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Quattro mostre a Satura
Bruno Liberti, Giovanni Battista Manfredi, Liliana Bastia, Romy Barrile
Comunicato stampa
Segnala l'evento
la < sala maggiore > ospita la mostra < Don Chisciotte e i nostri fantasmi > 1605-2005 quattrocento anni dalla pubblicazione, mostra personale di Bruno Liberti a cura di Luciano Caprile.
la < sala colonna > < I colori disegnano la forma > mostra personale di Giovanni Battista Manfredi a cura di Mario Napoli
la < sala il pozzo > ospita la mostra personale di Liliana Bastia a cura di Dario Ferin
la < sala portico > ospita la mostra personale di Romy Barrile a cura di Luciano Caprile
Con il Patrocinio di Provincia di Genova e Comune di Genova, s’inaugura nella sede dell’Associazione Culturale SATURA (Piazza Stella 5/1, Genova), Sabato 9 aprile 2005 alle ore 17.00, la mostra < Don Chisciotte e i nostri fantasmi > di Bruno Liberti. A cura di Luciano Caprile e Gabriele Morelli. Il primo approccio artistico con “Don Chisciotte” è stato da me vissuto attraverso la matita e il carboncino di Carlo Carrà. Essendomi occupato alcuni lustri or sono per la prima volta dei suoi disegni, ho “scoperto” una lunga serie di prove su carta dedicate al cavaliere della Mancia concentrate tra il 1943 e il 1944 con un episodio ripreso nel 1945, a cui si possono aggiungere due ritratti di Cervantes nel 1946 e nel 1947. mi aveva colpito allora la trasposizione del racconto in una scena che riusciva a contenere il tragico e il grottesco lungo un difficile e consapevole equilibrio senza mai cadere nella caricatura. Le stesse impressioni mi vengono ora suscitate dai dipinti e dai fogli di Bruno Liberti. Il segreto, se poi segreto è, risiede a parer mio nella scelta dell’angolo interpretativo: sia Carrà che Liberti si sono collocati dalla parte di Don Chisciotte, sono penetrati nelle sue visioni e nei suoi ragionamenti, come d’altronde ha fatto Cervantes durante lo svolgimento del suo capolavoro. E’ palpabile in Liberti la preoccupazione di rilevare senza svelare compiutamente. Egli, infatti, ha privilegiato una narrazione pittorica che lascia ampio spazio al sogno, alla visone, alla percezione e al delirio: i paesaggi e i personaggi sono macchie, ectoplasmi dagli indefiniti tratti. Liberti non descrive, interpreta climi, emozioni di luci improvvise e d’oscurità incombenti, avvolgenti. I toni caldi giocati sul giallo ambrato e sul verde scuro e i profili appena accennati dal percorso del pennello permettono ogni fuga e ogni evanescenza d’immagine: si va dalle fantasiose elucubrazioni del protagonista alle improvvise visioni di fanciulle conturbanti, agli strazi di tenzoni vere o presunte dell’incerto procedere delle ombre o nel dubbio proposito dei protagonisti. L’artista genovese si avvale come sempre di una sapiente tecnica che gli proviene dalla tradizione novecentista memore dei grandi maestri del passato. Nella circostanza egli si è spogliato di certi dettagli della figurazione per privilegiare l’atmosfera, evitando richiami iconografici di maniera: Don Chisciotte non è un personaggio ben distinto, risiede nel comune desiderio d’evasione, fa parte della sana “pazzia” di chi cerca di liberarsi dalle convenzioni esistenziali per cavalcare, almeno col pensiero, l’avventura, per offrire ad un’ideale Dulcinea i propri servigi. Bruno Liberti ha compreso la lezione e l'ha resa pittoricamente plausibile come avviene nelle sue composizioni più ispirate. (catalogo in galleria).
Con il Patrocinio di Provincia di Genova e Comune di Genova, s’inaugura nella sede dell’Associazione Culturale SATURA (Piazza Stella 5/1, Genova), Sabato 9 aprile 2005 alle ore 17.00, la mostra < I colori disegnano la forma > di Giovanni Battista Manfredi. A cura di Mario Napoli. A conferma dell’esito lusinghiero della personale antologica organizzata dal Comune di Genova nel 2004 (anno di Genova Capitale della Cultura), e della Mostra Internazionale tenutasi nel 2003 al Castello Estense di Ferrara, Manfredi espone a SATURA alcune delle sue opere più significative, con le quali approfondisce il suo stile figurativo, o, come egli stesso lo definisce, “Pseudo-Figurativo”, figlio del post-impressionismo e dell’esperienza fauve. Manfredi nasce precocemente alla pittura negli anni cinquanta e ne attraversa le correnti più rilevanti, prima di approdare allo stile immaginifico di oggi. Nei suoi dipinti il soggetto, o per meglio dire la forma delle cose, non è il fine ultimo ma descrive e trasmette sensazioni e ricordi, ora riferibili a persone o luoghi definiti, ora del tutto immaginati. Lo stile è quindi figurativo ma in modo nuovo, quasi fosse il risultato di una fusione, di una sorta di sincretismo artistico che affonda le radici nel post-impressionismo di Matisse e nella profetica espressione Fauve di Derain. Sono dipinti quelli di Manfredi che non ci trasmettono soltanto il sentimento dell’autore, ma ci restituiscono, riflettendoli, i ricordi e le sensazioni che appartengono a ciascuno di noi, come se nel quadro fosse espressa non soltanto la sensibilità dell’autore, ma anche la sensibilità e addirittura i ricordi ancestrali dello spettatore. Uno straordinario risultato che, come talvolta avviene, riesce a proporre realtà che si nascondono nell’inconscio, confondendole con il sogno. Chi non crede infatti di ricordare o di avere a lungo desiderato un luogo come quello del dipinto “pergolato sul mare” o di “colazione sulla terrazza”? Di non avere nella mente il mare e il cielo di “ritorno alla sera” o di “balcone sul mare di Levanto”? A questo risultato di immedesimazione e di transfert contribuisce certamente il particolare uso del colore, disposto puro sulla tela e sentito spesso come valore a se stante, svincolato dalla realtà.
Il soggetto preferito da Manfredi, quello che più si presta a materializzare i sogni, è certamente il mare ed il mare compare infatti in quasi tutti i suoi dipinti, un mare a volte tranquillo a volte inquietante, talora quasi stagnante nel suo colore turchese, altre volte torvo nei colori che vanno dal blu al giallo, al rosso, addirittura al nero. Un mare quasi sempre deserto, senza luci né ombre, vivido solo nei suoi colori e senza dettagli. Altre volte, la sensazione di solitudine, di tristezza o di nostalgia è accentuata, come un simbolo, da una barca, quasi sempre un desueto peschereccio, o da un personaggio di quelli che ognuno crede di potere individuare tra la gente che conosce e che vive e lavora sul mare.
Un discorso a parte meritano i ritratti e le figure in genere. Sono tutte straordinariamente vive e non soltanto nella forma, ma anche dentro, anche se la tecnica sembra asciutta e sbrigativa, fatta a volte di contrasti violenti tra i colori primari. Colori che “disegnano la forma”, e, con l’assoluta libertà con cui sono disposti sulla tela, ne scolpiscono i contorni.
Con il Patrocinio di Provincia di Genova e Comune di Genova, s’inaugura nella sede dell’Associazione Culturale SATURA (Piazza Stella 5/1, Genova), Sabato 9 aprile 2005 alle ore 17.00, la mostra personale di Liliana Bastia. A cura di Dario Ferin.
Dopo un anno riappaiono a Satura le vivaci, lussureggianti creazioni, ricche di cromie, di Liliana Bastia . E’ una kermesse di tecniche miste, raccolte in variegate carte, che dalle loro oscure, infime origini si trasfigurano in cangianti sontuosi papiri. Anche questa volta la seducente esposizione espressiva è dedicata ad un vortice di figure concentrate sul toro, quella fiera che ha sempre catturato l’inventiva degli artisti ed è ammaliante anche agli occhi del pubblico. Bastia è una cantastorie dionisiaca, che si rianima alla voluttà dei sortilegi. I suoi indomiti eroi, nel loro ardore cosmico, dovrebbero domare la furia delle passioni. Invece sono figure di folgori, boati, diluvi universali, come il recentissimo tsunami. Rappresentano la sete di vivere e nella loro mole, solida mobilità straripante di frenesie, corrono in piazza per uscire dal giogo e dalla gravezza delle membra. Lo slancio che anima ogni essere vivente è anche sinonimo della forza istintiva sulla quale la persona progredita tende ad erodere la sua egemonia. Bianco, ragguardevole come una grande montagna nevosa, il toro di biacca della Bastia evoca la suprema divinità dell’Olimpo, il dio dei molti amori, che seduce le giovinette con le sue metamorfosi. Raffigurato dallo scultore greco Fidia nella famosa statua in avorio dorato, Giove è il toro bianco che porta in groppa, correndo al di là del mare, la fanciulla Europa. Un altro simbolo della mostra è raffigurato da un grande, scenografico dipinto ad olio, giocato sull’efficace contrasto del bianco brillante e del più cupo nero. E’ dedicato a Pegaso, il mitico cavallo alato. La Bastia coglie il simbolo dell’ispirazione poetica, evidenziando le capacità di elevazione dell’uomo, il sentimento qualificante della creatività, che sublima l’oscura immaginazione. Il simbolo più evidente del dipinto è il gran dispiegamento delle ali al vento di Pegaso. Ed allora citiamo i versi romantici, ricchi di simboli, del grande scrittore tedesco Heinrich Heine:
“ sono collane di perle le sue briglie
che io lascio ondeggiare con gioia.”
Al vertice delle sue capacità espressive il grande poeta dedicò pagine profonde al sentimento contrastante, cioè non sempre felice, dell’amore, del quale tende ad una malinconica brama di interezza. E confessa amaramente la mancanza di soddisfazione psicologica e dello spirito. Una certa interiorità non completamente appagata, è lo stimolante leit-motiv dell’itinerario espressivo della Bastia la quale, oltre che valida percussionista nei meandri più labirintici dell’incisione, sa anche suonare, con disinvolta verve, la rapsodica batteria della pittura.
Con il Patrocinio di Provincia di Genova e Comune di Genova, s’inaugura nella sede dell’Associazione Culturale SATURA (Piazza Stella 5/1, Genova), Sabato 9 aprile 2005 alle ore 17.00, la mostra personale di Romy Barrile. A cura di Luciano Caprile.
L’analisi della natura apre prospettive incommensurabili alla creatività e alla personale capacità di stupefazione. L’artista che riesce a dimenticare l’immagine esteriore (per esempio la forma di un albero o la coreografia visivamente accattivante di un campo fiorito) può riuscire ad assaporare un universo nuovo, impensato, seducente, alimentato dalla curiosità e dal desiderio di una rinnovata percezione. La materia offre i suoi segreti alla perentorietà chirurgica o alla delicatezza indagatrice che si fa specchio di chi è alla ricerca dell’arcano. Superata la barriera della forma e della verosimiglianza, la conquista diventa un confronto di consapevolezze anche se la scoperta può ricevere il ritorno di un piccolo disagio contemplativo. Da qualche tempo Romy Barrile ha scelto questa strada pittorica agevolata da una perizia nell’uso del pastello che dichiara e svela vari livelli di profondità nel particolare espresso tramite armonie tonali e compositive, tramite equilibri gestuali che in qualche caso lasciano intravedere il pretesto originario del racconto tanto ravvicinato, tanto prossimo alla sostanza da sconfinare nell’informale. Ma riappare pur sempre il richiamo della natura, un sentore di corteccia e di terra, un alito di vento e uno scompiglio di fili d’erba, L’artista sembra avvalersi di una lente o di un microscopio piuttosto che del puro e libero gesto affrancato da ogni tentazione visiva, da ogni confronto e da ogni conforto col reale. L’attenzione di “Forme Silenti” si concentra sulle nodosità di un tronco che si trasforma in una teoria di presenze animate: l’idea della metamorfosi viene accentuata da ritmo dei movimenti circolari che accompagna sovente l’ideazione della Barrile. Queste sovrapposizioni di segni fanno parte di una gestualità accresciuta da un desiderio di velare, di ovattare la memoria di un possibile paesaggio. Ma se questa poteva rivelarsi come un’esigenza di qualche tempo fa, quando le composizioni concedevano una certa descrizione di elemento oggettivi, ora tale rarefazione rotatoria aiuta l’accelerazione di un desiderio di dissolvenza.
…. L’incommensurabilità del particolare spalanca misure d’angoscia allo sguardo che vuole arrischiare la profondità e suscita desideri tattili nell’ampia variabilità tonale delle combinazioni. Visioni e lampi di luce si liberano dai pastelli, dove occorre subito dimenticare il ruolo effimero dell’erba per considerarla un pretesto di movimento, un elemento di ombra o di chiarezza per tutto quello che si cerca e si desidera oltre l’evidenza delle cose. Questo discorso legato all’indagine della materia che si fa figura e la dimentica compare anche nella Romy Barrile che affronta la creta. Il risultato è obiettivamente diverso da quello appena descritto in pittura, ma il concetto sopra espresso rimane complessivamente valido, Le sfoglie d’argilla piegandosi e introflettendosi incontrano l’inganno o la volontà fantasmatica di figure umane o parvenze arboree. E’ la mano che sa farsi condurre dalla materia; l’intenzione dell’artista viene dopo e ancora dopo si aggiunge l’intenzione di chi guarda e di chi vuole vedere ciò che gli suggerisce la sensibilità e l’occasione. Questo sembra volerci dire Romy Barrile. E con tale viatico muove i passi che lei stessa asseconda in un continua sorpresa con il conforto di una sapienza narrativa supportata dalla tecnica.
la < sala colonna > < I colori disegnano la forma > mostra personale di Giovanni Battista Manfredi a cura di Mario Napoli
la < sala il pozzo > ospita la mostra personale di Liliana Bastia a cura di Dario Ferin
la < sala portico > ospita la mostra personale di Romy Barrile a cura di Luciano Caprile
Con il Patrocinio di Provincia di Genova e Comune di Genova, s’inaugura nella sede dell’Associazione Culturale SATURA (Piazza Stella 5/1, Genova), Sabato 9 aprile 2005 alle ore 17.00, la mostra < Don Chisciotte e i nostri fantasmi > di Bruno Liberti. A cura di Luciano Caprile e Gabriele Morelli. Il primo approccio artistico con “Don Chisciotte” è stato da me vissuto attraverso la matita e il carboncino di Carlo Carrà. Essendomi occupato alcuni lustri or sono per la prima volta dei suoi disegni, ho “scoperto” una lunga serie di prove su carta dedicate al cavaliere della Mancia concentrate tra il 1943 e il 1944 con un episodio ripreso nel 1945, a cui si possono aggiungere due ritratti di Cervantes nel 1946 e nel 1947. mi aveva colpito allora la trasposizione del racconto in una scena che riusciva a contenere il tragico e il grottesco lungo un difficile e consapevole equilibrio senza mai cadere nella caricatura. Le stesse impressioni mi vengono ora suscitate dai dipinti e dai fogli di Bruno Liberti. Il segreto, se poi segreto è, risiede a parer mio nella scelta dell’angolo interpretativo: sia Carrà che Liberti si sono collocati dalla parte di Don Chisciotte, sono penetrati nelle sue visioni e nei suoi ragionamenti, come d’altronde ha fatto Cervantes durante lo svolgimento del suo capolavoro. E’ palpabile in Liberti la preoccupazione di rilevare senza svelare compiutamente. Egli, infatti, ha privilegiato una narrazione pittorica che lascia ampio spazio al sogno, alla visone, alla percezione e al delirio: i paesaggi e i personaggi sono macchie, ectoplasmi dagli indefiniti tratti. Liberti non descrive, interpreta climi, emozioni di luci improvvise e d’oscurità incombenti, avvolgenti. I toni caldi giocati sul giallo ambrato e sul verde scuro e i profili appena accennati dal percorso del pennello permettono ogni fuga e ogni evanescenza d’immagine: si va dalle fantasiose elucubrazioni del protagonista alle improvvise visioni di fanciulle conturbanti, agli strazi di tenzoni vere o presunte dell’incerto procedere delle ombre o nel dubbio proposito dei protagonisti. L’artista genovese si avvale come sempre di una sapiente tecnica che gli proviene dalla tradizione novecentista memore dei grandi maestri del passato. Nella circostanza egli si è spogliato di certi dettagli della figurazione per privilegiare l’atmosfera, evitando richiami iconografici di maniera: Don Chisciotte non è un personaggio ben distinto, risiede nel comune desiderio d’evasione, fa parte della sana “pazzia” di chi cerca di liberarsi dalle convenzioni esistenziali per cavalcare, almeno col pensiero, l’avventura, per offrire ad un’ideale Dulcinea i propri servigi. Bruno Liberti ha compreso la lezione e l'ha resa pittoricamente plausibile come avviene nelle sue composizioni più ispirate. (catalogo in galleria).
Con il Patrocinio di Provincia di Genova e Comune di Genova, s’inaugura nella sede dell’Associazione Culturale SATURA (Piazza Stella 5/1, Genova), Sabato 9 aprile 2005 alle ore 17.00, la mostra < I colori disegnano la forma > di Giovanni Battista Manfredi. A cura di Mario Napoli. A conferma dell’esito lusinghiero della personale antologica organizzata dal Comune di Genova nel 2004 (anno di Genova Capitale della Cultura), e della Mostra Internazionale tenutasi nel 2003 al Castello Estense di Ferrara, Manfredi espone a SATURA alcune delle sue opere più significative, con le quali approfondisce il suo stile figurativo, o, come egli stesso lo definisce, “Pseudo-Figurativo”, figlio del post-impressionismo e dell’esperienza fauve. Manfredi nasce precocemente alla pittura negli anni cinquanta e ne attraversa le correnti più rilevanti, prima di approdare allo stile immaginifico di oggi. Nei suoi dipinti il soggetto, o per meglio dire la forma delle cose, non è il fine ultimo ma descrive e trasmette sensazioni e ricordi, ora riferibili a persone o luoghi definiti, ora del tutto immaginati. Lo stile è quindi figurativo ma in modo nuovo, quasi fosse il risultato di una fusione, di una sorta di sincretismo artistico che affonda le radici nel post-impressionismo di Matisse e nella profetica espressione Fauve di Derain. Sono dipinti quelli di Manfredi che non ci trasmettono soltanto il sentimento dell’autore, ma ci restituiscono, riflettendoli, i ricordi e le sensazioni che appartengono a ciascuno di noi, come se nel quadro fosse espressa non soltanto la sensibilità dell’autore, ma anche la sensibilità e addirittura i ricordi ancestrali dello spettatore. Uno straordinario risultato che, come talvolta avviene, riesce a proporre realtà che si nascondono nell’inconscio, confondendole con il sogno. Chi non crede infatti di ricordare o di avere a lungo desiderato un luogo come quello del dipinto “pergolato sul mare” o di “colazione sulla terrazza”? Di non avere nella mente il mare e il cielo di “ritorno alla sera” o di “balcone sul mare di Levanto”? A questo risultato di immedesimazione e di transfert contribuisce certamente il particolare uso del colore, disposto puro sulla tela e sentito spesso come valore a se stante, svincolato dalla realtà.
Il soggetto preferito da Manfredi, quello che più si presta a materializzare i sogni, è certamente il mare ed il mare compare infatti in quasi tutti i suoi dipinti, un mare a volte tranquillo a volte inquietante, talora quasi stagnante nel suo colore turchese, altre volte torvo nei colori che vanno dal blu al giallo, al rosso, addirittura al nero. Un mare quasi sempre deserto, senza luci né ombre, vivido solo nei suoi colori e senza dettagli. Altre volte, la sensazione di solitudine, di tristezza o di nostalgia è accentuata, come un simbolo, da una barca, quasi sempre un desueto peschereccio, o da un personaggio di quelli che ognuno crede di potere individuare tra la gente che conosce e che vive e lavora sul mare.
Un discorso a parte meritano i ritratti e le figure in genere. Sono tutte straordinariamente vive e non soltanto nella forma, ma anche dentro, anche se la tecnica sembra asciutta e sbrigativa, fatta a volte di contrasti violenti tra i colori primari. Colori che “disegnano la forma”, e, con l’assoluta libertà con cui sono disposti sulla tela, ne scolpiscono i contorni.
Con il Patrocinio di Provincia di Genova e Comune di Genova, s’inaugura nella sede dell’Associazione Culturale SATURA (Piazza Stella 5/1, Genova), Sabato 9 aprile 2005 alle ore 17.00, la mostra personale di Liliana Bastia. A cura di Dario Ferin.
Dopo un anno riappaiono a Satura le vivaci, lussureggianti creazioni, ricche di cromie, di Liliana Bastia . E’ una kermesse di tecniche miste, raccolte in variegate carte, che dalle loro oscure, infime origini si trasfigurano in cangianti sontuosi papiri. Anche questa volta la seducente esposizione espressiva è dedicata ad un vortice di figure concentrate sul toro, quella fiera che ha sempre catturato l’inventiva degli artisti ed è ammaliante anche agli occhi del pubblico. Bastia è una cantastorie dionisiaca, che si rianima alla voluttà dei sortilegi. I suoi indomiti eroi, nel loro ardore cosmico, dovrebbero domare la furia delle passioni. Invece sono figure di folgori, boati, diluvi universali, come il recentissimo tsunami. Rappresentano la sete di vivere e nella loro mole, solida mobilità straripante di frenesie, corrono in piazza per uscire dal giogo e dalla gravezza delle membra. Lo slancio che anima ogni essere vivente è anche sinonimo della forza istintiva sulla quale la persona progredita tende ad erodere la sua egemonia. Bianco, ragguardevole come una grande montagna nevosa, il toro di biacca della Bastia evoca la suprema divinità dell’Olimpo, il dio dei molti amori, che seduce le giovinette con le sue metamorfosi. Raffigurato dallo scultore greco Fidia nella famosa statua in avorio dorato, Giove è il toro bianco che porta in groppa, correndo al di là del mare, la fanciulla Europa. Un altro simbolo della mostra è raffigurato da un grande, scenografico dipinto ad olio, giocato sull’efficace contrasto del bianco brillante e del più cupo nero. E’ dedicato a Pegaso, il mitico cavallo alato. La Bastia coglie il simbolo dell’ispirazione poetica, evidenziando le capacità di elevazione dell’uomo, il sentimento qualificante della creatività, che sublima l’oscura immaginazione. Il simbolo più evidente del dipinto è il gran dispiegamento delle ali al vento di Pegaso. Ed allora citiamo i versi romantici, ricchi di simboli, del grande scrittore tedesco Heinrich Heine:
“ sono collane di perle le sue briglie
che io lascio ondeggiare con gioia.”
Al vertice delle sue capacità espressive il grande poeta dedicò pagine profonde al sentimento contrastante, cioè non sempre felice, dell’amore, del quale tende ad una malinconica brama di interezza. E confessa amaramente la mancanza di soddisfazione psicologica e dello spirito. Una certa interiorità non completamente appagata, è lo stimolante leit-motiv dell’itinerario espressivo della Bastia la quale, oltre che valida percussionista nei meandri più labirintici dell’incisione, sa anche suonare, con disinvolta verve, la rapsodica batteria della pittura.
Con il Patrocinio di Provincia di Genova e Comune di Genova, s’inaugura nella sede dell’Associazione Culturale SATURA (Piazza Stella 5/1, Genova), Sabato 9 aprile 2005 alle ore 17.00, la mostra personale di Romy Barrile. A cura di Luciano Caprile.
L’analisi della natura apre prospettive incommensurabili alla creatività e alla personale capacità di stupefazione. L’artista che riesce a dimenticare l’immagine esteriore (per esempio la forma di un albero o la coreografia visivamente accattivante di un campo fiorito) può riuscire ad assaporare un universo nuovo, impensato, seducente, alimentato dalla curiosità e dal desiderio di una rinnovata percezione. La materia offre i suoi segreti alla perentorietà chirurgica o alla delicatezza indagatrice che si fa specchio di chi è alla ricerca dell’arcano. Superata la barriera della forma e della verosimiglianza, la conquista diventa un confronto di consapevolezze anche se la scoperta può ricevere il ritorno di un piccolo disagio contemplativo. Da qualche tempo Romy Barrile ha scelto questa strada pittorica agevolata da una perizia nell’uso del pastello che dichiara e svela vari livelli di profondità nel particolare espresso tramite armonie tonali e compositive, tramite equilibri gestuali che in qualche caso lasciano intravedere il pretesto originario del racconto tanto ravvicinato, tanto prossimo alla sostanza da sconfinare nell’informale. Ma riappare pur sempre il richiamo della natura, un sentore di corteccia e di terra, un alito di vento e uno scompiglio di fili d’erba, L’artista sembra avvalersi di una lente o di un microscopio piuttosto che del puro e libero gesto affrancato da ogni tentazione visiva, da ogni confronto e da ogni conforto col reale. L’attenzione di “Forme Silenti” si concentra sulle nodosità di un tronco che si trasforma in una teoria di presenze animate: l’idea della metamorfosi viene accentuata da ritmo dei movimenti circolari che accompagna sovente l’ideazione della Barrile. Queste sovrapposizioni di segni fanno parte di una gestualità accresciuta da un desiderio di velare, di ovattare la memoria di un possibile paesaggio. Ma se questa poteva rivelarsi come un’esigenza di qualche tempo fa, quando le composizioni concedevano una certa descrizione di elemento oggettivi, ora tale rarefazione rotatoria aiuta l’accelerazione di un desiderio di dissolvenza.
…. L’incommensurabilità del particolare spalanca misure d’angoscia allo sguardo che vuole arrischiare la profondità e suscita desideri tattili nell’ampia variabilità tonale delle combinazioni. Visioni e lampi di luce si liberano dai pastelli, dove occorre subito dimenticare il ruolo effimero dell’erba per considerarla un pretesto di movimento, un elemento di ombra o di chiarezza per tutto quello che si cerca e si desidera oltre l’evidenza delle cose. Questo discorso legato all’indagine della materia che si fa figura e la dimentica compare anche nella Romy Barrile che affronta la creta. Il risultato è obiettivamente diverso da quello appena descritto in pittura, ma il concetto sopra espresso rimane complessivamente valido, Le sfoglie d’argilla piegandosi e introflettendosi incontrano l’inganno o la volontà fantasmatica di figure umane o parvenze arboree. E’ la mano che sa farsi condurre dalla materia; l’intenzione dell’artista viene dopo e ancora dopo si aggiunge l’intenzione di chi guarda e di chi vuole vedere ciò che gli suggerisce la sensibilità e l’occasione. Questo sembra volerci dire Romy Barrile. E con tale viatico muove i passi che lei stessa asseconda in un continua sorpresa con il conforto di una sapienza narrativa supportata dalla tecnica.
09
aprile 2005
Quattro mostre a Satura
Dal 09 al 27 aprile 2005
arte contemporanea
Location
SATURA – PALAZZO STELLA
Genova, Piazza Stella, 5/1, (Genova)
Genova, Piazza Stella, 5/1, (Genova)
Orario di apertura
dal martedì al sabato 16.30-19. Chiuso lunedì e festivi
Vernissage
9 Aprile 2005, ore 17
Autore
Curatore