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Walter Angelici – Dipinti, monotipi, incisioni
Accanto ai monotipi, inoltre, una lunga serie di incisioni, dall’acquaforte alla puntasecca, dalla plastografia alla xilografia.
Comunicato stampa
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Gli Emigranti hanno una fissità che incede. Tutto è immobile eppure tutto si muove. Il figlio incastonato al ventre della madre, appendice bluastra e compimento. Il gallo, portato in braccio come un povero vessillo, che grida dalla cresta fiammeggiante tra i volti prosciugati di silenzio.
Il colore di Angelici ferisce. Nell’aureola solare in cui la Martire annega e dissolve una corporeità già quasi trasfigurata, nelle nervature melanconiche e spente di un Gelsomoro che ha l’eminenza fiera e stanca del sopravvissuto.
E poi, per moltiplicato furore, nel vaso di Fiori rossi che accende e lacera l’oscurità con evidenza si direbbe ferina, ma soprattutto, con violenza inattesa, nelle immagini dipinte e incise di maternità drammatiche e monolitiche, dove la dedizione materna diventa presagio triste, amorevole disperato ammonimento, consapevolezza assorta e ferma del dolore avvenire.
E ferisce, letteralmente, in uno squarcio fatale, nell’olio dedicato a Il mantello: un Buzzati riletto nel suo accento più cupo, di una dolenza terribile e definitiva, insinuante e satura.
Autore, Buzzati, del resto già altrove frequentato e restituito da Angelici nel racconto Al solito posto, dove l’intervento dell’artista non può dirsi illustrazione, ma controcanto sommesso e decisivo, quasi coro greco, della narrazione.
Un’interpretazione fedele eppure autonoma, per sé e in se stessa valida: lo dimostrano i monotipi esposti in mostra e tratti dal lavoro dedicato allo scrittore nel 1999. Se ne vanno, forse per non tornare, figure da una casa carica di solitudine e da una via mossa come un vortice che allontana e però al tempo stesso riconduce a sé.
Mentre Un cane qualunque e unico nella sua tragicità ci osserva dal suo angolo preferito, e nello sguardo tradisce un’attesa livida e disidratata: esemplare di un’immobilità composta e rassegnata, in un repertorio animale altrimenti vitale e infiammato (il Tacchino e il Pesce dipinti, o ancora il Gatto a caccia del monotipo), compreso nelle briglie di un esistere basico e senza rimedio, necessario eppure incomprensibile.
Accanto ai monotipi, inoltre, una lunga serie di incisioni, dall’acquaforte alla puntasecca, dalla plastografia alla xilografia: paesaggi dal romanticismo interrotto e sublime, nature vivissime, e se morte talmente cariche di simbologie da acquisire una vitalità più vera del reale. Figure femminili, infine, colme di una sensualità immediata, scomposta oppure aggiustata in un esercizio di posa, ritratte durante diverse ore del giorno, annotate nei titoli come un promemoria personale in cui Angelici ci permette di sbirciare.
La mostra allestita alla Mole Vantivitelliana di Ancona è l’ultimo atto di un progetto artistico che Angelici ha chiamato Dimore. Un percorso in una città visibile solo attraverso la sosta silenziosa e meditata in tappe immaginarie: Ville, Case e Vicoli dove albergano suggestioni letterarie, nuove e antichissime, care all’artista.
Frammenti poetici, eredità inestimabili di versi e senso che prendono forma in spazi interiori, per contagiare poi le superfici, formelle o incisioni, addomesticate da Angelici con la forza consapevole e profonda di chi s’interroga, si stupisce, s’addolora e, creando, ri-crea un mondo di nuova e insospettata, lancinante verità.
Cristina Babino
Il colore di Angelici ferisce. Nell’aureola solare in cui la Martire annega e dissolve una corporeità già quasi trasfigurata, nelle nervature melanconiche e spente di un Gelsomoro che ha l’eminenza fiera e stanca del sopravvissuto.
E poi, per moltiplicato furore, nel vaso di Fiori rossi che accende e lacera l’oscurità con evidenza si direbbe ferina, ma soprattutto, con violenza inattesa, nelle immagini dipinte e incise di maternità drammatiche e monolitiche, dove la dedizione materna diventa presagio triste, amorevole disperato ammonimento, consapevolezza assorta e ferma del dolore avvenire.
E ferisce, letteralmente, in uno squarcio fatale, nell’olio dedicato a Il mantello: un Buzzati riletto nel suo accento più cupo, di una dolenza terribile e definitiva, insinuante e satura.
Autore, Buzzati, del resto già altrove frequentato e restituito da Angelici nel racconto Al solito posto, dove l’intervento dell’artista non può dirsi illustrazione, ma controcanto sommesso e decisivo, quasi coro greco, della narrazione.
Un’interpretazione fedele eppure autonoma, per sé e in se stessa valida: lo dimostrano i monotipi esposti in mostra e tratti dal lavoro dedicato allo scrittore nel 1999. Se ne vanno, forse per non tornare, figure da una casa carica di solitudine e da una via mossa come un vortice che allontana e però al tempo stesso riconduce a sé.
Mentre Un cane qualunque e unico nella sua tragicità ci osserva dal suo angolo preferito, e nello sguardo tradisce un’attesa livida e disidratata: esemplare di un’immobilità composta e rassegnata, in un repertorio animale altrimenti vitale e infiammato (il Tacchino e il Pesce dipinti, o ancora il Gatto a caccia del monotipo), compreso nelle briglie di un esistere basico e senza rimedio, necessario eppure incomprensibile.
Accanto ai monotipi, inoltre, una lunga serie di incisioni, dall’acquaforte alla puntasecca, dalla plastografia alla xilografia: paesaggi dal romanticismo interrotto e sublime, nature vivissime, e se morte talmente cariche di simbologie da acquisire una vitalità più vera del reale. Figure femminili, infine, colme di una sensualità immediata, scomposta oppure aggiustata in un esercizio di posa, ritratte durante diverse ore del giorno, annotate nei titoli come un promemoria personale in cui Angelici ci permette di sbirciare.
La mostra allestita alla Mole Vantivitelliana di Ancona è l’ultimo atto di un progetto artistico che Angelici ha chiamato Dimore. Un percorso in una città visibile solo attraverso la sosta silenziosa e meditata in tappe immaginarie: Ville, Case e Vicoli dove albergano suggestioni letterarie, nuove e antichissime, care all’artista.
Frammenti poetici, eredità inestimabili di versi e senso che prendono forma in spazi interiori, per contagiare poi le superfici, formelle o incisioni, addomesticate da Angelici con la forza consapevole e profonda di chi s’interroga, si stupisce, s’addolora e, creando, ri-crea un mondo di nuova e insospettata, lancinante verità.
Cristina Babino
11
dicembre 2004
Walter Angelici – Dipinti, monotipi, incisioni
Dall'undici dicembre 2004 al 09 gennaio 2005
arte contemporanea
Location
MOLE VANVITELLIANA
Ancona, Banchina Giovanni Da Chio, 28, (Ancona)
Ancona, Banchina Giovanni Da Chio, 28, (Ancona)