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Stefania Balestri – Qualcosa di familiare?
l’artista ha lavorato su lunghe serie di blow-up composte da innumerevoli dettagli di case di bambola
Comunicato stampa
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Qualcosa di familiare?
Una luce corrosiva, spietata, totale. Una luce che non lascia scampo a niente e divora lo spazio fino a ritrovarne il bianco dello scheletro. Sotto questa luminosità pervasiva -accecante ma terribilmente gelida – le forme si alterano e si spezzano in un prisma di sequenze, si spargono in scaglie verosimili ma anche stranamente incerte…
Da alcuni anni la ricerca di Stefania Balestri sembra esplorare i confini del passato nel tentativo di riportare alla luce qualcosa di perduto. Per rievocarne la realtà quasi domestica e infantile, l’artista ha lavorato su lunghe serie di blow-up composte da innumerevoli dettagli di case di bambola. Ne ha gonfiato i particolari fino a fargli assumere un aspetto confuso e misterioso ma sempre evitando di raffigurare le bambole che avrebbero dovuto abitare quelle stesse stanze. Un’assenza non solo penosa ma in qualche modo anche sinistra.
Da “heimlich” le cose divengono “unheimlich”. Spazi e luoghi che ricordano atmosfere infantili – come la cucina o la camera da letto – sono adesso tanto indefinibili da apparire estranee. Il loro aspetto inconsueto incute una paura finora sconosciuta. “Ciò che doveva rimanere nascosto è venuto alla luce” diceva Schelling per spiegare questo fenomeno psichico. Da “familiare” qualcosa appare diverso da come dovrebbe essere e diventa “perturbante”. Freud battezza così con il passaggio da un evento abituale al suo ripresentarsi in modo angoscioso. “Il perturbante non è in realtà niente di nuovo e di estraneo, bensì un qualcosa di familiare alla vita psichica fin dai tempi antichissimi”. Qualcosa insomma che è diventato irriconoscibile per nascondere all’Io un evento pauroso.
La casa di bambola era già un perfetto esempio di “doppio” inquietante ma le opere recenti di Stefania sembrano infestate da presenze spettrali. Fantasmi che si specchiano in una luce immateriale, in ambienti vuoti come quelli in cui Nicole Kidman chiude i suoi figli nel film di the Others. La luce infatti avrebbe potuto ucciderli, se non fossero stati già morti.
Ma Stefania Balestri allude al tema del doppio anche moltiplicando le immagini o ripetendole all’interno della stesa opera. Le sequenze raddoppiate e la resa appena abbozzata degli ambienti contribuiscono allo strano realismo di molte scene. La soggettiva continua e il movimento sembrano far risuonare le opere di passi incerti che fuggono nel buio e si perdono. Come in The Blair witch project l’inquietudine cresce mentre con l’avanzare della notte la realtà si deteriora.
Stefania ansima. Si alza sul letto e cerca l’interruttore. Percorre più volte il muro con la mano. Alla cieca. Il cuore batte forte. Ma in un attimo la scena è illuminata. La luce è violenta e sembra distruggere ogni cosa. Come un rumore elettrico bianco. Acutissimo. Il mondo svanisce e con esso anche la casa di quando era piccola. Ombre senza vita davanti all’obiettivo della macchina fotografica. Adesso può finalmente aprire gli occhi.
Buongiorno. E’ mattina.
Matteo Chini
Una luce corrosiva, spietata, totale. Una luce che non lascia scampo a niente e divora lo spazio fino a ritrovarne il bianco dello scheletro. Sotto questa luminosità pervasiva -accecante ma terribilmente gelida – le forme si alterano e si spezzano in un prisma di sequenze, si spargono in scaglie verosimili ma anche stranamente incerte…
Da alcuni anni la ricerca di Stefania Balestri sembra esplorare i confini del passato nel tentativo di riportare alla luce qualcosa di perduto. Per rievocarne la realtà quasi domestica e infantile, l’artista ha lavorato su lunghe serie di blow-up composte da innumerevoli dettagli di case di bambola. Ne ha gonfiato i particolari fino a fargli assumere un aspetto confuso e misterioso ma sempre evitando di raffigurare le bambole che avrebbero dovuto abitare quelle stesse stanze. Un’assenza non solo penosa ma in qualche modo anche sinistra.
Da “heimlich” le cose divengono “unheimlich”. Spazi e luoghi che ricordano atmosfere infantili – come la cucina o la camera da letto – sono adesso tanto indefinibili da apparire estranee. Il loro aspetto inconsueto incute una paura finora sconosciuta. “Ciò che doveva rimanere nascosto è venuto alla luce” diceva Schelling per spiegare questo fenomeno psichico. Da “familiare” qualcosa appare diverso da come dovrebbe essere e diventa “perturbante”. Freud battezza così con il passaggio da un evento abituale al suo ripresentarsi in modo angoscioso. “Il perturbante non è in realtà niente di nuovo e di estraneo, bensì un qualcosa di familiare alla vita psichica fin dai tempi antichissimi”. Qualcosa insomma che è diventato irriconoscibile per nascondere all’Io un evento pauroso.
La casa di bambola era già un perfetto esempio di “doppio” inquietante ma le opere recenti di Stefania sembrano infestate da presenze spettrali. Fantasmi che si specchiano in una luce immateriale, in ambienti vuoti come quelli in cui Nicole Kidman chiude i suoi figli nel film di the Others. La luce infatti avrebbe potuto ucciderli, se non fossero stati già morti.
Ma Stefania Balestri allude al tema del doppio anche moltiplicando le immagini o ripetendole all’interno della stesa opera. Le sequenze raddoppiate e la resa appena abbozzata degli ambienti contribuiscono allo strano realismo di molte scene. La soggettiva continua e il movimento sembrano far risuonare le opere di passi incerti che fuggono nel buio e si perdono. Come in The Blair witch project l’inquietudine cresce mentre con l’avanzare della notte la realtà si deteriora.
Stefania ansima. Si alza sul letto e cerca l’interruttore. Percorre più volte il muro con la mano. Alla cieca. Il cuore batte forte. Ma in un attimo la scena è illuminata. La luce è violenta e sembra distruggere ogni cosa. Come un rumore elettrico bianco. Acutissimo. Il mondo svanisce e con esso anche la casa di quando era piccola. Ombre senza vita davanti all’obiettivo della macchina fotografica. Adesso può finalmente aprire gli occhi.
Buongiorno. E’ mattina.
Matteo Chini
22
ottobre 2005
Stefania Balestri – Qualcosa di familiare?
Dal 22 ottobre al 15 dicembre 2005
arte contemporanea
Location
DRYPHOTO
Prato, Via Delle Segherie, 33/a, (Prato)
Prato, Via Delle Segherie, 33/a, (Prato)
Orario di apertura
dal mercoledì al sabato 16-19,30
Vernissage
22 Ottobre 2005, ore 18.30
Autore
Curatore