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The Shadow Line
una mostra che esplora quei linguaggi, quelle ricerche, che nell’ambito delle arti visive, sanno “raccontare” utilizzando le nuove tecnologie
Comunicato stampa
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Venerdi’ 28 ottobre 2005 presso la Galleria d’Arte Contemporanea San Salvatore di Modena, inaugura 'The Shadow Line', una mostra che esplora quei linguaggi, quelle ricerche, che nell’ambito delle arti visive, sanno “raccontare” utilizzando le nuove tecnologie.
Come scrive Ivan Quaroni, curatore dell’evento, nella sua presentazione “Nella linea d’ombra della contemporaneità, mentre risuona l’annuncio della rivoluzione tecnologica e si perpetuano pratiche millenarie, si allineano le testimonianze di un’arte ambigua, mutogena, che innesta i semi dell’anomalia digitale sul tessuto delle arti tradizionali.
In questo territorio di confine, caotico e multiforme, il linguaggio digitale contamina la fotografia e il disegno, la pittura e la scultura, la performance e il video.
Di solito, l’adozione di tecnologie digitali influenza i processi d’elaborazione e creazione delle immagini, la concezione e la produzione dei manufatti, come nel caso delle fotografie di Luisa Raffaelli e di Mauro Ghiglione o dei dipinti di Daniele Girardi, Carla Mattii e Francesco Totaro.
Altre volte, l’imprinting digitale si spinge oltre, coinvolgendo nuove modalità di trasmissione e diffusione delle opere, come nel caso di Davide Coltro e Mauro Ceolin.
Si tratta di due posizioni diverse lungo la linea dell’evoluzione digitale: la prima è sempre finalizzata alla produzione di un manufatto (atomo), di un oggetto per molti versi non dissimile dalle opere d’arte tradizionali; la seconda, talvolta, veicola l’immagine digitale (bit) attraverso sistemi di trasmissione quali il web (RGBProject di Ceolin) o il quadro elettronico (i System di Coltro).
Si può parlare di un’arte digitale compiuta, matura, solo quando digitale è anche la modalità di trasmissione e di godimento. D’altra parte, i dipinti digitali o le fotopitture o i frame di un’animazione in flash o di un’elaborazione 3D trasportati su qualsiasi supporto fisico, sono un classico esempio di riconversione dei bit in atomi.
In pratica, una regressione del digitale ad un precedente stadio “analogico”.
Gli artisti in dettaglio
La ricerca di Mauro Ceolin consiste nello studio delle forme estetiche delle ambientazioni videoludiche e delle realtà connesse al mondo della rete informatica. Il PC, la tavoletta grafica e la penna ottica sono gli strumenti con cui l’artista realizza i suoi disegni vettoriali, che in seguito, possono essere stampati oppure ridipinti su tela, su plexiglas o addirittura all’interno di un mouse della Apple.
I lavori di Ceolin, dalla serie di ritratti dedicati ai game designer (Gamepeople) ai paesaggi tratti dai videogame (solidLandscapes), dalle sculture-oggetto realizzate con le cartucce del Game Boy fino alle vedute dei quartieri generali delle multinazionali della new economy (Promotional Landscapes), sono infatti documentati nelle pagine di RGBProject, l’official site che raccoglie tutta la sua produzione.
Tuttavia, Mauro Ceolin è uno di quegli artisti capaci di gettare un ponte fra tradizione e modernità, traghettando, attraverso uno stile pittorico flat, la cultura del colorismo e del Vedutismo veneti nell’immaginario del villaggio globale contemporaneo attraverso una calibrata mistura di strumenti analogici e digitali.
Si può leggere tutta la ricerca di Davide Coltro come una sorta di progressione tecnologica dei meccanismi di comunicazione artistica che, dalla fotocopiatrice dei Viventi alle modulazioni digitali dei Misteri e dei Landscapes, ci conduce alle frontiere mediatiche dei System, quadri elettronici che prefigurano nuove transazioni relazionali.
Tuttavia, non si farebbe che tecnicizzare una materia eminentemente poetica. Quella di Davide Coltro, infatti, è un’arte capace di trasfondere nella contemporaneità l’equilibrio formale dell’arte classica, di impostare un dialogo tra i nuovi linguaggi e i valori intramontabili della pittura, della fotografia e del cinema d’ogni tempo.
E’ il caso dei Landscapes, dove le suggestioni paesistiche sono virate nelle tonalità del colore medio, ricavato dalla suddivisione matematica delle cromie naturali. Nei Landscapes, come già nei Misteri, Coltro sembra rincorrere una magia della sospensione, una poetica dell’incanto che qui annulla le coordinate geografiche, per svelare il paesaggio dell’anima.
Le algide installazioni di Mauro Ghiglione, composte d’elaborazioni fotografiche e assemblaggi oggettuali, affrontano i temi della Storia e della memoria collettiva attraverso l’analisi dei processi di falsificazione operati dall’uomo.
L’elaborazione e la manipolazione delle immagini diventano, allora, la metafora delle distorsioni e delle riletture che la Storiografia compie ai danni della Storia.
Anche la presenza di strumenti di misurazione d’ogni sorta nelle installazioni dell’artista genovese, dai densimetri agli alcoolimetri, dai compassi alle bussole, fino alle bilance altro non è che l’allusione ad un impossibile tentativo di misurazione del gradiente di falsificazione storica.
Ma, nell’opera di Ghiglione, l’indagine sul valore semantico del Tempo, si trasforma talvolta in una riflessione sull’iconografia contemporanea e sull’ambigua violenza delle immagini, come nel caso del frame tratto dal film Sonatine, dove il suicidio di Takeshi Kitano assume il significato di uno splendido ossimoro visivo.
Il lavoro di Daniele Girardi è il frutto di una contaminazione multipla tra scultura, pittura e fotografia digitale. I suoi Chromocosmi, infatti, sono il risultato di numerosi passaggi, che culminano nella rappresentazione di scenari dai colori saturi, dove la figurazione si sfalda in forme astratte dal forte impatto visivo.
Ispirate al mondo sommerso dei fondali marini, le ultime opere di Girardi spingono le potenzialità metamorfiche dell’immagine aldilà dei confini della pittura, in un processo di continue sovrapposizioni tra interventi manuali e digitali, impossibili da ricostruire.
Sull’impianto fotografico delle tele dell’artista, si dipana una massa cromatica ibrida, che alterna effetti acidi e lisergici, enfasi espressionistiche e impulsi gestuali, sotto il segno di una figurazione alle soglie dell’astrazione.
Rifuggendo da ogni catalogazione, quella di Girardi sembra essere l’espressione una pittura inedita, che immerge le istanze della tradizione nel magma digitale della contemporaneità.
Il flebile confine tra la bellezza naturale e quella artificiale è, in sintesi, il tema portante della ricerca di Carla Mattii. Nelle fotografie, come nelle sculture e nelle installazioni, l’artista sperimenta i più disparati innesti floreali, assemblando elementi di specie diverse oppure combinando parti organiche con inserti artificiali.
Punto di partenza sono sempre i fiori reali, sezionati e poi ricuciti secondo criteri esclusivamente estetici, e quindi fotografati e ritoccati al computer. Tuttavia, in alcuni casi, l’impiego di tecniche digitali si spinge ben oltre i programmi di fotoritocco.
I Kit di Carla Mattii, ad esempio, sono il risultato del connubio tra programmi informatici d’elaborazione tridimensionale e processi industriali di prototipazione rapida. Composti di polvere di nylon sintetizzata al laser, questi fiori sintetici sono un’ennesima dimostrazione del potenziale creativo della tecnologia applicata all’arte.
Nelle tele della serie Type, le stampe dei rendering in 3D delle varianti floreali dei Kit, vengono ridipinte con colori ad olio. Il risultato è una pittura raffinata, che interpreta in chiave hi-tech la tradizione degli erbari cinquecenteschi.
Nelle foto-pitture di Luisa Raffaelli, caratterizzate da una forte vena autobiografica, giovani e raffinate donne si abbandonano a spasmodici raptus di ribellione, come per effetto di un prolungato e insano autocontrollo.
Incarnato pallido e capelli rossi, le controfigure dell’artista si muovono solitarie sullo sfondo di una metropoli disabitata, tra bassifondi suburbani e camere d’albergo, come gli “angeli perduti” di Wong Kar Wai.
Luisa Raffaelli raccoglie l’eredità della body art, integrando nella fotografia i modi tipici della performance, filtrandoli però attraverso una sensibilità squisitamente pittorica.
Nelle sue foto, costruite secondo la logica del cut & paste digitale, l’impianto cromatico gioca sulle tonalità cangianti dei tessuti, sulle variazioni di tono dei vestiti e dei complementi d’arredo, sui lampi al neon e sui bagliori elettrici, enfatizzando il dramma di quei corpi flessuosi, bloccati nel culmine di una deflagrazione emotiva.
Le opere di Francesco Totaro rappresentano uno strano innesto di fotografia e pittura, dove figurazione ed astrazione si compongono in un delicato equilibrio.
L’artista gioca sull’antinomia tra linguaggi caldi e freddi, tentando di armonizzare il nitore dell’immagine fotografica con le morbide effusioni del colore. E proprio il colore, nelle fantasmagorie di Totano, piuttosto che posarsi su una superficie bidimensionale, sembra fluttuare liberamente nello spazio, lasciando sullo sfondo la traccia evanescente di un ritratto fotografico.
L’effetto provocato dalle sue fotopitture, è quello di un dripping digitale impazzito, di un’action painting disciplinata dalle leggi fisiche del moto dei fluidi, dove i colori si sovrappongono senza mai confondersi e s’incrociano senza mescolarsi, come macchie d’olio in un mulinello d’acqua.
Il risultato è un trionfo di forme in libertà, una felice isteria liquida, che affoga la fotografia in un vortice iridescente e la riduce, infine, a niente più che un sospetto.
Come scrive Ivan Quaroni, curatore dell’evento, nella sua presentazione “Nella linea d’ombra della contemporaneità, mentre risuona l’annuncio della rivoluzione tecnologica e si perpetuano pratiche millenarie, si allineano le testimonianze di un’arte ambigua, mutogena, che innesta i semi dell’anomalia digitale sul tessuto delle arti tradizionali.
In questo territorio di confine, caotico e multiforme, il linguaggio digitale contamina la fotografia e il disegno, la pittura e la scultura, la performance e il video.
Di solito, l’adozione di tecnologie digitali influenza i processi d’elaborazione e creazione delle immagini, la concezione e la produzione dei manufatti, come nel caso delle fotografie di Luisa Raffaelli e di Mauro Ghiglione o dei dipinti di Daniele Girardi, Carla Mattii e Francesco Totaro.
Altre volte, l’imprinting digitale si spinge oltre, coinvolgendo nuove modalità di trasmissione e diffusione delle opere, come nel caso di Davide Coltro e Mauro Ceolin.
Si tratta di due posizioni diverse lungo la linea dell’evoluzione digitale: la prima è sempre finalizzata alla produzione di un manufatto (atomo), di un oggetto per molti versi non dissimile dalle opere d’arte tradizionali; la seconda, talvolta, veicola l’immagine digitale (bit) attraverso sistemi di trasmissione quali il web (RGBProject di Ceolin) o il quadro elettronico (i System di Coltro).
Si può parlare di un’arte digitale compiuta, matura, solo quando digitale è anche la modalità di trasmissione e di godimento. D’altra parte, i dipinti digitali o le fotopitture o i frame di un’animazione in flash o di un’elaborazione 3D trasportati su qualsiasi supporto fisico, sono un classico esempio di riconversione dei bit in atomi.
In pratica, una regressione del digitale ad un precedente stadio “analogico”.
Gli artisti in dettaglio
La ricerca di Mauro Ceolin consiste nello studio delle forme estetiche delle ambientazioni videoludiche e delle realtà connesse al mondo della rete informatica. Il PC, la tavoletta grafica e la penna ottica sono gli strumenti con cui l’artista realizza i suoi disegni vettoriali, che in seguito, possono essere stampati oppure ridipinti su tela, su plexiglas o addirittura all’interno di un mouse della Apple.
I lavori di Ceolin, dalla serie di ritratti dedicati ai game designer (Gamepeople) ai paesaggi tratti dai videogame (solidLandscapes), dalle sculture-oggetto realizzate con le cartucce del Game Boy fino alle vedute dei quartieri generali delle multinazionali della new economy (Promotional Landscapes), sono infatti documentati nelle pagine di RGBProject, l’official site che raccoglie tutta la sua produzione.
Tuttavia, Mauro Ceolin è uno di quegli artisti capaci di gettare un ponte fra tradizione e modernità, traghettando, attraverso uno stile pittorico flat, la cultura del colorismo e del Vedutismo veneti nell’immaginario del villaggio globale contemporaneo attraverso una calibrata mistura di strumenti analogici e digitali.
Si può leggere tutta la ricerca di Davide Coltro come una sorta di progressione tecnologica dei meccanismi di comunicazione artistica che, dalla fotocopiatrice dei Viventi alle modulazioni digitali dei Misteri e dei Landscapes, ci conduce alle frontiere mediatiche dei System, quadri elettronici che prefigurano nuove transazioni relazionali.
Tuttavia, non si farebbe che tecnicizzare una materia eminentemente poetica. Quella di Davide Coltro, infatti, è un’arte capace di trasfondere nella contemporaneità l’equilibrio formale dell’arte classica, di impostare un dialogo tra i nuovi linguaggi e i valori intramontabili della pittura, della fotografia e del cinema d’ogni tempo.
E’ il caso dei Landscapes, dove le suggestioni paesistiche sono virate nelle tonalità del colore medio, ricavato dalla suddivisione matematica delle cromie naturali. Nei Landscapes, come già nei Misteri, Coltro sembra rincorrere una magia della sospensione, una poetica dell’incanto che qui annulla le coordinate geografiche, per svelare il paesaggio dell’anima.
Le algide installazioni di Mauro Ghiglione, composte d’elaborazioni fotografiche e assemblaggi oggettuali, affrontano i temi della Storia e della memoria collettiva attraverso l’analisi dei processi di falsificazione operati dall’uomo.
L’elaborazione e la manipolazione delle immagini diventano, allora, la metafora delle distorsioni e delle riletture che la Storiografia compie ai danni della Storia.
Anche la presenza di strumenti di misurazione d’ogni sorta nelle installazioni dell’artista genovese, dai densimetri agli alcoolimetri, dai compassi alle bussole, fino alle bilance altro non è che l’allusione ad un impossibile tentativo di misurazione del gradiente di falsificazione storica.
Ma, nell’opera di Ghiglione, l’indagine sul valore semantico del Tempo, si trasforma talvolta in una riflessione sull’iconografia contemporanea e sull’ambigua violenza delle immagini, come nel caso del frame tratto dal film Sonatine, dove il suicidio di Takeshi Kitano assume il significato di uno splendido ossimoro visivo.
Il lavoro di Daniele Girardi è il frutto di una contaminazione multipla tra scultura, pittura e fotografia digitale. I suoi Chromocosmi, infatti, sono il risultato di numerosi passaggi, che culminano nella rappresentazione di scenari dai colori saturi, dove la figurazione si sfalda in forme astratte dal forte impatto visivo.
Ispirate al mondo sommerso dei fondali marini, le ultime opere di Girardi spingono le potenzialità metamorfiche dell’immagine aldilà dei confini della pittura, in un processo di continue sovrapposizioni tra interventi manuali e digitali, impossibili da ricostruire.
Sull’impianto fotografico delle tele dell’artista, si dipana una massa cromatica ibrida, che alterna effetti acidi e lisergici, enfasi espressionistiche e impulsi gestuali, sotto il segno di una figurazione alle soglie dell’astrazione.
Rifuggendo da ogni catalogazione, quella di Girardi sembra essere l’espressione una pittura inedita, che immerge le istanze della tradizione nel magma digitale della contemporaneità.
Il flebile confine tra la bellezza naturale e quella artificiale è, in sintesi, il tema portante della ricerca di Carla Mattii. Nelle fotografie, come nelle sculture e nelle installazioni, l’artista sperimenta i più disparati innesti floreali, assemblando elementi di specie diverse oppure combinando parti organiche con inserti artificiali.
Punto di partenza sono sempre i fiori reali, sezionati e poi ricuciti secondo criteri esclusivamente estetici, e quindi fotografati e ritoccati al computer. Tuttavia, in alcuni casi, l’impiego di tecniche digitali si spinge ben oltre i programmi di fotoritocco.
I Kit di Carla Mattii, ad esempio, sono il risultato del connubio tra programmi informatici d’elaborazione tridimensionale e processi industriali di prototipazione rapida. Composti di polvere di nylon sintetizzata al laser, questi fiori sintetici sono un’ennesima dimostrazione del potenziale creativo della tecnologia applicata all’arte.
Nelle tele della serie Type, le stampe dei rendering in 3D delle varianti floreali dei Kit, vengono ridipinte con colori ad olio. Il risultato è una pittura raffinata, che interpreta in chiave hi-tech la tradizione degli erbari cinquecenteschi.
Nelle foto-pitture di Luisa Raffaelli, caratterizzate da una forte vena autobiografica, giovani e raffinate donne si abbandonano a spasmodici raptus di ribellione, come per effetto di un prolungato e insano autocontrollo.
Incarnato pallido e capelli rossi, le controfigure dell’artista si muovono solitarie sullo sfondo di una metropoli disabitata, tra bassifondi suburbani e camere d’albergo, come gli “angeli perduti” di Wong Kar Wai.
Luisa Raffaelli raccoglie l’eredità della body art, integrando nella fotografia i modi tipici della performance, filtrandoli però attraverso una sensibilità squisitamente pittorica.
Nelle sue foto, costruite secondo la logica del cut & paste digitale, l’impianto cromatico gioca sulle tonalità cangianti dei tessuti, sulle variazioni di tono dei vestiti e dei complementi d’arredo, sui lampi al neon e sui bagliori elettrici, enfatizzando il dramma di quei corpi flessuosi, bloccati nel culmine di una deflagrazione emotiva.
Le opere di Francesco Totaro rappresentano uno strano innesto di fotografia e pittura, dove figurazione ed astrazione si compongono in un delicato equilibrio.
L’artista gioca sull’antinomia tra linguaggi caldi e freddi, tentando di armonizzare il nitore dell’immagine fotografica con le morbide effusioni del colore. E proprio il colore, nelle fantasmagorie di Totano, piuttosto che posarsi su una superficie bidimensionale, sembra fluttuare liberamente nello spazio, lasciando sullo sfondo la traccia evanescente di un ritratto fotografico.
L’effetto provocato dalle sue fotopitture, è quello di un dripping digitale impazzito, di un’action painting disciplinata dalle leggi fisiche del moto dei fluidi, dove i colori si sovrappongono senza mai confondersi e s’incrociano senza mescolarsi, come macchie d’olio in un mulinello d’acqua.
Il risultato è un trionfo di forme in libertà, una felice isteria liquida, che affoga la fotografia in un vortice iridescente e la riduce, infine, a niente più che un sospetto.
28
ottobre 2005
The Shadow Line
Dal 28 ottobre al 17 dicembre 2005
arte contemporanea
giovane arte
giovane arte
Location
GALLERIA SAN SALVATORE
Modena, Via Canalino, 31, (Modena)
Modena, Via Canalino, 31, (Modena)
Orario di apertura
mar-mer-ve-sa 17-19.30; sabato 10-12.30
Vernissage
28 Ottobre 2005, ore 18
Autore
Curatore