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Ercole Drei – Dalla Secessione al Classicismo del Novecento
Una mostra dedicata ad Ercole Drei è stata lungamente attesa dagli appassionati di scultura italiana del ‘900
Comunicato stampa
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Una mostra dedicata ad Ercole Drei è stata lungamente attesa dagli appassionati di scultura italiana del ‘900. A vent’anni dalla grande antologica faentina del 1986, ospitata in trasferta a Roma nella sede di Palazzo Venezia, il progetto di rifare il punto sull’autore dell’Ercole dello Stadio dei Marmi, tanto per citare una delle sue opere monumentali più note, prende finalmente corpo nella Galleria di Francesca Antonacci.
Le ragioni dell’incontro tra un’antiquaria romana che ha legato la propria immagine professionale soprattutto alla predilezione per il periodo neoclassico ed uno scultore giunto all’apice del successo tra gli anni ’20 e ’40 del secolo scorso sono efficacemente spiegate da una fotografia, pubblicata a pagina 13 del catalogo che accompagna l’esposizione. In posa davanti all’obiettivo vediamo un gruppo di giovani accuratamente abbigliati in abiti stile impero. Tra gli uomini, il terzo da destra è Ercole Drei, ben contento di rispondere in quel modo ironico e un po’ irriverente ai critici che avevano affibbiato a lui e ai suoi amici l’etichetta di neoclassici. E neoclassici o, meglio, orientati verso istanze di tipo classicista, lo erano davvero i pittori e gli scultori di Villa Strohl-fern (la foto è stata scattata all’inizio degli anni ’20 proprio nella pineta della villa), in un contesto, però, in cui il recupero e la rielaborazione dei valori della grande tradizione artistica italiana assumeva un significato di rottura rispetto agli ultimi stanchi esiti della stagione simbolista e di quella verista. Centro di avanguardia culturale sin dal tempo delle Secessioni (1913-16), la comunità di artisti ospitata dal mecenate alsaziano Alfred Strohl negli studi edificati nel suo splendido parco a ridosso di Villa Borghese divenne, nel secondo decennio del ‘900, il luogo di raccolta dei più interessanti esponenti dell’area romana di Novecento e, più in generale, di quel fenomeno artistico comunemente conosciuto come ritorno all’ordine. Ercole Drei era uno di loro.
Di se stesso scrive: “Sono nato a Faenza (nel 1886) nel paese della ceramica…Ho quindi imparato prima il mestiere, poi l’arte”. In realtà, la sua prima formazione è molto meno artigianale di quanto vorrebbe far credere. Giovanissimo, ha infatti la fortuna di legarsi ad uno degli artisti più interessanti della sua città: Domenico Baccarini, che lo ammette a frequentare il suo raffinato cenacolo culturale. Nel 1912, la vittoria del Pensionato Artistico Nazionale gli consente di trasferirsi a Roma. La mostra che Francesca Antonacci gli dedica è stata pensata come un percorso attraverso le tappe più significative alla sua carriera, a partire proprio dall’arrivo nella capitale. Inizialmente, ad attrarlo è la novità secessionista, rappresentata dagli artisti e dagli intellettuali che hanno scelto come punto di ritrovo la terza sala del Caffè Aragno. Un gruppo nel quale il bel ragazzo di provincia individua “il meglio artistico di Roma” e al cui interno si inserisce da subito con facilità.
A questo periodo appartengono una serie di piccole opere di grande eleganza formale: in primis La Danzatrice con il cerchio ed Estasi d’amore, entrambe realizzate nel 1913, ma concepite in modo diametralmente opposto. Se, infatti, la Danzatrice, esposta alla Prima Secessione, volge verso una ricerca di dinamismo e di stilizzazione di tipo decò, il sensuale impressionismo di Estasi sembra invece essere un’esercitazione ad uso privato sulla scia delle suggestioni ricevute dopo le prime mostre romane di Rodin e Paul Troubetzkoy. Del ’13 è anche Brezza, esposta alla Seconda Secessione, e del ’14 la splendida Dafne, rappresentata, tutta sbilanciata all’indietro, nel concitato momento in cui inizia a trasformarsi in albero. La volumetrica Eva del 1915, opera con la quale per la seconda volta vince il Pensionato Artistico Nazionale, rappresenta il punto di arrivo di questa prima fase della carriera di Drei e preannuncia l’evoluzione novecentista e neoclassica pienamente visibile a partire dall’inizio degli anni ’20.
Di Drei è stato detto che fu uno dei più validi campioni del Novecento, prima ancora che Novecento nascesse come movimento. E’ in effetti impressionante la consonanza tra le opere eseguite dopo la prima guerra mondiale ed i canoni di Novecento come, di lì a poco, definiti dalla Sarfatti. Se infatti Drei è un dichiarato nemico del dilettantismo, un fautore del ritorno al mestiere ed evidente è il suo sforzo di pervenire ad un linguaggio chiaro e leggibile in nome di “un’arte popolare, cioè comprensibile ed accessibile”, la Sarfatti descrive gli obiettivi del nuovo movimento in questi termini: “limpidità della forma e compostezza della composizione, nulla di allambiccato ed eccentrico, esclusione dell’arbitrario e dell’oscuro”.
Il ventennio che inizia col 1920, quando lo scultore si insedia a Villa Strohl-fern, e finisce all’inizio degli anni ’40 è rappresentato in mostra anche da una cospicua serie di disegni e da alcuni dipinti, tra i quali spicca una splendida tela del ’26, esposta alla Prima Quadriennale di Roma con il titolo L’ora di Pranzo. L’esordio in pittura di Drei, avvenuto in occasione della prima mostra del Novecento Italiano, fece scalpore, rivelandolo capace di prove di altissima qualità anche in un ambito diverso da quello per lui usuale della scultura. Per Drei questi sono d’altronde gli anni del successo, testimoniato dall’arrivo delle grandi committenze pubbliche: la statua dell’Insurrezione per il Monumento a Vittorio Emanuele II (1921) a Roma, la Quadriga per il Palazzo di Giustizia di Messina (1927) con Marcello Piacentini, l’Ercole dello Stadio dei Marmi a Roma con Del Debbio (1932), i bassorilievi dell’Arco dei Fileni nel deserto della Sirte in Libia (1937), ancora a Roma i bassorilievi del Ponte Duca d’Aosta (1939) e la grande stele Il Lavoro nei Campi, oggi all’Eur.
Dopo la guerra la sua scultura si indirizza verso un impressionismo classicheggiante che spesso ricorda le opere di Maillol, ma anche gli esiti di Messina e Torresini.Questa ultima stagione della sua arte è ben raccontata dalla Talia del ’55. Ancora un nudo femminile ed ancora il tentativo di declinare modernamente un millenario patrimonio iconografico: è la mitologia del ‘900 di Ercole Drei.
Le ragioni dell’incontro tra un’antiquaria romana che ha legato la propria immagine professionale soprattutto alla predilezione per il periodo neoclassico ed uno scultore giunto all’apice del successo tra gli anni ’20 e ’40 del secolo scorso sono efficacemente spiegate da una fotografia, pubblicata a pagina 13 del catalogo che accompagna l’esposizione. In posa davanti all’obiettivo vediamo un gruppo di giovani accuratamente abbigliati in abiti stile impero. Tra gli uomini, il terzo da destra è Ercole Drei, ben contento di rispondere in quel modo ironico e un po’ irriverente ai critici che avevano affibbiato a lui e ai suoi amici l’etichetta di neoclassici. E neoclassici o, meglio, orientati verso istanze di tipo classicista, lo erano davvero i pittori e gli scultori di Villa Strohl-fern (la foto è stata scattata all’inizio degli anni ’20 proprio nella pineta della villa), in un contesto, però, in cui il recupero e la rielaborazione dei valori della grande tradizione artistica italiana assumeva un significato di rottura rispetto agli ultimi stanchi esiti della stagione simbolista e di quella verista. Centro di avanguardia culturale sin dal tempo delle Secessioni (1913-16), la comunità di artisti ospitata dal mecenate alsaziano Alfred Strohl negli studi edificati nel suo splendido parco a ridosso di Villa Borghese divenne, nel secondo decennio del ‘900, il luogo di raccolta dei più interessanti esponenti dell’area romana di Novecento e, più in generale, di quel fenomeno artistico comunemente conosciuto come ritorno all’ordine. Ercole Drei era uno di loro.
Di se stesso scrive: “Sono nato a Faenza (nel 1886) nel paese della ceramica…Ho quindi imparato prima il mestiere, poi l’arte”. In realtà, la sua prima formazione è molto meno artigianale di quanto vorrebbe far credere. Giovanissimo, ha infatti la fortuna di legarsi ad uno degli artisti più interessanti della sua città: Domenico Baccarini, che lo ammette a frequentare il suo raffinato cenacolo culturale. Nel 1912, la vittoria del Pensionato Artistico Nazionale gli consente di trasferirsi a Roma. La mostra che Francesca Antonacci gli dedica è stata pensata come un percorso attraverso le tappe più significative alla sua carriera, a partire proprio dall’arrivo nella capitale. Inizialmente, ad attrarlo è la novità secessionista, rappresentata dagli artisti e dagli intellettuali che hanno scelto come punto di ritrovo la terza sala del Caffè Aragno. Un gruppo nel quale il bel ragazzo di provincia individua “il meglio artistico di Roma” e al cui interno si inserisce da subito con facilità.
A questo periodo appartengono una serie di piccole opere di grande eleganza formale: in primis La Danzatrice con il cerchio ed Estasi d’amore, entrambe realizzate nel 1913, ma concepite in modo diametralmente opposto. Se, infatti, la Danzatrice, esposta alla Prima Secessione, volge verso una ricerca di dinamismo e di stilizzazione di tipo decò, il sensuale impressionismo di Estasi sembra invece essere un’esercitazione ad uso privato sulla scia delle suggestioni ricevute dopo le prime mostre romane di Rodin e Paul Troubetzkoy. Del ’13 è anche Brezza, esposta alla Seconda Secessione, e del ’14 la splendida Dafne, rappresentata, tutta sbilanciata all’indietro, nel concitato momento in cui inizia a trasformarsi in albero. La volumetrica Eva del 1915, opera con la quale per la seconda volta vince il Pensionato Artistico Nazionale, rappresenta il punto di arrivo di questa prima fase della carriera di Drei e preannuncia l’evoluzione novecentista e neoclassica pienamente visibile a partire dall’inizio degli anni ’20.
Di Drei è stato detto che fu uno dei più validi campioni del Novecento, prima ancora che Novecento nascesse come movimento. E’ in effetti impressionante la consonanza tra le opere eseguite dopo la prima guerra mondiale ed i canoni di Novecento come, di lì a poco, definiti dalla Sarfatti. Se infatti Drei è un dichiarato nemico del dilettantismo, un fautore del ritorno al mestiere ed evidente è il suo sforzo di pervenire ad un linguaggio chiaro e leggibile in nome di “un’arte popolare, cioè comprensibile ed accessibile”, la Sarfatti descrive gli obiettivi del nuovo movimento in questi termini: “limpidità della forma e compostezza della composizione, nulla di allambiccato ed eccentrico, esclusione dell’arbitrario e dell’oscuro”.
Il ventennio che inizia col 1920, quando lo scultore si insedia a Villa Strohl-fern, e finisce all’inizio degli anni ’40 è rappresentato in mostra anche da una cospicua serie di disegni e da alcuni dipinti, tra i quali spicca una splendida tela del ’26, esposta alla Prima Quadriennale di Roma con il titolo L’ora di Pranzo. L’esordio in pittura di Drei, avvenuto in occasione della prima mostra del Novecento Italiano, fece scalpore, rivelandolo capace di prove di altissima qualità anche in un ambito diverso da quello per lui usuale della scultura. Per Drei questi sono d’altronde gli anni del successo, testimoniato dall’arrivo delle grandi committenze pubbliche: la statua dell’Insurrezione per il Monumento a Vittorio Emanuele II (1921) a Roma, la Quadriga per il Palazzo di Giustizia di Messina (1927) con Marcello Piacentini, l’Ercole dello Stadio dei Marmi a Roma con Del Debbio (1932), i bassorilievi dell’Arco dei Fileni nel deserto della Sirte in Libia (1937), ancora a Roma i bassorilievi del Ponte Duca d’Aosta (1939) e la grande stele Il Lavoro nei Campi, oggi all’Eur.
Dopo la guerra la sua scultura si indirizza verso un impressionismo classicheggiante che spesso ricorda le opere di Maillol, ma anche gli esiti di Messina e Torresini.Questa ultima stagione della sua arte è ben raccontata dalla Talia del ’55. Ancora un nudo femminile ed ancora il tentativo di declinare modernamente un millenario patrimonio iconografico: è la mitologia del ‘900 di Ercole Drei.
16
maggio 2005
Ercole Drei – Dalla Secessione al Classicismo del Novecento
Dal 16 maggio al 24 giugno 2005
arte moderna
Location
Orario di apertura
dal lunedì al venerdì 10-13 e 16-19. Chiuso sabato pomeriggio e nei giorni festivi
Vernissage
16 Maggio 2005, ore 18.30
Ufficio stampa
SCARLETT MATASSI
Autore
Curatore
Vorrei sapere come si chiama quest’opera di Ercole Drei, il materiale e l’ubicazione esatta, grazie .