23 luglio 2013

Meno male che Emilio c’è

 
Con un lavoro ironico e intelligente, Emilio Isgrò riporta all’attenzione i mali dell’Italia. L’idea di cambiare la Costituzione, il debito pubblico, fino alla strage di Bologna. Il tutto attraverso decise cancellazioni di carte e documenti che ridicolizzano i maldestri tentativi di nascondere e camuffare una storia che, se non fosse grottesca, risulterebbe solo tragica. Ora in mostra alla Galleria Nazionale d’Arte Moderna

di

Emilio Isgrò, Italia, china su carta geografica, 114 x 96 cm, 1970_Courtesy Archivio Emilio Isgrò, Milano


“Può essere eletto Presidente della Repubblica ogni cittadino che abbia compiuto sette anni”. “Lo Stato può essere sciolto da tre cittadini”. Questi caustici e intelligentissimi non-sense che culminano con la definizione della nostra Italia come “Una indivisibile minorata” sono il surreale risultato, in bilico fra farsa e tragedia, delle sapienti cancellature che Emilio Isgrò ha inflitto alla nostra Costituzione nel 2010. Questo è uno dei lavori esposti al piano terra della Galleria Nazionale d’Arte Moderna di Roma (“Emilio Isgrò – Modello Italia 2013-1964”, fino al 6 ottobre)
che con questa “parziale retrospettiva” curata da Angelandreina Rorro rende omaggio ad uno dei fondatori della poesia-visiva, il siciliano Emilio Isgrò, che, dalla metà degli anni Sessanta, sperimenta un ironico e acuto linguaggio artistico che ha fatto della “cancellatura” lo strumento concettuale privilegiato per una intellettualmente raffinata critica sociale e politica.   
Ho parlato di “parziale retrospettiva” non a caso, infatti qui a Roma, la mostra di Isgrò comincia volutamente dove finiva l’antologica che il Centro per l’Arte Contemporanea Luigi Pecci di Prato ha presentato nel 2008 con il titolo “Dichiaro di essere Emilio Isgrò”, rovesciando così la storica affermazione fatta quarantadue anni fa quando l’artista realizzò la famosa opera dal titolo decisamente surreale Dichiaro di non essere Emilio Isgrò
 Emilio Isgrò, Modello Italia_tecnica mista su tela montata su legno,300 x 190 cm, 2012_Courtesy Csac, Università di Parma, sezione Arte
L’esposizione, contrariamente da quanto ci si aspetterebbe da una retrospettiva, comincia con l’oggi per farci intraprendere un percorso a ritroso che, come una moviola che gira al contrario, ci trasporta dal 2013 al 1964. Operazione astuta che mostra e, soprattutto, dimostra, non solo l’attualità dell’arte di Isgrò, quanto ancora questo “maestro” riesca a graffiare con i suoi lavori politici esteticamente accattivanti, ma, soprattutto, come e quanto le sue ultime opere siano strettamente legate a quelle realizzate cinquantuno anni fa quando fece la comparsa sul palcoscenico delle sperimentazioni artistiche il suo primo libro cancellato. 
Al pian terreno, con un allestimento perfetto, il percorso si srotola lungo gli ultimi cinque anni di produzione, cinque anni densi e fecondi che hanno prodotto alcuni importanti lavori come il già citato Dichiaro di essere Emilio Isgrò del 2008, una grande tela di cm. 4.00×2.87 che fa da “pendant” all’inquietante Modello Italia del 2012, in cui la cartina geografica del nostro Paese è completamente cancellata da una sequenza di righe nere che coprono orizzontalmente tutta la tela come se fosse uno spartito musicale che celebra una melodia muta in una sorta di simbolica e triste fine. Sbarco a Marsala del 2010, è una grande installazione “storica” che racconta l’unità d’Italia partendo dall’impresa del Mille ma con gli occhi disincantati dell’artista che non si commuove davanti agli inni e dissacra con eleganza e ironia i simboli ormai vecchi di una Storia che non ci convince più. 
La Costituzione cancellata del 2010 è un capolavoro di ironia, così come Cancellazione del debito pubblico del 2011. Intelligentemente polemica la serie di prime pagine di quotidiani italiani completamente cancellate e su cui spicca l’unico titolo superstite di un numero di Milano Finanza “Lo Stato ignorante”, affermazione tanto vera quanto dolorosa. 
Emilio Isgrò, Cancellatura, china su carta di giornale montata su cartoncino, 22 x 16 cm, 1964_Courtesy Archivio Emilio Isgrò, Milano
Gli artisti da sempre rileggono la realtà attraverso il filtro dell’intuizione e di una diversa sensibilità e questo processo è tanto più evidente nel lavoro di Isgrò che negli anni è riuscito a rimanere fedele a se stesso pur evolvendo il suo linguaggio e i suoi codici stilistici. Quanto detto è ancor più evidente al secondo piano che ospita una bellissima selezione di lavori storici dai primi libri cancellati del 1964, alle carte geografiche della Sicilia e dell’Italia con tutti i riferimenti scritti cancellati del 1970 come l’Enciclopedia Treccani cancellata, e l’opera dedicata all’uomo-simbolo del capitalismo italiano dell’epoca: Gianni Agnelli in cui un sotto ad un pezzetto di fotogramma in bianco e nero l’artista ha scritto “Gianni Agnelli particolare ingrandito 999 volte, Detail enlarged 999 times, detail agrandi 999 fois” con la traduzione in inglese e francese per sottolineare l’internazionalità del nostro uomo-simbolo bello, ricco e potente.  
Un’intera sala del secondo piano è dedicata all’Ora Italiana, l’opera realizzata nel 1985 da Isgrò per ricordare uno degli eventi più tragici del nostro Paese, la strage della Stazione di Bologna del 2 agosto 1980 avvenuta alle 10.25 del mattino e un orologio sul muro della stazione da quarantatre anni segna quell’ora per non far dimenticare quel dramma che è parte integrante del nostro infinito dramma. In quest’opera toccante e disturbante i protagonisti sono venti tondi, tutti uguali per dimensioni, su cui sono collocati, in posizioni diverse, venti orologi uguali, sintonizzati ognuno su un’ora differente.
Nei tondi affiorano frammenti di immagini di vita quotidiana colta nelle strade di Bologna in quel periodo ma parzialmente cancellate dal colore bianco che ne modifica la leggibilità, come se il tempo le avesse sbiadite o la morte cancellate per sempre. Il ticchettio quasi insopportabilmente cacofonico degli orologi si sostituisce alla parola. In quest’opera la denuncia è urlata, non c’è niente di sottinteso o di ironico, è la risposta creativa all’orrore. E di una cosa possiamo star certi: solo gli artisti con il loro lavoro visionario possono mostrare la via per non perderci nella bruttura che prolifera nell’incertezza di questo tempo difficile. 

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