ho più smesso di fuggire, ogni mio spostamento, per lavoro o per svago, è stato accompagnato da certi incontri ravvicinati.
Quasi tutti i personaggi usati, sono giocattoli sopravvissuti alla mia infanzia, e, non avendo fratelli, sono passati direttamente alla mia età adulta. Usandoli, più di una volta, ho avuto numerosi flashback, mi sono ricordato, infatti, di episodi divertenti e ormai lontani: i vecchi amici, le scampagnate con la famiglia, i pianti di quando dovevo smettere di giocare per andare a dormire, l’ora della merenda, l’attesa di Babbo Natale.
Mi ricordo che, quando leggevo sulla rigida plastica “made in Hong Kong” ero sollevato, immaginavo, allora, un paese lontano, dove si producevano solamente giocattoli, dove tutti i bambini erano felici e possedevano tanti balocchi, dove la fantasia senza confine era padrona delle regole…in poche parole il paese delle meraviglie; oggi quando leggo “made in China”, provo sensazioni completamente differenti.
La scelta del foro stenopeico, è motivata tecnicamente dalle sue innate caratteristiche di appiattimento della profondità di campo e dalla cancellazione di ogni regola prospettica, ciò ha permesso l’incremento dell’effetto magico e misterioso di ogni singola immagine, sassolini diventano rocce, ramoscelli si tramutano in colossali fusti, pozzanghere in laghetti, giocattoli di cinque centimetri in bestie di oltre sei metri di altezza.
Il mio concetto di foro può essere visto sotto vari aspetti, una toy camera, per la sua “non professionalità”, per l’assenza di un obiettivo o per la sua presunta semplicità di utilizzo, ma soprattutto come la preistoria della fotografia, divenendo così, il mezzo più adatto per un mondo così arcaico.
Filippo Del Vita
Arrivato sulla zona designatami, ai miei occhi si presentò una scena irreale per Firenze: poche abitazioni, nessun negozio, neanche un turista. Si trattava del classico lungo fiume dove passare qualche domenica primaverile, facendosi coccolare dai primi timidi raggi di sole.
Per giorni, ho vagato in quelle zone senza combinare niente, poche fotografie, nessuna idea, pensai allora che avrei potuto io cambiare qualcosa, creare un mondo tutto mio da quel niente che mi circondava. Osservando bene l’ambiente circostante, non vedevo più il lento scorrere del fiume, non più i canali di scolo dell’acqua, non più erbette e piccoli arbusti, al loro posto, magicamente, erano apparse pozze paludose e stagnanti, caverne scavate su gigantesche rocce cresciute in altezza in seguito ad immani terremoti dovuti allo spostamento di enormi placche sotterranee, enormi foreste formate da alberi di un mondo lontano e perduto. Non trovavo più rane che al mio passaggio schizzavano in acqua, non più formiche disposte su colonne e dedite al loro interminabile lavoro, non più lente lumache esposte alla continua minaccia di essere calpestate.
Focalizzando meglio gli ambienti, ero io, ora, a dovermi immobilizzare, affascinato ed impaurito dal lento passaggio di un immane Apatosauro che ad ogni suo passo provocava scosse telluriche, io, a nascondermi dietro una roccia, sperando di non essere visto da bizzarre creature dalla doppia bocca e, di conseguenza, dalla doppia ferocia, io a correre per sottrarmi all’agguato di un gruppo di strani carnivori apparsi improvvisamente dalla fitta vegetazione. Da allora, non ho più smesso di fuggire, ogni mio spostamento, per lavoro o per svago, è stato accompagnato da certi incontri ravvicinati.
Quasi tutti i personaggi usati, sono giocattoli sopravvissuti alla mia infanzia, e, non avendo fratelli, sono passati direttamente alla mia età adulta. Usandoli, più di una volta, ho avuto numerosi flashback, mi sono ricordato, infatti, di episodi divertenti e ormai lontani: i vecchi amici, le scampagnate con la famiglia, i pianti di quando dovevo smettere di giocare per andare a dormire, l’ora della merenda, l’attesa di Babbo Natale.
Mi ricordo che, quando leggevo sulla rigida plastica “made in Hong Kong” ero sollevato, immaginavo, allora, un paese lontano, dove si producevano solamente giocattoli, dove tutti i bambini erano felici e possedevano tanti balocchi, dove la fantasia senza confine era padrona delle regole…in poche parole il paese delle meraviglie; oggi quando leggo “made in China”, provo sensazioni completamente differenti.
La scelta del foro stenopeico, è motivata tecnicamente dalle sue innate caratteristiche di appiattimento della profondità di campo e dalla cancellazione di ogni regola prospettica, ciò ha permesso l’incremento dell’effetto magico e misterioso di ogni singola immagine, sassolini diventano rocce, ramoscelli si tramutano in colossali fusti, pozzanghere in laghetti, giocattoli di cinque centimetri in bestie di oltre sei metri di altezza.
Il mio concetto di foro può essere visto sotto vari aspetti, una toy camera, per la sua “non professionalità”, per l’assenza di un obiettivo o per la sua presunta semplicità di utilizzo, ma soprattutto come la preistoria della fotografia, divenendo così, il mezzo più adatto per un mondo così arcaico.
Filippo Del Vita
18
gennaio 2006
Filippo Del Vita – Foro preistorico
Dal 18 gennaio al 28 febbraio 2006
fotografia
Location
LIBRERIA AGORA’
Torino, Via Santa Croce, o/e, (Torino)
Torino, Via Santa Croce, o/e, (Torino)
Orario di apertura
martedì-sabato 9,30-19. Lunedì 15-19
Vernissage
18 Gennaio 2006, ore 18
Autore