30 agosto 2013

L’intervista/Hou Hanru Benvenuto Hou!

 
Tra Kant e Gramsci. Tra il “bocciolo” e il “vulcano”, come metafore del museo. Con un curriculum impeccabile e molta generosità, il nuovo direttore del MAXXI è stato presentato ieri, non senza qualche sorpresa. Perché Hou Hanru vede nell’arte il terreno per rinegoziare un progetto di democrazia sociale e pensa il museo come l’argine per riassestare i rapporti tra il mercato e l’arte stessa. Un bella sfida, dunque, dove l’Italia può fare la sua parte [A.P.]

di

MAXXI, Hou Hanru, foto: Musacchio e Ianniello

Biennale di Venezia 2003, sì la Biennale delle polemiche: il caldo mostruoso, il gran baillame creativo e curatoriale messo in piedi da Francesco Bonami che lì per lì lasciò scettici in parecchi. Ma in questa Biennale arroventata e incasinata c’era un’area perfetta: Z.O.U., Zone of Urgency, una sorta di padiglione asiatico allargato, dove già l’allestimento raccontava molto della trasformazione in atto in quella parte del mondo. Era rumoroso e sorprendente, ricco. Pulsava di vita. Era una gioia degli occhi e del cervello: scoprire, capire, guardare. Ed era firmato Hou Hanru, cinese, che oggi ha 50 anni ma che, come tutti orientali, ne dimostra almeno dieci di meno, e che quando di anni ne aveva 26 ha lasciato la Cina alla volta del mondo. Prima Parigi, la sua seconda casa, poi diventando curatore globe trotter o nomade, per dirla con Szeemann e Obrist, occupandosi di varie Biennali: Tirana (2005), Istanbul (2007), Lione (2009), più una manciata di Triennali e con incarichi di consulenze in vari musei del mondo fino ad essere negli ultimi anni “Chair” delle Mostre e degli Studi del San Francisco Art Institute. 
Oggi Hou Hanru è il nuovo direttore del MAXXI. Per certi versi, un ritorno a casa, visto che in Italia, nel lontano 1991, frequentò il corso per curatori allora messo in piedi, con tempi e lungimiranza decisamente pionieristici, al Centro Pecci di Prato dall’allora direttore Amnon Barzel. Un particolare che Hanru ricorda con affetto. 
ZOU Zone of Urgency, Biennale di Venezia, 2003

La sua nomina arriva dopo nove mesi dall’insediamento del CdA, presieduto da Giovanna Melandri (presidente della fondazione MAXXI) e dove siedono Beatrice Trussardi e Monique Veaute. E diciamolo subito: un’ottima nomina, meglio non si poteva sperare, sebbene Hanru non sia propriamente un direttore, ma più un curatore. Raffinato, di grande intelligenza e sensibilità, generoso, come ha dimostrato nell’affollata e lunghissima conferenza stampa di ieri. Un intellettuale che cita Gramsci e Kant, come esempi di pensatori internazionali «perché il loro pensiero ha cambiato il mondo, pur non muovendosi da casa o stando in prigione» e che è attento alla visione teorica dell’arte, a che cosa significa oggi l’arte, che ruolo e che senso ha nell’accidentata complessità del nostro mondo globale. 
Ed è da qui che è partito nell’incontro di ieri con cui è stato presentato alla stampa, dove soprattutto Melandri e Hanru si sono spesi parecchio. Una per presentare il MAXXI – incremento di pubblico, finanziamenti, obiettivi di sostenibilità e prossimi progetti –  a questo nuovo giro di boa. E Hanru per raccontare la sua idea del museo, come «baluardo critico» e dell’arte, come punto di snodo  per «reinventare la progettualità sociale in un’epoca dove i modelli finanziari tendono a soppiantare i valori della democrazia messi in luce dopo la seconda guerra mondiale. Per ripensare la crisi quindi– afferma Hanru, citando Giorgio Agamben – e un generale progetto di economia e di società, dentro il quale c’è anche il museo, senza replicare quello che è già successo a New York, ma da una prospettiva europea dove la l’Italia occupa una posizione molto interessante per il suo essere al centro del Mediterraneo, scenario di cambiamenti e di crisi». L’abbiamo intervistato dopo la conferenza stampa, partendo proprio dal suo ritorno in Europa.
ZOU Zone of Urgency, Biennale di Venezia, 2003

Contento di essere qui, di aver lasciato gli Stati Uniti, intendo?
«Assolutamente sì».
Del resto la tua formazione è molto europea, francese. Anche questa idea del museo come luogo di ricerca, è molto illuminista. Sei d’accordo?
«Sì, e apprezzo il fatto che sottolinei una formazione europea. Penso a un museo come a un vero laboratorio di menti pensanti, ma in senso molto dinamico: come un luogo di energie. Come ho già detto, lo immagino come un bocciolo, un fiore che deve ancora maturare, soprattutto il MAXXI, ma anche come un vulcano».
Hai detto anche vuoi arginare la prepotenza del mercato e hai scritto che vuoi spostare l’asse su cui poggia il museo dall’intrattenimento alla ricerca. Ma i costi gestionali dei musei impongono che sia un luogo di intrattenimento, altrimenti non c’è sostenibilità. E questo problema è particolarmente forte in Italia dove i fondi per la cultura sono notoriamente scarsi. Che ne pensi di questo?
«Ne sono consapevole e naturalmente nutro un certo ottimismo, altrimenti non sarei neanche qui. Ma penso anche che non abbiamo bisogno necessariamente di tanti soldi. Da questo punto di vista, il museo è veramente una grossa questione. Perché deve essere un luogo di ricerca, ma questo non esclude che sia anche un luogo di intrattenimento. Bisogna distinguere tra i vari livelli di quello che intendiamo per intrattenimento, come per il mercato, che non è tutto da biasimare e verso il quale non mi sento contrario in toto. Nel mercato rientrano anche gli sponsor, i privati che sono cittadini di una sfera pubblica e che come tali vanno coinvolti nella sua progettazione. Quello che è cruciale nel museo è rendere possibile un’esperienza di uguaglianza, anche per chi non è attrezzato a capire l’arte. Che una visita al museo si porti dietro una domanda e la voglia di tornarci per capire».
MAXXI, da sinistra Trussardi, Melandri, Hou Hanru, Veaute e Spano, foto: Musacchio e Ianniello

Con il tuo arrivo il MAXXI si trova ad affrontare anche un problema di organigramma interno, di ripartizioni di ruoli e funzioni. Come ti poni di fronte ai due direttori già esistenti?
«Ho intenzione di promuovere una discussione molto aperta, cominciando proprio con le direttrici del MAXXI Arte e del MAXXI Architettura, che hanno fatto un ottimo lavoro. Ma voglio coinvolgere anche i curatori, le persone che lavorano nella comunicazione, nel funding e ovviamente nella didattica. Il museo come luogo di ricerca e di pensiero deve coinvolgere chiunque ci lavori dentro. Il dialogo per riconcettualizzarlo è fondamentale e altrettanto lo è capire se e quanto il museo aiuti a vivere meglio». 
Nella tua vita ti sei spostato molto per lavoro, ma dove ti senti a casa, se hai una casa da qualche parte?
«La mia casa è la mia famiglia, ho una vita familiare piuttosto intima. Ma poi il mondo dell’arte e dell’architettura sono una grande famiglia».
Un’ultima domanda: che ne pensi dell’Italia e degli italiani?
«Accidenti, è difficile rispondere, penso tante cose e non ho una visione univoca. Per esempio penso che ci sono due cose molto importanti: una grande diversità culturale e una grande apertura mentale che ha permesso all’Italia di avere una cultura cosmopolita. Ma la diversità culturale significa anche che la gente è fiera di sentirsi di Roma piuttosto che di Firenze o di Milano, che è fiera delle proprie origini, ma poi  mostra disprezzo per la propria storia. Penso anche però che l’Italia più moderna mostri interesse ad andare oltre la cultura italiana».

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