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Patricia Carmo Baltazar Correa / Isabela Stampanoni – More Brazil
Non una mostra che racconta la meravigliosa terra di origine di entrambe le artiste protagoniste, More Brazil. Tutt’altro: ad essere rappresentati con vibrante dimistichezza sono, attraverso le due ragazze brasiliane, l’adattamento esistenziale all’Italia e l’osservazione di alcuni suoi elementi autentici. Con, in primissimo piano, il tema del lavoro
Comunicato stampa
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Non una mostra che racconta la meravigliosa terra di origine di entrambe le artiste protagoniste, More Brazil. Tutt’altro: ad essere rappresentati con vibrante dimistichezza sono, attraverso le due ragazze brasiliane, l’adattamento esistenziale all’Italia e l’osservazione di alcuni suoi elementi autentici. Con, in primissimo piano, il tema del lavoro.
Ecco, allora, il nostro Brasile: il Brasile attuale. Perché il legame viscerale col proprio paese va colto in chiave metaforica, laddove si voglia restituire alla parola metafora il significato di trasporto (anzi, di mutazione) che le appartiene etimologicamente. Per non parlare, poi, di quell’altra parola, la parola lavoro, che ha anch’essa a che fare col tema del viaggio e dell’erranza dolorosa e necessitata. Come non ricordare qui che il termine inglese travel è affine al francese travail e all’italiano travaglio? – e, appunto, al portoghese trabalho?
Isabela Stampanoni crea un percorso di 26 tavole dentro cui riassumere un passaggio in Italia. Quanto sia esso transitorio non è dato sapere. Tutto parte da una sorta di missione quale Capsula del Submarino, associazione culturale che nel 2002 l’ha inviata in Europa con l’incarico di comporre un diario di viaggio. Ne scaturisce un resoconto di acrilici su tavola colmo di dettagli tra cui lo spazio occupato, la casa abitata, il tempo trascorso, i vari mestieri svolti, attività dissimili e altalenanti. La serie dei bambolotti è un altro lavoro di culto profano. Il feticcio è di nuovo un oggetto metaforico che sposta i confini del gioco verso quelli dell’affettività. Sociologicamente non è la storia di un società utopica e tanto meno sognata. E’ il racconto di un momento quasi intimo con un’attenzione speciale per le relazioni, per le esperienze di assenza che spingono ad altre presenze, per il tempo che esige come sempre di dare priorità ad alcune cose rispetto ad altre. Isabela ci lascia sondare le pieghe della difficoltà a trovare lavoro e conservarlo soprattutto in tempi come questi, in cui il santo universale a cui votarsi è… San Precario.
Per Patricia Carmo Baltazar Correa il lavoro è fatto, concretamente, di materia, di umori, di residui deposti concretamente su una tela che diventa spazio antropometrico. Una tela che non ha la forma quadrangolare che si è soliti immaginare, ma quella di un grembiule di cotone bianco (uno zinàle) da sospendere e affiancare, in sequenza, ad altri grembiuli, ognuno dei quali è stato a disposizione di mani consapevoli – per una settimana – che hanno avuto il tempo di viverlo e intaccarlo, per poi restituirlo all’artista perché potesse esporlo. I grembiuli smanacciati da artigiani di professioni differenti mostrano usure dissimili, e nel rivelarne i gesti quotidiani quasi spogliano fisicamente chi li ha indossati. Così, ogni mestiere assume una specifica identità, antropomorfa e astratta al tempo stesso: consonanze e accordi legano tra loro detriti di grasso, macchie d’unto, residui di foglia d’oro, farina e olio dei freni. Collocate nel basement catacombale di a.k.a, le opere sembrano trovare un loro spazio esistenziale come se al visitatore fosse permesso di osservare azioni volte a depositare, sulla pelle dei molti zinàli, ulteriori dettagli più intimi e rivelatori. I mestieri non sono dichiarati e tuttavia è possibile intuire posture ordinarie e gesti reiterati. Di più, una frase sembra svelare l’aspetto figurativo latente dell’intera operazione: “E’ solo il risultato di dieci anni di studio del nudo”. Figura, manualità e disegno descrivono un’umanità in via di estinzione, capovolta come nell’allestimento.
Ecco, allora, il nostro Brasile: il Brasile attuale. Perché il legame viscerale col proprio paese va colto in chiave metaforica, laddove si voglia restituire alla parola metafora il significato di trasporto (anzi, di mutazione) che le appartiene etimologicamente. Per non parlare, poi, di quell’altra parola, la parola lavoro, che ha anch’essa a che fare col tema del viaggio e dell’erranza dolorosa e necessitata. Come non ricordare qui che il termine inglese travel è affine al francese travail e all’italiano travaglio? – e, appunto, al portoghese trabalho?
Isabela Stampanoni crea un percorso di 26 tavole dentro cui riassumere un passaggio in Italia. Quanto sia esso transitorio non è dato sapere. Tutto parte da una sorta di missione quale Capsula del Submarino, associazione culturale che nel 2002 l’ha inviata in Europa con l’incarico di comporre un diario di viaggio. Ne scaturisce un resoconto di acrilici su tavola colmo di dettagli tra cui lo spazio occupato, la casa abitata, il tempo trascorso, i vari mestieri svolti, attività dissimili e altalenanti. La serie dei bambolotti è un altro lavoro di culto profano. Il feticcio è di nuovo un oggetto metaforico che sposta i confini del gioco verso quelli dell’affettività. Sociologicamente non è la storia di un società utopica e tanto meno sognata. E’ il racconto di un momento quasi intimo con un’attenzione speciale per le relazioni, per le esperienze di assenza che spingono ad altre presenze, per il tempo che esige come sempre di dare priorità ad alcune cose rispetto ad altre. Isabela ci lascia sondare le pieghe della difficoltà a trovare lavoro e conservarlo soprattutto in tempi come questi, in cui il santo universale a cui votarsi è… San Precario.
Per Patricia Carmo Baltazar Correa il lavoro è fatto, concretamente, di materia, di umori, di residui deposti concretamente su una tela che diventa spazio antropometrico. Una tela che non ha la forma quadrangolare che si è soliti immaginare, ma quella di un grembiule di cotone bianco (uno zinàle) da sospendere e affiancare, in sequenza, ad altri grembiuli, ognuno dei quali è stato a disposizione di mani consapevoli – per una settimana – che hanno avuto il tempo di viverlo e intaccarlo, per poi restituirlo all’artista perché potesse esporlo. I grembiuli smanacciati da artigiani di professioni differenti mostrano usure dissimili, e nel rivelarne i gesti quotidiani quasi spogliano fisicamente chi li ha indossati. Così, ogni mestiere assume una specifica identità, antropomorfa e astratta al tempo stesso: consonanze e accordi legano tra loro detriti di grasso, macchie d’unto, residui di foglia d’oro, farina e olio dei freni. Collocate nel basement catacombale di a.k.a, le opere sembrano trovare un loro spazio esistenziale come se al visitatore fosse permesso di osservare azioni volte a depositare, sulla pelle dei molti zinàli, ulteriori dettagli più intimi e rivelatori. I mestieri non sono dichiarati e tuttavia è possibile intuire posture ordinarie e gesti reiterati. Di più, una frase sembra svelare l’aspetto figurativo latente dell’intera operazione: “E’ solo il risultato di dieci anni di studio del nudo”. Figura, manualità e disegno descrivono un’umanità in via di estinzione, capovolta come nell’allestimento.
09
novembre 2005
Patricia Carmo Baltazar Correa / Isabela Stampanoni – More Brazil
Dal 09 novembre al 04 dicembre 2005
arte contemporanea
Location
AKA
Roma, Via Dei Cartari, 11, (Roma)
Roma, Via Dei Cartari, 11, (Roma)
Orario di apertura
11-13 e 16-20
Vernissage
9 Novembre 2005, ore 19-22
Autore
Curatore