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51 Biennale. Padiglione israeliano – Guy Ben Ner
Treehouse Kit (2005), la pièce che Guy Ben-Ner ha creato appositamente per il padiglione israeliano a Venezia, fa riferimento ai primi film che hanno influenzato la sua opera, come One week (1920) di Buster Keaton che, come Treehouse Kit, è una storia/farsa grossolana di oggetti piuttosto che di esseri umani e un tentativo riuscito di ridicolizzare il moderno mito del DIY (do it yourself/fallo da solo)
Comunicato stampa
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ISRAELE
Guy Ben Ner
Commissario: Sergio Edelsztein. Commissari aggiunti: Diana Shoef, Arad Turgeman
Sede: Padiglione ai Giardini
Guy Ben-Ner è l’artista invitato a rappresentare Israele alla 51.a Biennale di Venezia.
Nato nel 1969 a Ramat Gan e laureato in Belle Arti nel 1996, nel 2001 si trasferisce a New York per continuare i suoi studi presso la Columbia University. Fin dagli inizi la sua produzione artistica appare incentrata sulla sua stessa persona e sulla relazione con la sua famiglia. Esaminando (sia emotivamente che fisicamente) all’interno del proprio ambito privato le differenti specie di costruzioni e di circostanze familiari, l’artista induce il suo pubblico a riflettere su valori universali e sui comportamenti che scaturiscono dalla connessione tra l’ambito sociale e le attitudini naturali degli esseri umani.
Sebbene siano girati in casa e coinvolgano spesso i suoi bambini, i film di Ben-Ner sono ben lontani, per struttura narrativa e valore formale, dal film amatoriale: essi appaiono infatti come sequenze di scene accuratamente pianificate spesso precedute da un copioso story-board di disegni e di studi. L’interesse per i lavori realizzati intorno alla metà degli anni ‘60 e i primi ’70 da body-artists come Bruce Nauman, Vito Acconci e Dennis Oppenheim e la fascinazione per situazioni filmiche in cui il regista, il cameraman, il primo attore e la controfigura costituiscono un tutt’uno, portano Ben-Ner ad approfondire il suo interesse per i primi film di Harold Lloyd, Charlie Chaplin e, in modo particolare, per l’opera cinematografica di Buster Keaton. Il lavoro di questi registi-pionieri, infatti, influenzerà i suoi film come forma di omaggio e di parafrasi. In questo senso, la comicità grossolana – che Ben-Ner considera come un'espressione della Body-Art – avrà un ruolo principale nella formazione del suo interesse narrativo e nel suo linguaggio cinematografico. “Un'ulteriore lezione da Buster Keaton e del suo significativo milieu è per Ben-Ner il suo "lavorare con la famiglia", il che si riflette sulla sua opera come un totale superamento del confine tra vita professionale e vita privata, tra la “casa” e il “palco””. (Sergio Edelsztein).
Treehouse Kit (2005), la pièce che Guy Ben-Ner ha creato appositamente per il padiglione israeliano a Venezia, fa riferimento ai primi film che hanno influenzato la sua opera, come One week (1920) di Buster Keaton che, come Treehouse Kit, è una storia/farsa grossolana di oggetti piuttosto che di esseri umani e un tentativo riuscito di ridicolizzare il moderno mito del DIY (do it yourself/fallo da solo).
L’oggetto, protagonista del film, è un albero realizzato con vecchi arredi e concepito come un “oggetto artistico”. Il film costituisce un ”manuale di istruzioni” volto ad insegnare allo spettatore come riuscire a procurarsi, da un albero, l’arredamento necessario per vivere in modo comodo e rilassato. Nel film, Ben-Ner assume nuovamente il ruolo di Robinson Crusoe, già protagonista del suo primo video che, tornato sulla sua isola, sembra adesso meno propenso a perdersi nelle sue pietose elucubrazioni filosofiche e pensare esclusivamente al lavoro, utilizzando parti dell’albero per costruire l’arredamento di cui ha bisogno, nello stesso modo in cui il protagonista del romanzo di Defoe costruisce il suo rifugio dai resti della barca con la quale è naufragato.
Treehouse Kit ci riporta ai suoi primi film d’avventura come Berkeley’s Island (1999) - lavoro nel quale l’artista elabora il principio dell’“artista domestico” e che chiaramente segue la storia del Robinson Crusoe di Defoe – o come Moby Dick (2000) - esplicito rifacimento del famoso romanzo sulla caccia alla balena bianca di Herman Melville e in cui la cucina di Ben-Ner, che precedentemente costituiva la casa in Berkeley’s Island, é trasformata in una baleniera – ed ancora come Wild Boy (2004) - che narra dei tentativi di addomesticare ed educare un ragazzino ed è ispirato sia alla ricca produzione letteraria della fine del XVIII secolo sulla tematica dei “bambini selvaggi”, sia al capolavoro di Truffaut L’enfant sauvage (1970). In Treehouse Kit la metafora di tutti i processi educativi - basati sulla distruzione di qualcosa per la creazione di qualcos’altro - appare decisamente forte e finalizzata da un lato a sollevare dubbi sul nostro concetto di civilizzazione, dall’altro a far luce sull’ossessione contemporanea sia per “il naturale“ che per i sistemi formativi. Il film fa inoltre riferimento al mito modernista del ready-made e “…ricrea e reinterpreta il principio enunciato da Pablo Picasso in riferimento alla sua opera Testa di toro, scultura realizzata con un manubrio e un sellino di bicicletta (1942, Museo Picasso, Parigi) - «che qualcuno possa trovare questa “testa di toro” e farne una bicicletta» - portando così il processo lineare di trasformazione degli oggetti comuni in opere d’arte ad evolversi in un processo circolare che vede l’opera d’arte trasformarsi in oggetto d’uso comune”. (Sergio Edelsztein)
Guy Ben Ner
Commissario: Sergio Edelsztein. Commissari aggiunti: Diana Shoef, Arad Turgeman
Sede: Padiglione ai Giardini
Guy Ben-Ner è l’artista invitato a rappresentare Israele alla 51.a Biennale di Venezia.
Nato nel 1969 a Ramat Gan e laureato in Belle Arti nel 1996, nel 2001 si trasferisce a New York per continuare i suoi studi presso la Columbia University. Fin dagli inizi la sua produzione artistica appare incentrata sulla sua stessa persona e sulla relazione con la sua famiglia. Esaminando (sia emotivamente che fisicamente) all’interno del proprio ambito privato le differenti specie di costruzioni e di circostanze familiari, l’artista induce il suo pubblico a riflettere su valori universali e sui comportamenti che scaturiscono dalla connessione tra l’ambito sociale e le attitudini naturali degli esseri umani.
Sebbene siano girati in casa e coinvolgano spesso i suoi bambini, i film di Ben-Ner sono ben lontani, per struttura narrativa e valore formale, dal film amatoriale: essi appaiono infatti come sequenze di scene accuratamente pianificate spesso precedute da un copioso story-board di disegni e di studi. L’interesse per i lavori realizzati intorno alla metà degli anni ‘60 e i primi ’70 da body-artists come Bruce Nauman, Vito Acconci e Dennis Oppenheim e la fascinazione per situazioni filmiche in cui il regista, il cameraman, il primo attore e la controfigura costituiscono un tutt’uno, portano Ben-Ner ad approfondire il suo interesse per i primi film di Harold Lloyd, Charlie Chaplin e, in modo particolare, per l’opera cinematografica di Buster Keaton. Il lavoro di questi registi-pionieri, infatti, influenzerà i suoi film come forma di omaggio e di parafrasi. In questo senso, la comicità grossolana – che Ben-Ner considera come un'espressione della Body-Art – avrà un ruolo principale nella formazione del suo interesse narrativo e nel suo linguaggio cinematografico. “Un'ulteriore lezione da Buster Keaton e del suo significativo milieu è per Ben-Ner il suo "lavorare con la famiglia", il che si riflette sulla sua opera come un totale superamento del confine tra vita professionale e vita privata, tra la “casa” e il “palco””. (Sergio Edelsztein).
Treehouse Kit (2005), la pièce che Guy Ben-Ner ha creato appositamente per il padiglione israeliano a Venezia, fa riferimento ai primi film che hanno influenzato la sua opera, come One week (1920) di Buster Keaton che, come Treehouse Kit, è una storia/farsa grossolana di oggetti piuttosto che di esseri umani e un tentativo riuscito di ridicolizzare il moderno mito del DIY (do it yourself/fallo da solo).
L’oggetto, protagonista del film, è un albero realizzato con vecchi arredi e concepito come un “oggetto artistico”. Il film costituisce un ”manuale di istruzioni” volto ad insegnare allo spettatore come riuscire a procurarsi, da un albero, l’arredamento necessario per vivere in modo comodo e rilassato. Nel film, Ben-Ner assume nuovamente il ruolo di Robinson Crusoe, già protagonista del suo primo video che, tornato sulla sua isola, sembra adesso meno propenso a perdersi nelle sue pietose elucubrazioni filosofiche e pensare esclusivamente al lavoro, utilizzando parti dell’albero per costruire l’arredamento di cui ha bisogno, nello stesso modo in cui il protagonista del romanzo di Defoe costruisce il suo rifugio dai resti della barca con la quale è naufragato.
Treehouse Kit ci riporta ai suoi primi film d’avventura come Berkeley’s Island (1999) - lavoro nel quale l’artista elabora il principio dell’“artista domestico” e che chiaramente segue la storia del Robinson Crusoe di Defoe – o come Moby Dick (2000) - esplicito rifacimento del famoso romanzo sulla caccia alla balena bianca di Herman Melville e in cui la cucina di Ben-Ner, che precedentemente costituiva la casa in Berkeley’s Island, é trasformata in una baleniera – ed ancora come Wild Boy (2004) - che narra dei tentativi di addomesticare ed educare un ragazzino ed è ispirato sia alla ricca produzione letteraria della fine del XVIII secolo sulla tematica dei “bambini selvaggi”, sia al capolavoro di Truffaut L’enfant sauvage (1970). In Treehouse Kit la metafora di tutti i processi educativi - basati sulla distruzione di qualcosa per la creazione di qualcos’altro - appare decisamente forte e finalizzata da un lato a sollevare dubbi sul nostro concetto di civilizzazione, dall’altro a far luce sull’ossessione contemporanea sia per “il naturale“ che per i sistemi formativi. Il film fa inoltre riferimento al mito modernista del ready-made e “…ricrea e reinterpreta il principio enunciato da Pablo Picasso in riferimento alla sua opera Testa di toro, scultura realizzata con un manubrio e un sellino di bicicletta (1942, Museo Picasso, Parigi) - «che qualcuno possa trovare questa “testa di toro” e farne una bicicletta» - portando così il processo lineare di trasformazione degli oggetti comuni in opere d’arte ad evolversi in un processo circolare che vede l’opera d’arte trasformarsi in oggetto d’uso comune”. (Sergio Edelsztein)
10
giugno 2005
51 Biennale. Padiglione israeliano – Guy Ben Ner
Dal 10 giugno al 06 novembre 2005
arte contemporanea
Location
GIARDINI CASTELLO – PADIGLIONE ISRAELIANO
Venezia, Fondamenta dell'Arsenale, (Venezia)
Venezia, Fondamenta dell'Arsenale, (Venezia)
Orario di apertura
tutti i giorni 10-18. Lunedì chiuso (eccetto lunedì 13 giugno 2005)
Sito web
www.cca.org.il/guy-ben-ner
Autore
Curatore