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Cinque mostre a Satura
Sergio Cappetta, Domenico Fanciulli, Salvatore Fiandaca, Temistocle Mancini, Lucia Pasini
Comunicato stampa
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Con il Patrocinio di Provincia e Comune di Genova, s’inaugura, nella sede dell’Associazione Culturale Satura (Piazza Stella 5/1), Sabato 12 novembre 2005 alle ore 17.00, la mostra personale di Domenico Fanciulli < Particolari per un pretesto >. A cura di Germano Beringheli.
Non credo, come alcuni studiosi altrimenti affermano, che l’approccio al corpo umano, sia stato, per anni, il maggior rimosso della nostra cultura e che esso avrebbe contrapposto allo spirito l’intera fenomenologia esistenziale.
Al contrario lo studio del corpo umano ha interessato – almeno nell’universo dell’arte e dalla classicità, attraverso il Medioevo, il Rinascimento e sino al Neoclassicismo – il vasto tema delle “proporzioni” per ricavarne la misura, ovvero l’armonica compiutezza della visione in relazione agli effetti delle luci e delle ombre.
Corpo lucido, corpo ombroso, corpo diafano sono qualità rilevate dall’impatto o meno con la luce e fu Leonardo a fornirci precise soluzioni dei problemi pertinenti i corpi visibili delle cose in genere.
Del resto, per comprendere meglio la successiva contemporaneità, possiamo osservare i corpi dipinti dai Simbolisti, quelli plasmati da Maillol e, poi, quelli audaci di Pascin o Permeke e, con l’Espressionismo, gli esoterici di Klimt, gli angosciosi e erotici di Munch e Schiele e quelli eccitati di Kokoschka.
E’ facile accorgersi, dagli esiti, delle nuove e differenti zone di sensibilità cui pervennero quegli artisti, intuendo umori attingibili, ulteriormente, alle precedenti acquisizioni di significato, sul e del corpo, dell’Illuminismo e al protagonismo, successivo, dei processi psicologici freudiani e post freudiani.
Per tanto il significato del corpo scorre dall’occhio dell’artista al pensiero pensato attorno al corpo, tra la naturalezza strutturale delle sue forme e la cattura dello sguardo che impone ai sensi la bellezza percepita.
Col Romanticismo, facendo dell’uomo il centro del mondo intuitivo e rappresentativo e iniziando a considerarne l’immagine con razionale organicità, l’artista avviò una storia di affioramenti sensibili che fondarono lo sforzo conoscitivo sulla scoperta di quelle figure di natura che Berenson indicò “dirette alla comprensione delle problematiche estetiche”, ovvero alle sottigliezze del particolare sensibile.
Pertanto – tralasciando di proposito le supposizioni di Freud e rileggendo, semmai, quelle del Cassirer – se i valori estetici e le ragioni critiche dei moderni suscitarono inediti effetti creativi, il discorso articolato e complesso sul corpo umano lo dobbiamo alla discussione centrata sulle differenze, rinascimentali, tra ritrarre e imitare e al nuovo significato simbolico di pensiero e di stile che sigillò, dopo e per cento anni tra Simbolismo e Nuovo realismo, la sensibilità del segno laddove esso ci consente di capire l’arte come idea di reificazione.
A dimostrazione che il più alto valore concettuale non è soltanto quello autoreferenziale dell’arte che investiga, con le proprie ragioni di essere, le esperienze mentali bensì quello tipico del significato simbolico.
Del resto Gillo Dorfles, che dell’arte concettuale è stato uno dei maggiori teorici, insistette, con forza, già nei primi anni ’60 del Novecento, sul valore “comunicativo” del simbolo.
I corpi o i nudi di Domenico Fanciulli - pittore capace davvero di trasmettere, con i suoi dipinti, quello che potrebbe essere un nuovo principio di realtà, attraverso una sorta di personalissimo ethos estetico – spezzano, pertanto, la catena delle conseguenze che Habermas aveva constatato peculiari della società industrialmente avanzata.
Per essi, ingranditi e frazionati nei particolari, si rivà alla forma, che lo sguardo determina, con gli Impressionisti, come pretesto, per riportare al senso originario, ai primi dati antropologici e, quindi, all’antropomorfismo (per quella sua parte che può interessare i rapporti che intercorrono tra forme artistiche e corpo umano), all’essenza umorale e a quella verticalità espressiva che consegna a chi guarda non una identità bensì una presenza.
Se leggiamo la composizione dei quadri di Fanciulli in maniera analitica, ci avvediamo di come il segno del disegno si faccia contorno macroscopico e calcato, denso, pastoso, compatto, persino aggettato in una sorta di plasticità che sbalordisce per essere quasi, più che della pittura, della scultura.
Una scultura, si potesse tentare di definirla traendola dai quadri di Fanciulli, bidimensionale.
Deve osservare, perciò, chi guarda, come, se e perché nasca, nei disegni di Fanciulli, la supposta e inedita plasticità; se essa sia o no ricavabile da quella specie di vero meccanico prodotto dalla tecnologia, da una immagine fotografata e, quindi, forzatamente tributaria dell’a-plat di Manet, ossia, nel suo caso, di una figura tratta da uno scatto fotografico e elaborata, con ulteriori passaggi, al computer.
Potremmo persino azzardarla intenzionalmente tale, forzatamente piatta, sì da consentire la maggior comprensione di quella decostruzione, intuita e filosoficamente enunciata da Jacques Derrida, dalla quale si percepisce il completo intendimento delle mutevoli eventualità significanti di un testo, sottoposto che sia allo spostamento dello sguardo per variabili punti di vista.
I corpi di Fanciulli non occupano, perciò, realisticamente, un luogo, né segnalano al senso, tramite lo sguardo, un esemplare di persona o un modello e nemmeno corrispondono a una ipotetica predisposizione accademica o ideale della sua assunzione realistica.
Mettono in luce, piuttosto, l’acutezza dell’osservazione, l’ingegnosità della concezione e la sottigliezza dell’esecuzione.
Detto in sintesi, essi sono, semplicemente e straordinariamente, pittura.
Spesso monocroma ma mai povera di colori; anzi, se di Lucian Freud qualcuno ha scritto, in maniera efficace, che egli ha dipinto La migliore carne del contemporaneo, della pittura di Fanciulli si può affermare, con Heidegger, che essa interpreta, nel tempo di una globalizzazione che azzera le differenze, l’umanità dell’uomo umano.
Nel segno, perciò, di una fenomenologia esistenziale nella quale l’uomo ritrova, con la propria esistenza metafisica, la misura, il senso, del proprio corpo, della sua carne, delle pieghe che, nel tempo, lo fanno e lo disfano.
Ci si avvede, insomma, che i corpi nudi di Fanciulli non sono, come i caprioli di Marc, elementi di un aneddoto o protagonisti di un genere.
La sua è, piuttosto, pittura come esito di stile; lontana, certo, da ogni forma di pedissequa interpretazione della realtà, nella consapevolezza che la realtà non coincide con l’apparenza.
Con il Patrocinio di Provincia e Comune di Genova, s’inaugura, nella sede dell’Associazione Culturale Satura (Piazza Stella 5/1), Sabato 12 novembre 2005 alle ore 17.00, la mostra personale di Salvatore Fiandaca. A cura di Mario Pepe.
La base di partenza delle opere di Salvatore Fiandaca è la tela del quadro come elemento strutturale, che da supporto passivo può assumere forma e colore e quindi ruolo primario di interprete autonomo. Ma l’operazione concettuale è soltanto sfiorata poichè la tela di Salvatore si contorce, avvolge il quadro nelle sue spire, si raggrinza e si proietta verso l’esterno, diventando una sorta di reticolato metafora della condizione umana. La matrice “povera” realizzata attraverso l'uso di materiali di scarto ha l’intento di riproporre con semplicità il processo creativo, che è fortemente incentrato sull'esperienza personale dell'artista e tende a coinvolgere emotivamente lo spettatore. La brutale percezione psico-fisiologica che irrompe dalla preminenza dei reticoli che straripano dalla cornice del quadro e dai suoi confini, nega la reciprocità tra l’immagine e l’oggetto, per diventare veicolo di significati profondi. Le fasce nere e rosso sporco che soffocano la percezione “interna” dell’installazione si strutturano come gabbie di impenetrabilità, mentre la comunicazione con l’esterno può avvenire soltanto attraverso piccoli fori di clausura. La continuità della tela non sempre è mantenuta: in alcune opere è smembrata e sembra galleggiare su un terreno desertificato dalla siccità, in altre si apre improvvisamente creando finestre già reticolate. L’uso del colore è funzionale all’intera operazione di ingabbiamento e stritolamento dello spazio del quadro: il nero steso sulle superfici corrugate nega se stesso riflettendo i colori dell’ambiente, mentre i rossi e gli azzurri ingenuamente Pop vengono proposti nella loro immediatezza sensoriale. L’apparizione di qualche messaggio scritto vale soltanto per sottolineare la superficialità della comunicazione interpersonale, mentre la maschera da proiettare su gli altri in difesa della propria identità, si ritira raggrumandosi in uno sferoide biancastro di materia umana significativamente privo di occhi.
Le opere di Salvatore Fiandaca aggrediscono brutalmente ogni nostro tentativo di volerle considerare con distacco.
Con il Patrocinio di Provincia e Comune di Genova, s’inaugura, nella sede dell’Associazione Culturale Satura (Piazza Stella 5/1), Sabato 12 novembre 2005 alle ore 17.00, la mostra personale di Sergio Cappetta < L’oscura novità >. Testo di Franco Pesci.
Andava stretto al pittore l’ordine preventivo dell’immagine, il codice essenziale pittura-pittura. Doveva pur sconfinare, andare dove si muovono le sculture, da dove si vedono gli skyline, sopra le “tecchie” delle cave di marmo, come fossero il tetto del mondo, dove si accumulano i container, come elefanti fermi al guado della produzione o le periferie, incombenti come quelli di Sironi, o l’alba, dorata e infiammata come quella di Bagdad o dentro il frutto del melograno a cercare costellazioni di fori nelle galassie degli altri.
E’ questione di disegno interno, nel lavoro recente di Sergio Cappetta: per l’artista si tratta di scavare entro il valore costitutivo dell’immagine, che agisce sul punto di contaminazione tra due poli, quello pittorico e quello scultoreo, di un unico ideare e fare. La pitura apre alle terre native, le terre dorate, le terre nere e solcate, la luce dell’oro, e la luminosità del nero: è un intersecarsi di rimandi a certe profondità della pittura, agli spessori della materia, all’analitico scavo dell’artista, al lento comprendere dell’uomo.
Quelle architetture di plexiglas potrebbero essere pennellate: occorre creare il connubio della pennellata con lo spazio della pittura, quel tipo di traccia teso a scomporre e dare una cadenza specialmente sculturea. Il pittore lavora alla materia dell’immagine, alle materie plastiche, cerca la mobilità della scultura e la plasticità dell’architettura. Ritagliare lo spazio, ritagliare la materia è un tutt’uno. Si ripensano le forme oggi, conoscendo quelle di ieri, l’artista costruisce con materie nuove, cerca il rigore dello stile.
Sergio Cappetta stende un odore aspro, denso, per colpi forti che si avvincono l’un con l’altro in una specie di spirale fluida, per cui origina una dinamizzazione o, meglio, una drammatizzazione della struttura pittorica che è in simmetria con l’accelerarsi dell’azione pittorica stessa.
Dimmi in quale parte del mondo sei…
Così Cappetta, oggi.
Con il Patrocinio di Provincia e Comune di Genova, s’inaugura, nella sede dell’Associazione Culturale Satura (Piazza Stella 5/1), Sabato 12 novembre 2005 alle ore 17.00, la mostra personale di Temistocle Mancini. Testo di Alessandro Mendini.
Mi piace introdurre questa mia esposizione rifacendomi alle parole di Baltus, pittore che amo molto, quando, in occasione di una sua mostra a Londra, scrisse nella presentazione: “…Baltus è un artista di cui non si conosce nulla. Ora guardiamo le sue opere”.
In effetti l’opera d’arte ha una sua vita autonoma, che riesce tanto più ad esprimersi quanto più attrae la sensibilità di chi la guarda. Pertanto non è importante, se non per pura curiosità, conoscere la biografia dell’autore: questo non ci avvicinerà all’opera, se l’opera stessa non possiede quell’arcana capacità di “dialogare” con l’osservatore.
Sono un architetto genovese e, seppure la scultura è il mio interesse fondamentale, mi sono occupato anche di design, e mi piace immaginare, progettare spazi della mia città, inserendo le mie sculture e cercando un’integrazione tra architettura, scultura e design. Per questo espongo anche una scultura, “da crisalide a farfalla”, che è inserita nel mio progetto per via D. Fiasella, nato sotto l’egida dell’Unicef, per la realizzazione di una “strada amica dei bambini”, ed alcune immagini di un monumento per Piazza Caricamento.
Il mio percorso artistico si è evoluto al di là delle varie mode o correnti, attraverso una ricerca personale che consiste nel cogliere quelle immagini che provengono da una dimensione profonda, (una sorte d’inconscio collettivo dove si manifestano le tensioni, le speranze e la poesia di un certo momento storico) e trasporle in materia, dare loro “vita”. In realtà io credo che l’artista non sia altro che uno “strumento” nelle mani di questa forza inconscia, che attraverso lui si manifesta in immagini, musica, poesia, per esprimere il “senso” di un determinato momento della realtà, della nostra “storia”.
Lascio quindi lo spettatore di fronte a queste creazioni, senza fornire alcuna mia interpretazione, che sarebbe del tutto personale, augurandomi che esse possano coinvolgerlo e generare in Lui un’autentica emozione estetica.
Aggiungo solo una piccola nota critica di Alessandro Mendini, che così interpreta il mio lavoro “…Mi piace molto questo suo approccio al lavoro completamente antropologico, cioè globalmente coinvolgente la condizione umana. La sua scultura, nella quale si possono evidenziare aspetti a volte surreali o concettuali, a volte umoristici, e altre volte metafisici, quasi alla Savinio o alla De Chirico, mi trasmette un alto grado di poesia.”
Con il Patrocinio di Provincia e Comune di Genova, s’inaugura, nella sede dell’Associazione Culturale Satura (Piazza Stella 5/1), Sabato 12 novembre 2005 alle ore 17.00, la mostra personale di Lucia Pasini. A cura di Germano Beringheli.
l'Astrattismo, nelle sue varie forme, compie in sostanza un'opera di emancipazione dalla realtà naturalistica, mutevole e fenomenica, per arrivare in modo diretto a rapportarsi con realtà più complesse come quelle interiori all’individuo o quelle della comunicazione interpersonale. La ricerca di Lucia Pasini, che in questi ultimi anni sembra essersi congedata dai temi suggeriti dalla natura, è rivolta alla rappresentazione immediata di profonde sensazioni interiori che non hanno nè immagine nè contorni definibili. Da questo punto di vista la scelta dell’astrattismo diventa una necessità: la pittura di Lucia si avvicina all'Espressionismo astratto di Rothko, anche se le dimensioni più ridotte delle sue tele spostano l’equilibrio dall’invadenza espressionista verso una più meditata comunicazione intimista. Ma mentre Rothko sceglie di lavorare per tonalità cromatiche sovrapposte, eliminando i contrasti di colore e procedendo per successive velature sottilmente modulate, Lucia Pasini opera nette stesure materico-tattili con tecniche miste acrilico e olio su grumi di cera o di gessi, ottenendo in questo modo strutture plastiche semplificate. Dalla rielaborazione di forme naturali come i corpi umani, percepiti esclusivamente come dicotomia vuoto-pieno, nascono queste sorprendenti immagini spaziali, mediante decostruzione dei segni figurativi e conseguente liberazione di elementi di essenzialità, che diventano i parametri visivi di sostegno alla costruzione ex-novo dell’immagine. L’architettura pittorica definita dalla luce e dai piani di colore è scandita da una struttura semplice, priva di segni superflui. La preponderanza di rossi su sfondi scuri abissali provoca stati d’animo di grande equilibrio appena turbato da improvvise ferite di bianco accecante che verticalizzano lo spazio. La pittura di Lucia Pasini diventa così libera costruzione di forme che inducono l’immaginazione percettiva alla contemplazione di paesaggi interiori puramente emozionali.
Non credo, come alcuni studiosi altrimenti affermano, che l’approccio al corpo umano, sia stato, per anni, il maggior rimosso della nostra cultura e che esso avrebbe contrapposto allo spirito l’intera fenomenologia esistenziale.
Al contrario lo studio del corpo umano ha interessato – almeno nell’universo dell’arte e dalla classicità, attraverso il Medioevo, il Rinascimento e sino al Neoclassicismo – il vasto tema delle “proporzioni” per ricavarne la misura, ovvero l’armonica compiutezza della visione in relazione agli effetti delle luci e delle ombre.
Corpo lucido, corpo ombroso, corpo diafano sono qualità rilevate dall’impatto o meno con la luce e fu Leonardo a fornirci precise soluzioni dei problemi pertinenti i corpi visibili delle cose in genere.
Del resto, per comprendere meglio la successiva contemporaneità, possiamo osservare i corpi dipinti dai Simbolisti, quelli plasmati da Maillol e, poi, quelli audaci di Pascin o Permeke e, con l’Espressionismo, gli esoterici di Klimt, gli angosciosi e erotici di Munch e Schiele e quelli eccitati di Kokoschka.
E’ facile accorgersi, dagli esiti, delle nuove e differenti zone di sensibilità cui pervennero quegli artisti, intuendo umori attingibili, ulteriormente, alle precedenti acquisizioni di significato, sul e del corpo, dell’Illuminismo e al protagonismo, successivo, dei processi psicologici freudiani e post freudiani.
Per tanto il significato del corpo scorre dall’occhio dell’artista al pensiero pensato attorno al corpo, tra la naturalezza strutturale delle sue forme e la cattura dello sguardo che impone ai sensi la bellezza percepita.
Col Romanticismo, facendo dell’uomo il centro del mondo intuitivo e rappresentativo e iniziando a considerarne l’immagine con razionale organicità, l’artista avviò una storia di affioramenti sensibili che fondarono lo sforzo conoscitivo sulla scoperta di quelle figure di natura che Berenson indicò “dirette alla comprensione delle problematiche estetiche”, ovvero alle sottigliezze del particolare sensibile.
Pertanto – tralasciando di proposito le supposizioni di Freud e rileggendo, semmai, quelle del Cassirer – se i valori estetici e le ragioni critiche dei moderni suscitarono inediti effetti creativi, il discorso articolato e complesso sul corpo umano lo dobbiamo alla discussione centrata sulle differenze, rinascimentali, tra ritrarre e imitare e al nuovo significato simbolico di pensiero e di stile che sigillò, dopo e per cento anni tra Simbolismo e Nuovo realismo, la sensibilità del segno laddove esso ci consente di capire l’arte come idea di reificazione.
A dimostrazione che il più alto valore concettuale non è soltanto quello autoreferenziale dell’arte che investiga, con le proprie ragioni di essere, le esperienze mentali bensì quello tipico del significato simbolico.
Del resto Gillo Dorfles, che dell’arte concettuale è stato uno dei maggiori teorici, insistette, con forza, già nei primi anni ’60 del Novecento, sul valore “comunicativo” del simbolo.
I corpi o i nudi di Domenico Fanciulli - pittore capace davvero di trasmettere, con i suoi dipinti, quello che potrebbe essere un nuovo principio di realtà, attraverso una sorta di personalissimo ethos estetico – spezzano, pertanto, la catena delle conseguenze che Habermas aveva constatato peculiari della società industrialmente avanzata.
Per essi, ingranditi e frazionati nei particolari, si rivà alla forma, che lo sguardo determina, con gli Impressionisti, come pretesto, per riportare al senso originario, ai primi dati antropologici e, quindi, all’antropomorfismo (per quella sua parte che può interessare i rapporti che intercorrono tra forme artistiche e corpo umano), all’essenza umorale e a quella verticalità espressiva che consegna a chi guarda non una identità bensì una presenza.
Se leggiamo la composizione dei quadri di Fanciulli in maniera analitica, ci avvediamo di come il segno del disegno si faccia contorno macroscopico e calcato, denso, pastoso, compatto, persino aggettato in una sorta di plasticità che sbalordisce per essere quasi, più che della pittura, della scultura.
Una scultura, si potesse tentare di definirla traendola dai quadri di Fanciulli, bidimensionale.
Deve osservare, perciò, chi guarda, come, se e perché nasca, nei disegni di Fanciulli, la supposta e inedita plasticità; se essa sia o no ricavabile da quella specie di vero meccanico prodotto dalla tecnologia, da una immagine fotografata e, quindi, forzatamente tributaria dell’a-plat di Manet, ossia, nel suo caso, di una figura tratta da uno scatto fotografico e elaborata, con ulteriori passaggi, al computer.
Potremmo persino azzardarla intenzionalmente tale, forzatamente piatta, sì da consentire la maggior comprensione di quella decostruzione, intuita e filosoficamente enunciata da Jacques Derrida, dalla quale si percepisce il completo intendimento delle mutevoli eventualità significanti di un testo, sottoposto che sia allo spostamento dello sguardo per variabili punti di vista.
I corpi di Fanciulli non occupano, perciò, realisticamente, un luogo, né segnalano al senso, tramite lo sguardo, un esemplare di persona o un modello e nemmeno corrispondono a una ipotetica predisposizione accademica o ideale della sua assunzione realistica.
Mettono in luce, piuttosto, l’acutezza dell’osservazione, l’ingegnosità della concezione e la sottigliezza dell’esecuzione.
Detto in sintesi, essi sono, semplicemente e straordinariamente, pittura.
Spesso monocroma ma mai povera di colori; anzi, se di Lucian Freud qualcuno ha scritto, in maniera efficace, che egli ha dipinto La migliore carne del contemporaneo, della pittura di Fanciulli si può affermare, con Heidegger, che essa interpreta, nel tempo di una globalizzazione che azzera le differenze, l’umanità dell’uomo umano.
Nel segno, perciò, di una fenomenologia esistenziale nella quale l’uomo ritrova, con la propria esistenza metafisica, la misura, il senso, del proprio corpo, della sua carne, delle pieghe che, nel tempo, lo fanno e lo disfano.
Ci si avvede, insomma, che i corpi nudi di Fanciulli non sono, come i caprioli di Marc, elementi di un aneddoto o protagonisti di un genere.
La sua è, piuttosto, pittura come esito di stile; lontana, certo, da ogni forma di pedissequa interpretazione della realtà, nella consapevolezza che la realtà non coincide con l’apparenza.
Con il Patrocinio di Provincia e Comune di Genova, s’inaugura, nella sede dell’Associazione Culturale Satura (Piazza Stella 5/1), Sabato 12 novembre 2005 alle ore 17.00, la mostra personale di Salvatore Fiandaca. A cura di Mario Pepe.
La base di partenza delle opere di Salvatore Fiandaca è la tela del quadro come elemento strutturale, che da supporto passivo può assumere forma e colore e quindi ruolo primario di interprete autonomo. Ma l’operazione concettuale è soltanto sfiorata poichè la tela di Salvatore si contorce, avvolge il quadro nelle sue spire, si raggrinza e si proietta verso l’esterno, diventando una sorta di reticolato metafora della condizione umana. La matrice “povera” realizzata attraverso l'uso di materiali di scarto ha l’intento di riproporre con semplicità il processo creativo, che è fortemente incentrato sull'esperienza personale dell'artista e tende a coinvolgere emotivamente lo spettatore. La brutale percezione psico-fisiologica che irrompe dalla preminenza dei reticoli che straripano dalla cornice del quadro e dai suoi confini, nega la reciprocità tra l’immagine e l’oggetto, per diventare veicolo di significati profondi. Le fasce nere e rosso sporco che soffocano la percezione “interna” dell’installazione si strutturano come gabbie di impenetrabilità, mentre la comunicazione con l’esterno può avvenire soltanto attraverso piccoli fori di clausura. La continuità della tela non sempre è mantenuta: in alcune opere è smembrata e sembra galleggiare su un terreno desertificato dalla siccità, in altre si apre improvvisamente creando finestre già reticolate. L’uso del colore è funzionale all’intera operazione di ingabbiamento e stritolamento dello spazio del quadro: il nero steso sulle superfici corrugate nega se stesso riflettendo i colori dell’ambiente, mentre i rossi e gli azzurri ingenuamente Pop vengono proposti nella loro immediatezza sensoriale. L’apparizione di qualche messaggio scritto vale soltanto per sottolineare la superficialità della comunicazione interpersonale, mentre la maschera da proiettare su gli altri in difesa della propria identità, si ritira raggrumandosi in uno sferoide biancastro di materia umana significativamente privo di occhi.
Le opere di Salvatore Fiandaca aggrediscono brutalmente ogni nostro tentativo di volerle considerare con distacco.
Con il Patrocinio di Provincia e Comune di Genova, s’inaugura, nella sede dell’Associazione Culturale Satura (Piazza Stella 5/1), Sabato 12 novembre 2005 alle ore 17.00, la mostra personale di Sergio Cappetta < L’oscura novità >. Testo di Franco Pesci.
Andava stretto al pittore l’ordine preventivo dell’immagine, il codice essenziale pittura-pittura. Doveva pur sconfinare, andare dove si muovono le sculture, da dove si vedono gli skyline, sopra le “tecchie” delle cave di marmo, come fossero il tetto del mondo, dove si accumulano i container, come elefanti fermi al guado della produzione o le periferie, incombenti come quelli di Sironi, o l’alba, dorata e infiammata come quella di Bagdad o dentro il frutto del melograno a cercare costellazioni di fori nelle galassie degli altri.
E’ questione di disegno interno, nel lavoro recente di Sergio Cappetta: per l’artista si tratta di scavare entro il valore costitutivo dell’immagine, che agisce sul punto di contaminazione tra due poli, quello pittorico e quello scultoreo, di un unico ideare e fare. La pitura apre alle terre native, le terre dorate, le terre nere e solcate, la luce dell’oro, e la luminosità del nero: è un intersecarsi di rimandi a certe profondità della pittura, agli spessori della materia, all’analitico scavo dell’artista, al lento comprendere dell’uomo.
Quelle architetture di plexiglas potrebbero essere pennellate: occorre creare il connubio della pennellata con lo spazio della pittura, quel tipo di traccia teso a scomporre e dare una cadenza specialmente sculturea. Il pittore lavora alla materia dell’immagine, alle materie plastiche, cerca la mobilità della scultura e la plasticità dell’architettura. Ritagliare lo spazio, ritagliare la materia è un tutt’uno. Si ripensano le forme oggi, conoscendo quelle di ieri, l’artista costruisce con materie nuove, cerca il rigore dello stile.
Sergio Cappetta stende un odore aspro, denso, per colpi forti che si avvincono l’un con l’altro in una specie di spirale fluida, per cui origina una dinamizzazione o, meglio, una drammatizzazione della struttura pittorica che è in simmetria con l’accelerarsi dell’azione pittorica stessa.
Dimmi in quale parte del mondo sei…
Così Cappetta, oggi.
Con il Patrocinio di Provincia e Comune di Genova, s’inaugura, nella sede dell’Associazione Culturale Satura (Piazza Stella 5/1), Sabato 12 novembre 2005 alle ore 17.00, la mostra personale di Temistocle Mancini. Testo di Alessandro Mendini.
Mi piace introdurre questa mia esposizione rifacendomi alle parole di Baltus, pittore che amo molto, quando, in occasione di una sua mostra a Londra, scrisse nella presentazione: “…Baltus è un artista di cui non si conosce nulla. Ora guardiamo le sue opere”.
In effetti l’opera d’arte ha una sua vita autonoma, che riesce tanto più ad esprimersi quanto più attrae la sensibilità di chi la guarda. Pertanto non è importante, se non per pura curiosità, conoscere la biografia dell’autore: questo non ci avvicinerà all’opera, se l’opera stessa non possiede quell’arcana capacità di “dialogare” con l’osservatore.
Sono un architetto genovese e, seppure la scultura è il mio interesse fondamentale, mi sono occupato anche di design, e mi piace immaginare, progettare spazi della mia città, inserendo le mie sculture e cercando un’integrazione tra architettura, scultura e design. Per questo espongo anche una scultura, “da crisalide a farfalla”, che è inserita nel mio progetto per via D. Fiasella, nato sotto l’egida dell’Unicef, per la realizzazione di una “strada amica dei bambini”, ed alcune immagini di un monumento per Piazza Caricamento.
Il mio percorso artistico si è evoluto al di là delle varie mode o correnti, attraverso una ricerca personale che consiste nel cogliere quelle immagini che provengono da una dimensione profonda, (una sorte d’inconscio collettivo dove si manifestano le tensioni, le speranze e la poesia di un certo momento storico) e trasporle in materia, dare loro “vita”. In realtà io credo che l’artista non sia altro che uno “strumento” nelle mani di questa forza inconscia, che attraverso lui si manifesta in immagini, musica, poesia, per esprimere il “senso” di un determinato momento della realtà, della nostra “storia”.
Lascio quindi lo spettatore di fronte a queste creazioni, senza fornire alcuna mia interpretazione, che sarebbe del tutto personale, augurandomi che esse possano coinvolgerlo e generare in Lui un’autentica emozione estetica.
Aggiungo solo una piccola nota critica di Alessandro Mendini, che così interpreta il mio lavoro “…Mi piace molto questo suo approccio al lavoro completamente antropologico, cioè globalmente coinvolgente la condizione umana. La sua scultura, nella quale si possono evidenziare aspetti a volte surreali o concettuali, a volte umoristici, e altre volte metafisici, quasi alla Savinio o alla De Chirico, mi trasmette un alto grado di poesia.”
Con il Patrocinio di Provincia e Comune di Genova, s’inaugura, nella sede dell’Associazione Culturale Satura (Piazza Stella 5/1), Sabato 12 novembre 2005 alle ore 17.00, la mostra personale di Lucia Pasini. A cura di Germano Beringheli.
l'Astrattismo, nelle sue varie forme, compie in sostanza un'opera di emancipazione dalla realtà naturalistica, mutevole e fenomenica, per arrivare in modo diretto a rapportarsi con realtà più complesse come quelle interiori all’individuo o quelle della comunicazione interpersonale. La ricerca di Lucia Pasini, che in questi ultimi anni sembra essersi congedata dai temi suggeriti dalla natura, è rivolta alla rappresentazione immediata di profonde sensazioni interiori che non hanno nè immagine nè contorni definibili. Da questo punto di vista la scelta dell’astrattismo diventa una necessità: la pittura di Lucia si avvicina all'Espressionismo astratto di Rothko, anche se le dimensioni più ridotte delle sue tele spostano l’equilibrio dall’invadenza espressionista verso una più meditata comunicazione intimista. Ma mentre Rothko sceglie di lavorare per tonalità cromatiche sovrapposte, eliminando i contrasti di colore e procedendo per successive velature sottilmente modulate, Lucia Pasini opera nette stesure materico-tattili con tecniche miste acrilico e olio su grumi di cera o di gessi, ottenendo in questo modo strutture plastiche semplificate. Dalla rielaborazione di forme naturali come i corpi umani, percepiti esclusivamente come dicotomia vuoto-pieno, nascono queste sorprendenti immagini spaziali, mediante decostruzione dei segni figurativi e conseguente liberazione di elementi di essenzialità, che diventano i parametri visivi di sostegno alla costruzione ex-novo dell’immagine. L’architettura pittorica definita dalla luce e dai piani di colore è scandita da una struttura semplice, priva di segni superflui. La preponderanza di rossi su sfondi scuri abissali provoca stati d’animo di grande equilibrio appena turbato da improvvise ferite di bianco accecante che verticalizzano lo spazio. La pittura di Lucia Pasini diventa così libera costruzione di forme che inducono l’immaginazione percettiva alla contemplazione di paesaggi interiori puramente emozionali.
12
novembre 2005
Cinque mostre a Satura
Dal 12 al 30 novembre 2005
arte contemporanea
Location
SATURA – PALAZZO STELLA
Genova, Piazza Stella, 5/1, (Genova)
Genova, Piazza Stella, 5/1, (Genova)
Orario di apertura
dal martedì al sabato 16.30-19. Chiuso lunedì e festivi
Vernissage
12 Novembre 2005, ore 17
Autore
Curatore