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Joseph Kosuth
Un’altra importante tappa del programma espositivo del Torrione Passari di Molfetta è segnata, quest’anno, dall’intervento dell’artista americano Joseph Kosuth
Comunicato stampa
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Un’altra importante tappa del programma espositivo del Torrione Passari di Molfetta è segnata, quest’anno, dall’intervento dell’artista americano Joseph Kosuth.
L’artista propone all’interno delle due sale della torre un percorso di scritte al neon, dove la parola “segnefecate” (significato) in dialetto molfettese viene ripetuta in diverse lingue (tedesco, giapponese, ungherese) lungo tutte le pareti dello spazio per arrivare alla parola nascosta oltre il foro centrale.
In numerose opere Kosuth ha utilizzato frasi di Sigmund Freud, per esempio nella serie “Zero & Not”: scritte cancellate da bande nere che finiscono per ostacolare la leggibilità completa della citazione, e metafora quelle emozioni rimosse che, secondo le posizioni freudiane, restano attive nell’inconscio.
Certamente la sostituzione dell’immagine con la parola, o la scritta, ci conduce verso una sorta di iconoclastia radicale. Kosuth ci giunge dopo varie fasi, prima riducendo l’immagine a sola fotografia documentaria, in seguito abolendola in favore di citazioni scritte ad essa riferite, oppure suggerita dalla mistione di riproduzioni d’opere d’arte con parole di filosofi e studiosi contemporanei.
In Kosuth regna unicamente il rapporto anticromatico nero-bianco, una riduzione sentita come azzeramento assoluto del colore, una cancellazione intransigente che eredita le affermazioni pronunciate pittoricamente dall’artista Ad Reinhardt durante gli anni cinquanta.
L’interesse per Wittgenstein è sottolineato da numerose mostre, tra cui “The Play of Unmentionable” presso il Brooklyn Museum nel 1990, volta a indagare le relazioni che si creano tra una cosa, la sua immagine visiva e la sua definizione verbale. Relazioni tra il linguaggio come catena di enunciati e la realtà (come spazio architettonico e referente), sono le basi logiche che caratterizzano le regole teoriche e le pratiche in base a cui si organizza ogni comunicazione, sia in ambito filosofico, sia in quello artistico.
Per Kosuth nessun’attività artistica può trascendere il contesto al quale dipende. L’opera può essere un libro, un tappeto, un’installazione murale, una bandiera, e trovare il suo significato dagli aspetti situazionali e ambientali esterni che la determinano come segno. Il supporto spaziale dell’opera, smaterializzata dall’uso della sola parola, diviene il suo rimando, la sostanza ad essa riferibile. La percezione è allargata da un segno dichiarativo e suggeritore, predisposto nell’aperto orizzonte sociale e culturale del pensiero. Qui l’utilizzo di citazioni sfonda quelle consuetudini formali affermatesi nelle arti visive: «Sono interessato allo scrivere e questo fa parte di un corpo più ampio di pensiero che ha influenzato gli orizzonti intellettuali di questo secolo e ha alterato il contesto culturale in seno al quale la nostra coscienza si è formata».
Dalla fine degli anni Sessanta Kosuth ha realizzato molti lavori con libri, brani tratti da saggi, che di volta in volta venivano letti seguendo il percorso installattivo da lui ideato.
Nel 1971 presso la galleria Leo Castelli di New York i fruitori abituali venivano invitati a sedersi su dei tavoli e a leggere dei testi con l’indicazione del tempo trascorso per la lettura si trasformavano da visitatori in lettori.
L’artista sposta l’attenzione del pubblico su cose e pensieri già esistenti, e cerca di affidare al pubblico la possibilità di creare nuove letture di un medesimo testo come in “Ottava Investigazione”.
Per l’opera realizzata in occasione della sua personale nel Torrione Passari di Molfetta, lo spettatore è chiamato a interagire con gli stimoli che provengono dall’ambiente architettonico, il dialogo con la scrittura luminosa del neon della parola “significato”.
Le strutture originarie e il pavimento penetreranno il nostro sguardo come fossimo coautori dell’opera, un’opera che non si definisce chiusa ma in perenne passaggio da uno stadio “luminiscente all’altro”.
Le scritte luminose non costituiranno una decorazione della torre ma l’idea stessa di essa, ovvero la restituiranno come soggetto e contenuto del mostrare. Si tratta di un dispositivo tautologico le cui norme e i cui significati scompaiono e ricompaiono nel processo di ricongiungimento al campo della visione. Chiunque potrà farsi un’idea più o meno personale del luogo a partire da parole al neon azzurro, percepite come stimolatori d’idee, relazioni, abitudini e connessioni.
La varietà di parole tratte dalle scritture di tutto il mondo e le pareti in pietra assumeranno il valore di una nuova unità significante, o meglio un dispositivo dinamico dal quale viene generato un universo di sovrapposizioni e di relazioni tra vari livelli di lettura.
Giacomo Zaza
Breve Biografia e mostre collettive
Nato a Toledo, Ohio nel 1945 Joseph Kosuth ha studiato presso il Cleveland Art Institute e alla School of Visual Arts di New York. Ha frequentato corsi di filosofia e antropologia della New School for Social Research. Pioniere dell’arte concettuale negli anni ’60 Kosuth è stato l’iniziatore di un metodo operativo basato sul linguaggio e sulle strategie di appropriazione.
Kosuth ha creato installazioni sia in spazi espositivi interni che esterni. Tra questi: il Brooklyn Museum, la Neue Galerie di Kassel nella Documenta del 1992, l’Hirshhorn Museum, il Padiglione Ungherese alla Biennale di Venezia e la Biblioteca Bodleiana dell’Università di Oxford.
Opere in musei quali:
- The Museum of Modern Art, New York.
- The Tate Gallery, London, England.
- The Ludwig Collection, Colonia.
- The Solomon R. Guggenheim Museum, New York.
- The Whitney Museum of American Art, New York.
- The Stedelijk Museum, Amsterdam, The Netherlands.
- Musée National d’Art Modern, Centre Pompidou, Paris, France.
- Museum van Hedendaagse Kunts, Ghent, Belgium.
L’artista propone all’interno delle due sale della torre un percorso di scritte al neon, dove la parola “segnefecate” (significato) in dialetto molfettese viene ripetuta in diverse lingue (tedesco, giapponese, ungherese) lungo tutte le pareti dello spazio per arrivare alla parola nascosta oltre il foro centrale.
In numerose opere Kosuth ha utilizzato frasi di Sigmund Freud, per esempio nella serie “Zero & Not”: scritte cancellate da bande nere che finiscono per ostacolare la leggibilità completa della citazione, e metafora quelle emozioni rimosse che, secondo le posizioni freudiane, restano attive nell’inconscio.
Certamente la sostituzione dell’immagine con la parola, o la scritta, ci conduce verso una sorta di iconoclastia radicale. Kosuth ci giunge dopo varie fasi, prima riducendo l’immagine a sola fotografia documentaria, in seguito abolendola in favore di citazioni scritte ad essa riferite, oppure suggerita dalla mistione di riproduzioni d’opere d’arte con parole di filosofi e studiosi contemporanei.
In Kosuth regna unicamente il rapporto anticromatico nero-bianco, una riduzione sentita come azzeramento assoluto del colore, una cancellazione intransigente che eredita le affermazioni pronunciate pittoricamente dall’artista Ad Reinhardt durante gli anni cinquanta.
L’interesse per Wittgenstein è sottolineato da numerose mostre, tra cui “The Play of Unmentionable” presso il Brooklyn Museum nel 1990, volta a indagare le relazioni che si creano tra una cosa, la sua immagine visiva e la sua definizione verbale. Relazioni tra il linguaggio come catena di enunciati e la realtà (come spazio architettonico e referente), sono le basi logiche che caratterizzano le regole teoriche e le pratiche in base a cui si organizza ogni comunicazione, sia in ambito filosofico, sia in quello artistico.
Per Kosuth nessun’attività artistica può trascendere il contesto al quale dipende. L’opera può essere un libro, un tappeto, un’installazione murale, una bandiera, e trovare il suo significato dagli aspetti situazionali e ambientali esterni che la determinano come segno. Il supporto spaziale dell’opera, smaterializzata dall’uso della sola parola, diviene il suo rimando, la sostanza ad essa riferibile. La percezione è allargata da un segno dichiarativo e suggeritore, predisposto nell’aperto orizzonte sociale e culturale del pensiero. Qui l’utilizzo di citazioni sfonda quelle consuetudini formali affermatesi nelle arti visive: «Sono interessato allo scrivere e questo fa parte di un corpo più ampio di pensiero che ha influenzato gli orizzonti intellettuali di questo secolo e ha alterato il contesto culturale in seno al quale la nostra coscienza si è formata».
Dalla fine degli anni Sessanta Kosuth ha realizzato molti lavori con libri, brani tratti da saggi, che di volta in volta venivano letti seguendo il percorso installattivo da lui ideato.
Nel 1971 presso la galleria Leo Castelli di New York i fruitori abituali venivano invitati a sedersi su dei tavoli e a leggere dei testi con l’indicazione del tempo trascorso per la lettura si trasformavano da visitatori in lettori.
L’artista sposta l’attenzione del pubblico su cose e pensieri già esistenti, e cerca di affidare al pubblico la possibilità di creare nuove letture di un medesimo testo come in “Ottava Investigazione”.
Per l’opera realizzata in occasione della sua personale nel Torrione Passari di Molfetta, lo spettatore è chiamato a interagire con gli stimoli che provengono dall’ambiente architettonico, il dialogo con la scrittura luminosa del neon della parola “significato”.
Le strutture originarie e il pavimento penetreranno il nostro sguardo come fossimo coautori dell’opera, un’opera che non si definisce chiusa ma in perenne passaggio da uno stadio “luminiscente all’altro”.
Le scritte luminose non costituiranno una decorazione della torre ma l’idea stessa di essa, ovvero la restituiranno come soggetto e contenuto del mostrare. Si tratta di un dispositivo tautologico le cui norme e i cui significati scompaiono e ricompaiono nel processo di ricongiungimento al campo della visione. Chiunque potrà farsi un’idea più o meno personale del luogo a partire da parole al neon azzurro, percepite come stimolatori d’idee, relazioni, abitudini e connessioni.
La varietà di parole tratte dalle scritture di tutto il mondo e le pareti in pietra assumeranno il valore di una nuova unità significante, o meglio un dispositivo dinamico dal quale viene generato un universo di sovrapposizioni e di relazioni tra vari livelli di lettura.
Giacomo Zaza
Breve Biografia e mostre collettive
Nato a Toledo, Ohio nel 1945 Joseph Kosuth ha studiato presso il Cleveland Art Institute e alla School of Visual Arts di New York. Ha frequentato corsi di filosofia e antropologia della New School for Social Research. Pioniere dell’arte concettuale negli anni ’60 Kosuth è stato l’iniziatore di un metodo operativo basato sul linguaggio e sulle strategie di appropriazione.
Kosuth ha creato installazioni sia in spazi espositivi interni che esterni. Tra questi: il Brooklyn Museum, la Neue Galerie di Kassel nella Documenta del 1992, l’Hirshhorn Museum, il Padiglione Ungherese alla Biennale di Venezia e la Biblioteca Bodleiana dell’Università di Oxford.
Opere in musei quali:
- The Museum of Modern Art, New York.
- The Tate Gallery, London, England.
- The Ludwig Collection, Colonia.
- The Solomon R. Guggenheim Museum, New York.
- The Whitney Museum of American Art, New York.
- The Stedelijk Museum, Amsterdam, The Netherlands.
- Musée National d’Art Modern, Centre Pompidou, Paris, France.
- Museum van Hedendaagse Kunts, Ghent, Belgium.
16
luglio 2005
Joseph Kosuth
Dal 16 luglio al 31 agosto 2005
arte contemporanea
Location
TORRIONE PASSARI
Molfetta, Via Sant'orsola, 7, (Bari)
Molfetta, Via Sant'orsola, 7, (Bari)
Orario di apertura
tutti i giorni 11-13 e 19-22
Vernissage
16 Luglio 2005, ore 20
Sito web
www.protagonistidellarte.it
Autore
Curatore