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La Parigi di Edouard Boubat
116 fotografie in bianco e nero che scandiscono un percorso vivace ed affascinante
Comunicato stampa
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Promossa dall’Assessorato alle Politiche Culturali e Spettacolo – Centro Nazionale di Fotografia, in collaborazione con Grazia Neri di Milano, la mostra del fotografo parigino Edouard Boubat, fotografo dell’agenzia Rapho e rappresentato in esclusiva per l'Italia dalla stessa Grazia Neri, è costituita da 116 fotografie in bianco e nero che scandiscono un percorso vivace ed affascinante. La rassegna, coordinata da Elena Ceratti ed Enrico Gusella, si focalizza sulla capitale francese, dove il fotografo è nato nel 1923, dove ha sempre vissuto, nonostante i suoi numerosi viaggi all’estero, e dove ha avuto modo di esprimere visivamente la sua particolare sensibilità legata ad una visione surrealista delle cose.
La ricerca fotografica di Boubat inizia subito dopo la guerra, e si sviluppa seguendo due percorsi paralleli: da un lato il reportage, attraverso le commissioni della rivista Réalités, di cui, negli anni Cinquanta, sarà l’inviato internazionale; e dall’altro lato su Parigi di cui coglie le suggestive atmosfere. Come ricorda Françoise Reynaud, curatrice delle Collezioni fotografiche al Musée Carnavalet, “gli album che Boubat ha pubblicato, La Survivance (1976), Pauses (1983), Les Boubat de Boubat (1989), mostrano i ‘lavori e i giorni’ dell’umanità”. Infatti, in un universo quasi atemporale, Boubat ha colto gli abitanti del pianeta con le loro gioie e i loro fardelli, i loro costumi e i loro paesaggi, e ne ha conservato i segreti secolari dentro poemi fotografici. Allo stesso modo Parigi risulta essere fonte d’ispirazione delle sue immagini fuori dal tempo. Le vedute della capitale francese sembrano ispirarsi agli stessi artisti che la rappresentarono quale modello di un costume e della sua quotidianità, secondo un particolare stile proprio di una famosa canzone dell’epoca quale “Paris sera toujours Paris”.
Camminatore instancabile e amante della luce che scende dal cielo e dalle nuvole parigine, Boubat ha raccolto, con la sua personale delicatezza, i riflessi argentei dell’acqua e gli scintillii degli alberi sugli argini, le silhouettes che vanno e vengono o che si fermano; uomini e animali quali pretesti per comporre una scena in grado di coniugare serenità ed emozioni. Lo testimoniano, del resto, le stesse immagini che rappresentano l’allegria dei bambini che giocano nei parchi, la solitudine delle persone, di uccelli e pietre quali esempi delle fotografie più sorprendenti. Tutto ciò che c’è di insolito dietro ogni angolo di strada è stato catturato dallo sguardo del fotografo francese, originale cantore di una bellezza inaspettata, imprevedibile e talvolta indefinibile. Sempre pronto a sfruttare la casualità degli incontri, il mistero di una luce, di una presenza o di un gesto, la grazia di un’espressione o di una forma, Boubat dimostra che il sogno anima gli istanti della realtà. Ammiratore di Atget e Alvarez-Bravo, Eugene Smith, Brassaï, Cartier-Bresson e Doisneau, possiede, come loro, il surrealismo nelle vene, e un classicismo inevitabile che pervade le fotografie più trascendenti: gli stuccatori estatici degli Champs Elysées (1960); i bambini gladiatori del Quai aux fleurs (1954); Jean Marais mascherato da Hermès (1953) che fissa l’obiettivo; la bambina con le banderuole sull’avenue de Saint-Ouen (1950), fino all’anziana donna semi-nascosta dai suoi materassi alla finestra di rue Mazarine (1950); lo sguardo corrucciato della bionda Lella (1947) dietro la sua enigmatica amica bruna; l’atteggiamento sognante della modella nuda della Grande Chaumière (1956) e della giovane donna sulla porta di un caffè del XIV° arrondissement (1952). Sono ogni volta delle occasioni per fermarsi e donare all’immagine un nuovo significato, talvolta completamente slegato dalla realtà. E come egli stesso ricorda: “… ritrovo l’eredità dei poeti, dei pittori, dei pensatori, dei costruttori di cattedrali, dei passanti che camminano. E oggi? Oggi, mi trascino ancora per le strade in compagnia di chiunque! E incontro ancora gli innamorati che si scambiano gli sguardi, i pittori che dipingono lo stesso quadro e la moltitudine di turisti dotati di macchine fotografiche. Parigi cambia ma non si logora mai ed è questo il suo mistero, il suo male. Se guardiamo gli oggetti fotografati ci accorgiamo che cambiano a seconda del vento, della pioggia, delle nuvole, della luce infinita e dell’aria del momento.”
Biografia
Edouard Boubat (Parigi, 1923 – 1999) passa la sua infanzia nel quartiere Montmartre a Parigi e tra il 1938 e il 1942 studia fotoincisione alla Scuola Estienne. Dopo la guerra entra a lavorare in una fabbrica, dedicandosi contemporaneamente alla fotografia. In questo periodo scrive: “la luce tetra dei laboratori di fotoincisione dove ho colato su di una lastra di vetro il collodio faceva già sognare: vedere la vera vita”. Realizza “La petite fille aux feuilles mortes”, immagine all’origine di un altro dei suoi temi prediletti: i bambini. Nel 1947 incontra Lella, che diventa la sua musa; è la prima donna a posare per lui e con la quale realizza alcune delle sue più celebri fotografie. Nel 1951 espone alla galleria La Hune in compagnia di Brassaï, Izis, Doisneau e Facchetti… Albert Gilou, direttore artistico di Réalités (mensile fondato nel 1946 dove pubblicarono i grandi fotografi dell’epoca), lo assume immediatamente. Diventa così collaboratore permanente di questa rivista da cui è inviato in più di trenta paesi: India, Italia, Spagna, Portogallo Brasile, Kenya, Cina, ecc. Nei suoi viaggi realizza immagini immediatamente riconoscibili per la loro eleganza. Rapidamente la sua eccezionalità e il suo talento vengono riconosciuti in Francia e all’estero. Espone in tutto il mondo: Moderna Museet di Stoccolma (1967); Art Institute of Chicago, Centre Georges Pompidou di Parigi (1976), Museo Carillo di Città del Messico (1978), Southavra in Australia (1980), Witkin di New York (1982), Museu de Arte Moderna di Rio de Janeiro (1984), Museum of Modern Art di Séoul (1987), San Francisco (1989), Musée Carnavalet di Parigi (1990). Ottiene numerosi premi tra cui il Premio Kodak (1947), il Grand Prix National de la Photographie (1984), il Premio della Fondazione Hasselblad (1988). Nel 1976 pubblica il suo primo grande album “La Survivance”. Questo lavoro, premiato col Grand Prix du Livre ad Arles nel 1977, sarà seguito da numerosi altri volumi, tra cui “Pauses”, “Lella”, “Les Boubat de Boubat”, “Amoureux de Paris”, “Comme avec une femme”, “Carnets d’Amérique”, “La vie est belle”. Jacques Prévert lo ha definito un “corrispondente di pace” e numerosi altri scrittori hanno scritto testi di accompagnamento per i suoi libri: Antoine Blondin per “Anges” e “Mes chers enfants”, Bernard Noel per “Jardins et Squares”, Michel Tournier per “Miroirs, portraits d’écrivains” e “Vues de dos”, Christian Bobin per “Donne-moi quelque chose qui ne meurt pas”.
Nel 1995 realizza il suo ultimo grande reportage ai Caraibi. Nel 1999 espone il suo lavoro “Lumière de la mer” al primo festival Terres d’Images di Biarritz. Si spegne nel giugno dello stesso anno.
La ricerca fotografica di Boubat inizia subito dopo la guerra, e si sviluppa seguendo due percorsi paralleli: da un lato il reportage, attraverso le commissioni della rivista Réalités, di cui, negli anni Cinquanta, sarà l’inviato internazionale; e dall’altro lato su Parigi di cui coglie le suggestive atmosfere. Come ricorda Françoise Reynaud, curatrice delle Collezioni fotografiche al Musée Carnavalet, “gli album che Boubat ha pubblicato, La Survivance (1976), Pauses (1983), Les Boubat de Boubat (1989), mostrano i ‘lavori e i giorni’ dell’umanità”. Infatti, in un universo quasi atemporale, Boubat ha colto gli abitanti del pianeta con le loro gioie e i loro fardelli, i loro costumi e i loro paesaggi, e ne ha conservato i segreti secolari dentro poemi fotografici. Allo stesso modo Parigi risulta essere fonte d’ispirazione delle sue immagini fuori dal tempo. Le vedute della capitale francese sembrano ispirarsi agli stessi artisti che la rappresentarono quale modello di un costume e della sua quotidianità, secondo un particolare stile proprio di una famosa canzone dell’epoca quale “Paris sera toujours Paris”.
Camminatore instancabile e amante della luce che scende dal cielo e dalle nuvole parigine, Boubat ha raccolto, con la sua personale delicatezza, i riflessi argentei dell’acqua e gli scintillii degli alberi sugli argini, le silhouettes che vanno e vengono o che si fermano; uomini e animali quali pretesti per comporre una scena in grado di coniugare serenità ed emozioni. Lo testimoniano, del resto, le stesse immagini che rappresentano l’allegria dei bambini che giocano nei parchi, la solitudine delle persone, di uccelli e pietre quali esempi delle fotografie più sorprendenti. Tutto ciò che c’è di insolito dietro ogni angolo di strada è stato catturato dallo sguardo del fotografo francese, originale cantore di una bellezza inaspettata, imprevedibile e talvolta indefinibile. Sempre pronto a sfruttare la casualità degli incontri, il mistero di una luce, di una presenza o di un gesto, la grazia di un’espressione o di una forma, Boubat dimostra che il sogno anima gli istanti della realtà. Ammiratore di Atget e Alvarez-Bravo, Eugene Smith, Brassaï, Cartier-Bresson e Doisneau, possiede, come loro, il surrealismo nelle vene, e un classicismo inevitabile che pervade le fotografie più trascendenti: gli stuccatori estatici degli Champs Elysées (1960); i bambini gladiatori del Quai aux fleurs (1954); Jean Marais mascherato da Hermès (1953) che fissa l’obiettivo; la bambina con le banderuole sull’avenue de Saint-Ouen (1950), fino all’anziana donna semi-nascosta dai suoi materassi alla finestra di rue Mazarine (1950); lo sguardo corrucciato della bionda Lella (1947) dietro la sua enigmatica amica bruna; l’atteggiamento sognante della modella nuda della Grande Chaumière (1956) e della giovane donna sulla porta di un caffè del XIV° arrondissement (1952). Sono ogni volta delle occasioni per fermarsi e donare all’immagine un nuovo significato, talvolta completamente slegato dalla realtà. E come egli stesso ricorda: “… ritrovo l’eredità dei poeti, dei pittori, dei pensatori, dei costruttori di cattedrali, dei passanti che camminano. E oggi? Oggi, mi trascino ancora per le strade in compagnia di chiunque! E incontro ancora gli innamorati che si scambiano gli sguardi, i pittori che dipingono lo stesso quadro e la moltitudine di turisti dotati di macchine fotografiche. Parigi cambia ma non si logora mai ed è questo il suo mistero, il suo male. Se guardiamo gli oggetti fotografati ci accorgiamo che cambiano a seconda del vento, della pioggia, delle nuvole, della luce infinita e dell’aria del momento.”
Biografia
Edouard Boubat (Parigi, 1923 – 1999) passa la sua infanzia nel quartiere Montmartre a Parigi e tra il 1938 e il 1942 studia fotoincisione alla Scuola Estienne. Dopo la guerra entra a lavorare in una fabbrica, dedicandosi contemporaneamente alla fotografia. In questo periodo scrive: “la luce tetra dei laboratori di fotoincisione dove ho colato su di una lastra di vetro il collodio faceva già sognare: vedere la vera vita”. Realizza “La petite fille aux feuilles mortes”, immagine all’origine di un altro dei suoi temi prediletti: i bambini. Nel 1947 incontra Lella, che diventa la sua musa; è la prima donna a posare per lui e con la quale realizza alcune delle sue più celebri fotografie. Nel 1951 espone alla galleria La Hune in compagnia di Brassaï, Izis, Doisneau e Facchetti… Albert Gilou, direttore artistico di Réalités (mensile fondato nel 1946 dove pubblicarono i grandi fotografi dell’epoca), lo assume immediatamente. Diventa così collaboratore permanente di questa rivista da cui è inviato in più di trenta paesi: India, Italia, Spagna, Portogallo Brasile, Kenya, Cina, ecc. Nei suoi viaggi realizza immagini immediatamente riconoscibili per la loro eleganza. Rapidamente la sua eccezionalità e il suo talento vengono riconosciuti in Francia e all’estero. Espone in tutto il mondo: Moderna Museet di Stoccolma (1967); Art Institute of Chicago, Centre Georges Pompidou di Parigi (1976), Museo Carillo di Città del Messico (1978), Southavra in Australia (1980), Witkin di New York (1982), Museu de Arte Moderna di Rio de Janeiro (1984), Museum of Modern Art di Séoul (1987), San Francisco (1989), Musée Carnavalet di Parigi (1990). Ottiene numerosi premi tra cui il Premio Kodak (1947), il Grand Prix National de la Photographie (1984), il Premio della Fondazione Hasselblad (1988). Nel 1976 pubblica il suo primo grande album “La Survivance”. Questo lavoro, premiato col Grand Prix du Livre ad Arles nel 1977, sarà seguito da numerosi altri volumi, tra cui “Pauses”, “Lella”, “Les Boubat de Boubat”, “Amoureux de Paris”, “Comme avec une femme”, “Carnets d’Amérique”, “La vie est belle”. Jacques Prévert lo ha definito un “corrispondente di pace” e numerosi altri scrittori hanno scritto testi di accompagnamento per i suoi libri: Antoine Blondin per “Anges” e “Mes chers enfants”, Bernard Noel per “Jardins et Squares”, Michel Tournier per “Miroirs, portraits d’écrivains” e “Vues de dos”, Christian Bobin per “Donne-moi quelque chose qui ne meurt pas”.
Nel 1995 realizza il suo ultimo grande reportage ai Caraibi. Nel 1999 espone il suo lavoro “Lumière de la mer” al primo festival Terres d’Images di Biarritz. Si spegne nel giugno dello stesso anno.
16
aprile 2005
La Parigi di Edouard Boubat
Dal 16 aprile al 26 giugno 2005
fotografia
Location
MUSEO CIVICO AL SANTO
Padova, Piazza Del Santo, 12, (Padova)
Padova, Piazza Del Santo, 12, (Padova)
Biglietti
€ 4,00 intero; € 2,00 ridotto
Orario di apertura
da martedì a domenica 10-13 e 15-18
Vernissage
16 Aprile 2005, ore 18
Autore