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Quasi niente
La poetica degli 8 artisti in mostra scaturisce dalla loro capacità di creare contenuto a partire da q u a s i n i e n t e
Comunicato stampa
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La poetica degli 8 artisti in mostra scaturisce dalla loro capacità di creare contenuto a partire da q u a s i n i e n t e.
Soap televisive, fili per la corrente, manichini dismessi, identità riciclate…
L’estetica in gioco è quella della fragilità, della modestia e della vulnerabilità, spinta a volte verso l’assurdo.
Strategie leggere, strutture agili, idonee a rendere questi artisti, come chiede Stuart Hall, “gli agenti reali di una specie di globalizzazione dal basso legata alla differenza, all’eterogeneità, al pluralismo, che non intende sottostare a una forma artistica, che non viene inglobata da alcun linguaggio artistico né da un paradigma politico, da una forma di Stato o da uno stile economico”.
La collettiva q u a s i n i e n t e è una sorta di rito di passaggio estivo tra la prima e la seconda stagione espositiva di e x t r a s p a z i o.
Partecipano, con lavori non ancora visti in Italia, Farhad Moshiri (che propone un video-collage realizzato insieme a Shirine Aliabadi), Kaoru Arima e Toma Muteba Luntumbue, che hanno già collaborato con la galleria nel 2004/05. Joe Duggan, Samuel Fosso, Laurent Grasso e Aurora Reinhard realizzeranno le loro personali nel 2005/06 e si presentano in quest’occasione per la prima volta.
Nel video Julio & Lupitá di Aurora Reinhard (Helsinki, 1975), un uomo latino di mezz’età, Julio, balla con abbandono insieme all’inespressiva Lupitá, una bambola in minigonna a grandezza naturale. Danzando, la bambola si contorce in posizioni strane e a volte addirittura perverse, mentre uno spettrale ritmo latino suona in sottofondo ed una scenografia nera accresce l’atmosfera surreale. Il video verrà anche proiettato in occasione dell’apertura della Biennale di Venezia 2005 presso il Campo Santa Margherita, Dorsoduro.
Un’altra opera dell’artista (Female Gloves) consiste in un paio di mani in lycra corredato di unghie laccate di rosso: ancora un simulacro del femminile.
Il lavoro di Toma Muteba Luntumbue (Kinshasa, 1962) si fonda sulla fascinazione dell’artista per oggetti usurati, logori, per i rifiuti della vita urbana. Nel caso delle sculture esposte, realizzate con fili elettrici e legno, Luntumbue affianca degli objects trouvés dalla tecnologia erroneamente ritenuta elementare ad ‘artefatti’ di sua produzione, utilizzando materiali apparentemente incongruenti all’interno di un linguaggio intenzionalmente più affine al bric à brac che all’arte in senso tradizionale. “La scelta di materiali a bassa fedeltà … dà all’intera operazione un’agilità da teatrino portatile, frizzante e precaria, che nulla toglie alla [sua] carica problematica” (Pericle Guaglianone). L’intenzione di Luntumbue è quella di interrogare l‘inclinazione a costruire dell’artista e dell’uomo in generale.
Da alcuni mesi, nei periodi d’ansia che separano la lavorazione dei suoi video, Laurent Grasso (Mulhouse, 1972) disegna con un sottile pennello cerchi di acquarello che stingono sulla carta l’uno nell’altro.
Tracciati esili, aerei e misteriosi, che riprendono graficamente il movimento di camera circolare e fluttuante, che gira magneticamente attorno alle cose, utilizzato da Grasso in alcuni suoi video. Ed anche la suggestione degli stormi di uccelli che si muovono a spirali nel cielo di Roma, le cui dinamiche segrete e quasi magiche per l’occhio dell’artista pare siano legate al funzionamento dei neuroni-specchio, che inducono la ripetizione di uno stesso movimento sulla base di automatismi imitativi.
Samuel Fosso (Kumba, 1962) ricicla delle identità. Nei suoi autoritratti non mette in scena se stesso: le fotografie si ispirano a situazioni e personaggi che lui conosce, immagina di nuovo, rivive. “Il suo lavoro è probabilmente uno dei primi esempi di commento ponderato sulla mascolinità, il genere, l’identità e la sessualità nell’Africa contemporanea” (Okwui Enwezor).
Joe Duggan (Limerick,1973) vive a Londra con manichini, bambole e animali impagliati, che porta al parco per fotografarsi con loro in dolci, tranquilli quadri di famiglia. Così tranquilli da insospettirci.
E difatti il ritratto David sembra parlarci di notti interiori o, come Raymond Chandler diceva a proposito dei suoi noir: buie con qualcosa in più della sola notte.
Mitologie trasfigurate ed icone underground, ansia primordiale e serenità assoluta, sarcasmo pungente e poesia naïve: sulla miscela di questi elementi, distillati però volta per volta fino all’essenziale, poggia la natura bizzarra dei nervosi disegni di Kaoru Arima (Komaki, 1969), tracciati su pagine strappate da un’edizione in lingua originale dell’Huckleberry Finn di Mark Twain.
In modo obliquo, la sua opera sembra seguire la tradizione poetica dell’haiku, mescolando inoltre riferimenti culturali giapponesi e stranieri ad un’attitudine di tipo filosofico e ad un humor freddo. La dimensione sovversiva del suo lavoro deriva dal fatto che ognuno degli elementi o dei linguaggi in gioco produce una critica degli altri, senza che si possa stabilire al loro interno alcuna gerarchia.
Shirine Aliabadi (Teheran, 1973) e Farhad Moshiri (Shiraz, 1963) presentano un video-collage, Tehran TV Disoriented, basato sul cut & paste di sequenze tipiche tratte dalle più famose soap operas della TV iraniana: dall’inconsistenza e banalità della fiction televisiva, per di più mutilata di senso grazie all’uso strategico ed ironico della censura, emergono bislacche cartoline che danno l’idea delle contraddizioni sociali ed estetiche che attraversano l’odierna Teheran. “La fascinazione che scaturisce da questo lavoro è una vertigine di segni che i due artisti estraggono dalla società contemporanea iraniana e spingono ad un livello di eccesso visivo” (Teresa Macrí).
Soap televisive, fili per la corrente, manichini dismessi, identità riciclate…
L’estetica in gioco è quella della fragilità, della modestia e della vulnerabilità, spinta a volte verso l’assurdo.
Strategie leggere, strutture agili, idonee a rendere questi artisti, come chiede Stuart Hall, “gli agenti reali di una specie di globalizzazione dal basso legata alla differenza, all’eterogeneità, al pluralismo, che non intende sottostare a una forma artistica, che non viene inglobata da alcun linguaggio artistico né da un paradigma politico, da una forma di Stato o da uno stile economico”.
La collettiva q u a s i n i e n t e è una sorta di rito di passaggio estivo tra la prima e la seconda stagione espositiva di e x t r a s p a z i o.
Partecipano, con lavori non ancora visti in Italia, Farhad Moshiri (che propone un video-collage realizzato insieme a Shirine Aliabadi), Kaoru Arima e Toma Muteba Luntumbue, che hanno già collaborato con la galleria nel 2004/05. Joe Duggan, Samuel Fosso, Laurent Grasso e Aurora Reinhard realizzeranno le loro personali nel 2005/06 e si presentano in quest’occasione per la prima volta.
Nel video Julio & Lupitá di Aurora Reinhard (Helsinki, 1975), un uomo latino di mezz’età, Julio, balla con abbandono insieme all’inespressiva Lupitá, una bambola in minigonna a grandezza naturale. Danzando, la bambola si contorce in posizioni strane e a volte addirittura perverse, mentre uno spettrale ritmo latino suona in sottofondo ed una scenografia nera accresce l’atmosfera surreale. Il video verrà anche proiettato in occasione dell’apertura della Biennale di Venezia 2005 presso il Campo Santa Margherita, Dorsoduro.
Un’altra opera dell’artista (Female Gloves) consiste in un paio di mani in lycra corredato di unghie laccate di rosso: ancora un simulacro del femminile.
Il lavoro di Toma Muteba Luntumbue (Kinshasa, 1962) si fonda sulla fascinazione dell’artista per oggetti usurati, logori, per i rifiuti della vita urbana. Nel caso delle sculture esposte, realizzate con fili elettrici e legno, Luntumbue affianca degli objects trouvés dalla tecnologia erroneamente ritenuta elementare ad ‘artefatti’ di sua produzione, utilizzando materiali apparentemente incongruenti all’interno di un linguaggio intenzionalmente più affine al bric à brac che all’arte in senso tradizionale. “La scelta di materiali a bassa fedeltà … dà all’intera operazione un’agilità da teatrino portatile, frizzante e precaria, che nulla toglie alla [sua] carica problematica” (Pericle Guaglianone). L’intenzione di Luntumbue è quella di interrogare l‘inclinazione a costruire dell’artista e dell’uomo in generale.
Da alcuni mesi, nei periodi d’ansia che separano la lavorazione dei suoi video, Laurent Grasso (Mulhouse, 1972) disegna con un sottile pennello cerchi di acquarello che stingono sulla carta l’uno nell’altro.
Tracciati esili, aerei e misteriosi, che riprendono graficamente il movimento di camera circolare e fluttuante, che gira magneticamente attorno alle cose, utilizzato da Grasso in alcuni suoi video. Ed anche la suggestione degli stormi di uccelli che si muovono a spirali nel cielo di Roma, le cui dinamiche segrete e quasi magiche per l’occhio dell’artista pare siano legate al funzionamento dei neuroni-specchio, che inducono la ripetizione di uno stesso movimento sulla base di automatismi imitativi.
Samuel Fosso (Kumba, 1962) ricicla delle identità. Nei suoi autoritratti non mette in scena se stesso: le fotografie si ispirano a situazioni e personaggi che lui conosce, immagina di nuovo, rivive. “Il suo lavoro è probabilmente uno dei primi esempi di commento ponderato sulla mascolinità, il genere, l’identità e la sessualità nell’Africa contemporanea” (Okwui Enwezor).
Joe Duggan (Limerick,1973) vive a Londra con manichini, bambole e animali impagliati, che porta al parco per fotografarsi con loro in dolci, tranquilli quadri di famiglia. Così tranquilli da insospettirci.
E difatti il ritratto David sembra parlarci di notti interiori o, come Raymond Chandler diceva a proposito dei suoi noir: buie con qualcosa in più della sola notte.
Mitologie trasfigurate ed icone underground, ansia primordiale e serenità assoluta, sarcasmo pungente e poesia naïve: sulla miscela di questi elementi, distillati però volta per volta fino all’essenziale, poggia la natura bizzarra dei nervosi disegni di Kaoru Arima (Komaki, 1969), tracciati su pagine strappate da un’edizione in lingua originale dell’Huckleberry Finn di Mark Twain.
In modo obliquo, la sua opera sembra seguire la tradizione poetica dell’haiku, mescolando inoltre riferimenti culturali giapponesi e stranieri ad un’attitudine di tipo filosofico e ad un humor freddo. La dimensione sovversiva del suo lavoro deriva dal fatto che ognuno degli elementi o dei linguaggi in gioco produce una critica degli altri, senza che si possa stabilire al loro interno alcuna gerarchia.
Shirine Aliabadi (Teheran, 1973) e Farhad Moshiri (Shiraz, 1963) presentano un video-collage, Tehran TV Disoriented, basato sul cut & paste di sequenze tipiche tratte dalle più famose soap operas della TV iraniana: dall’inconsistenza e banalità della fiction televisiva, per di più mutilata di senso grazie all’uso strategico ed ironico della censura, emergono bislacche cartoline che danno l’idea delle contraddizioni sociali ed estetiche che attraversano l’odierna Teheran. “La fascinazione che scaturisce da questo lavoro è una vertigine di segni che i due artisti estraggono dalla società contemporanea iraniana e spingono ad un livello di eccesso visivo” (Teresa Macrí).
30
maggio 2005
Quasi niente
Dal 30 maggio al 15 settembre 2005
arte contemporanea
Location
EXTRASPAZIO
Roma, Via Di San Francesco Di Sales, 16A, (Roma)
Roma, Via Di San Francesco Di Sales, 16A, (Roma)
Orario di apertura
dal lunedì al venerdì dalle 15.30 alle 19.30. La galleria resterà chiusa per ferie dal 30 luglio al 4 settembre
Vernissage
30 Maggio 2005, ore 19
Autore