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Aperto 2005 – Design archetipico ceramiche
La rassegna riprende il discorso iniziato lo scorso anno nel del fes- show room di Minori, quando furono organizzate con ottimo successo esposizioni d’arte, vuole essere il primo passo per la realizzazione di un appuntamento di rilievo, annuale, con l’arte contemporanea in costiera amalfitana
Comunicato stampa
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Forme di un Io arcaico
Claudia Gatto
Esiste una possibilità di comunicare, segreto appannaggio del mondo delle cose inanimate, di quelle “mute esistenze” incapaci per natura di parlare, se non attraverso il linguaggio che le mani di un artista hanno scelto di far loro indossare, ed è il potere di esprimersi anche attraverso il silenzio delle loro forme. È come se in questa seconda dimensione linguistica gli oggetti manifestassero una doppia personalità, il loro appartenere ad una realtà individuale e rumorosa, che parla attraverso le scelte estetiche e arbitrarie dell’artista, e, contemporaneamente, ad una realtà collettiva e insonora, che riconduce ogni forma ad una appartenenza comune e inevitabile, quella dell’archetipo. E l’archetipo, che Jung definisce come una “forma senza contenuto”, può così permettersi di vestire gli infiniti abiti che la mano del ceramista modella per ricoprirlo, per rispondere soggettivamente, attraverso la forza tutta materica dell’argilla, ad una “idea corpo” che esiste, perchè radicata istintivamente nella coscienza umana. E allora le opere si manifestano nella loro espressione sincera, frutto di una gestazione manuale che nasce dell’esigenza creativa attraverso la quale prendono forma i lavori di Monica Amendola, Maria Giovanna Benincasa, Enzo Caruso, Tonino D’Acunto, Peppe Di Muro, Sofia De Mas, Laura Di Santo, Nello Ferrigno, Marco Fusco, Lucio Liguori, Stefania Marano, Sergio Scognamiglio e Ferdinando Vassallo. È una selezione di ceramisti che da anni opera nel salernitano, la cui produzione, pur essendo portatrice dei geni della tradizione ceramica vietrese, è cresciuta secondo una propria esperienza, maturando un carattere che esterna la sua natura in una dimensione artistica sempre più plastica, sempre più scultorea. La ceramica non è più solo una “pelle”, da rivestire, sulla quale “tatuare” il segno della decorazione, ma è già di per se un corpo, completo, insieme significante e significato, che, spesso, non ha bisogno di rinunciare, in omaggio alle sue origini culturali, alla forza vitale del colore o al valore aggiunto del disegno, purché parte integrante della forma stessa, solo parole all’interno di un racconto. E così le opere “si espongono” a chi le osserva, siano esse volti immobili, enigmatici, lavorati e “lisciati” fino a perdere volutamente un’espressione individuabile, o figure zoomorfe, ironiche e improbabili oppure seriose e realistiche, nelle quali la negazione della forma della proporzione ricerca la natura primitiva delle cose. Ma l’archetipo è da scoprire con altrettanta forza anche nei lavori dalla geometria arcaica e in quelle figure intenzionalmente ambigue, la cui matrice linguistica deriva da immagini primigenie. Sono volumi nei quali il segno del contorno assume densità mutevoli, a volte definisce la forma con pienezza e rotondità, assicurandole una “rigida sinuosità”, a volte le estremità diventano spigolose, angoli vivi, quasi pungenti, in altre ancora, le superfici e i confini si fanno “incerti”, scabrosi, come sbriciolati sotto il lavorio delle dita, appositamente non finiti. E poco importa se non sempre è possibile attribuire un significato univoco alle opere, perché la natura stessa delle forme archetipiche richiede soltanto la percezione, cifra sensoriale comune, e non la comprensione. Allora, per questa realtà privilegiata, diventa superfluo qualunque segno decorativo di carattere narrativo e qualunque sovrastruttura formale sulla materia, ma è sufficiente l’appartenenza al vuoto silenzioso al quale ogni opera, mentre nasce dalla mano dell’artista, deve sottrarre spazio per esistere.
Claudia Gatto
Esiste una possibilità di comunicare, segreto appannaggio del mondo delle cose inanimate, di quelle “mute esistenze” incapaci per natura di parlare, se non attraverso il linguaggio che le mani di un artista hanno scelto di far loro indossare, ed è il potere di esprimersi anche attraverso il silenzio delle loro forme. È come se in questa seconda dimensione linguistica gli oggetti manifestassero una doppia personalità, il loro appartenere ad una realtà individuale e rumorosa, che parla attraverso le scelte estetiche e arbitrarie dell’artista, e, contemporaneamente, ad una realtà collettiva e insonora, che riconduce ogni forma ad una appartenenza comune e inevitabile, quella dell’archetipo. E l’archetipo, che Jung definisce come una “forma senza contenuto”, può così permettersi di vestire gli infiniti abiti che la mano del ceramista modella per ricoprirlo, per rispondere soggettivamente, attraverso la forza tutta materica dell’argilla, ad una “idea corpo” che esiste, perchè radicata istintivamente nella coscienza umana. E allora le opere si manifestano nella loro espressione sincera, frutto di una gestazione manuale che nasce dell’esigenza creativa attraverso la quale prendono forma i lavori di Monica Amendola, Maria Giovanna Benincasa, Enzo Caruso, Tonino D’Acunto, Peppe Di Muro, Sofia De Mas, Laura Di Santo, Nello Ferrigno, Marco Fusco, Lucio Liguori, Stefania Marano, Sergio Scognamiglio e Ferdinando Vassallo. È una selezione di ceramisti che da anni opera nel salernitano, la cui produzione, pur essendo portatrice dei geni della tradizione ceramica vietrese, è cresciuta secondo una propria esperienza, maturando un carattere che esterna la sua natura in una dimensione artistica sempre più plastica, sempre più scultorea. La ceramica non è più solo una “pelle”, da rivestire, sulla quale “tatuare” il segno della decorazione, ma è già di per se un corpo, completo, insieme significante e significato, che, spesso, non ha bisogno di rinunciare, in omaggio alle sue origini culturali, alla forza vitale del colore o al valore aggiunto del disegno, purché parte integrante della forma stessa, solo parole all’interno di un racconto. E così le opere “si espongono” a chi le osserva, siano esse volti immobili, enigmatici, lavorati e “lisciati” fino a perdere volutamente un’espressione individuabile, o figure zoomorfe, ironiche e improbabili oppure seriose e realistiche, nelle quali la negazione della forma della proporzione ricerca la natura primitiva delle cose. Ma l’archetipo è da scoprire con altrettanta forza anche nei lavori dalla geometria arcaica e in quelle figure intenzionalmente ambigue, la cui matrice linguistica deriva da immagini primigenie. Sono volumi nei quali il segno del contorno assume densità mutevoli, a volte definisce la forma con pienezza e rotondità, assicurandole una “rigida sinuosità”, a volte le estremità diventano spigolose, angoli vivi, quasi pungenti, in altre ancora, le superfici e i confini si fanno “incerti”, scabrosi, come sbriciolati sotto il lavorio delle dita, appositamente non finiti. E poco importa se non sempre è possibile attribuire un significato univoco alle opere, perché la natura stessa delle forme archetipiche richiede soltanto la percezione, cifra sensoriale comune, e non la comprensione. Allora, per questa realtà privilegiata, diventa superfluo qualunque segno decorativo di carattere narrativo e qualunque sovrastruttura formale sulla materia, ma è sufficiente l’appartenenza al vuoto silenzioso al quale ogni opera, mentre nasce dalla mano dell’artista, deve sottrarre spazio per esistere.
10
settembre 2005
Aperto 2005 – Design archetipico ceramiche
Dal 10 al 30 settembre 2005
arte contemporanea
Location
FËS SHOW ROOM
Minori, Via Roma, 24, (Salerno)
Minori, Via Roma, 24, (Salerno)
Autore
Curatore