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Dennis Oppenheim – Una poetica del tatto
Personale
Comunicato stampa
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La Provincia di Modena si presenta anche quest’anno all’appuntamento del Festival della Filosofia, nell’edizione attuale incentrato sul tema dei “sensi”, presentando un artista di grande rilevanza nel panorama internazionale: Dennis Oppenheim, una presenza artistica che, nell’ambito di una manifestazione così prestigiosa, non risulta separata dalla riflessione filosofica complessiva, ma ne costituisce un ulteriore momento di approfondimento. Il curriculum e l’attività quarantennale di Oppenheim testimoniano la rilevanza del suo lavoro, spesso in grado di anticipare svolte storiche e il nucleo centrale della sua poetica pare incentrato sul tatto in quanto fonte di riflessione teorica oltre che d’ispirazione fantastica, stimolo ironico e ludico e, infine, spia di un processo creativo che ha nel corpo uno dei suoi archetipi più originali e interessanti.
La mostra ben rivela l’essenza del potere creativo dell’artista, presentando, insieme ai video e alle performances realizzate da Oppenheim alle soglie degli anni Settanta, due opere recenti, due sculture, in cui il radicalismo della sua arte trova una compiuta espressione nell’ intensa capacità di stupire e coinvolgere il pubblico.
Beniamino Grandi
Assessore alla Cultura e al Turismo della Provincia di Modena
Dennis Oppenheim (Electric City, USA, 1938) fa parte, insieme a Bruce Nauman, Robert Smithson, Michael Heizer, Vito Acconci, Robert Morris e Gunther Uecker, di quella generazione di artisti di area americana che ha contribuito in modo determinante a rinnovare l’idea e i linguaggi dell’arte contemporanea. Già nel 1968, a proposito dei suoi primi “earth-works”, Lucy Lippard conia il termine “dematerializzazione” con ciò sottolineando una caratteristica dominante e originale nel lavoro di Oppenheim, quella di una forma che transita da un materiale o un oggetto all’altro facendosi emblema del fare, ma insieme segno fisico epifanico di un divenire che non ha fine. Sotto questo profilo, esistono molte opere, sia tra quelle della fine degli anni sessanta, sia tra quelle più recenti, che testimoniano la sua predilezione, tra i vari organi di senso, per il tatto, l’idea epidermica della forma, dell’oggetto, delle cose. Il trasferimento di una forma da un contesto all’altro (idea non manipolatoria) si intreccia con quella di impronta che richiama pur sempre la mano e il toccare. Per la chiesa di San Paolo, nell’ambito del Festival della Filosofia di quest’anno, che ha per tema “i sensi”, Oppenheim propone due sculture realizzate nel 2004, rispettivamente “Device to Cast Light on the Bottom of Feet” (Meccanismo che illumina ai piedi dei piedi) e “Enlarged Object to Cast Light In-between the Toes” (Oggetto allargato per illuminare tra le dita dei piedi), due opere dotate di una forte carica ironica, come è nello stile dell’artista, due opere fuori scala, pantagrueliche e assolutamente visionarie, nelle quali il tatto si concentra sulla sensibilità dei piedi. Accompagnano la mostra le video performances "Two-Stage Transfer Drawing", "Rocked Hand", "Air Pressure", "Fusion Tooth and Nail", "Forming Sounds", "Nail Sharpening", "Identity Transfer" realizzate fra il 1970 e il 1971, opere storiche nelle quali la dimensione tattile viene esperita in diverse situazioni: l’artista traccia un segno sulla schiena del figlio che ripete il segno sul muro e viceversa, oppure ricopre di pietre la propria mano, o ancora affila la propria unghia, dipinge di un unico colore denti e unghie, registra i movimenti trasmessi alla pelle della mano da un getto di aria compressa, varia con le mani il suono emesso da una donna, trasferisce l’impronta del pollice destro a quello sinistro e al palmo della mano. C’è l’aspetto ludico, ma in questo caso compone una sorta di teoria applicata che rivela quanto e come la visionarietà dell’artista sia legata a un aspetto “somatico”. Completa la mostra la sequenza fotografica di "Reading Position for Second Degree Burn" realizzata nel 1970 alla Jones Beach di New York, quando l’artista è rimasto steso al sole a torso nudo per cinque ore con un trattato ottocentesco di artiglieria a cavallo aperto sul petto. Un disegno epidermico impresso dal tempo di esposizione alla luce.
Mario Bertoni
La mostra ben rivela l’essenza del potere creativo dell’artista, presentando, insieme ai video e alle performances realizzate da Oppenheim alle soglie degli anni Settanta, due opere recenti, due sculture, in cui il radicalismo della sua arte trova una compiuta espressione nell’ intensa capacità di stupire e coinvolgere il pubblico.
Beniamino Grandi
Assessore alla Cultura e al Turismo della Provincia di Modena
Dennis Oppenheim (Electric City, USA, 1938) fa parte, insieme a Bruce Nauman, Robert Smithson, Michael Heizer, Vito Acconci, Robert Morris e Gunther Uecker, di quella generazione di artisti di area americana che ha contribuito in modo determinante a rinnovare l’idea e i linguaggi dell’arte contemporanea. Già nel 1968, a proposito dei suoi primi “earth-works”, Lucy Lippard conia il termine “dematerializzazione” con ciò sottolineando una caratteristica dominante e originale nel lavoro di Oppenheim, quella di una forma che transita da un materiale o un oggetto all’altro facendosi emblema del fare, ma insieme segno fisico epifanico di un divenire che non ha fine. Sotto questo profilo, esistono molte opere, sia tra quelle della fine degli anni sessanta, sia tra quelle più recenti, che testimoniano la sua predilezione, tra i vari organi di senso, per il tatto, l’idea epidermica della forma, dell’oggetto, delle cose. Il trasferimento di una forma da un contesto all’altro (idea non manipolatoria) si intreccia con quella di impronta che richiama pur sempre la mano e il toccare. Per la chiesa di San Paolo, nell’ambito del Festival della Filosofia di quest’anno, che ha per tema “i sensi”, Oppenheim propone due sculture realizzate nel 2004, rispettivamente “Device to Cast Light on the Bottom of Feet” (Meccanismo che illumina ai piedi dei piedi) e “Enlarged Object to Cast Light In-between the Toes” (Oggetto allargato per illuminare tra le dita dei piedi), due opere dotate di una forte carica ironica, come è nello stile dell’artista, due opere fuori scala, pantagrueliche e assolutamente visionarie, nelle quali il tatto si concentra sulla sensibilità dei piedi. Accompagnano la mostra le video performances "Two-Stage Transfer Drawing", "Rocked Hand", "Air Pressure", "Fusion Tooth and Nail", "Forming Sounds", "Nail Sharpening", "Identity Transfer" realizzate fra il 1970 e il 1971, opere storiche nelle quali la dimensione tattile viene esperita in diverse situazioni: l’artista traccia un segno sulla schiena del figlio che ripete il segno sul muro e viceversa, oppure ricopre di pietre la propria mano, o ancora affila la propria unghia, dipinge di un unico colore denti e unghie, registra i movimenti trasmessi alla pelle della mano da un getto di aria compressa, varia con le mani il suono emesso da una donna, trasferisce l’impronta del pollice destro a quello sinistro e al palmo della mano. C’è l’aspetto ludico, ma in questo caso compone una sorta di teoria applicata che rivela quanto e come la visionarietà dell’artista sia legata a un aspetto “somatico”. Completa la mostra la sequenza fotografica di "Reading Position for Second Degree Burn" realizzata nel 1970 alla Jones Beach di New York, quando l’artista è rimasto steso al sole a torso nudo per cinque ore con un trattato ottocentesco di artiglieria a cavallo aperto sul petto. Un disegno epidermico impresso dal tempo di esposizione alla luce.
Mario Bertoni
16
settembre 2005
Dennis Oppenheim – Una poetica del tatto
Dal 16 settembre al 16 ottobre 2005
arte contemporanea
Location
CHIESA DI SAN PAOLO – SALA DELLE MONACHE
Modena, Via Francesco Selmi, (Modena)
Modena, Via Francesco Selmi, (Modena)
Orario di apertura
16 - 17 - 18 Settembre dalle 9 alle 23; dal 20 Settembre al 16 Ottobre: dal martedì al venerdì 17 - 19.30 - sab e dom e festivi 10-13 e 17-20
Vernissage
16 Settembre 2005, ore 17.30 (all'interno del Festival della Filosofia 2005 dedicato al tema dei sensi)
Autore
Curatore