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Gianni Vallieri – Al di là dei toni
La nuova antologica presso la Galleria del Carbone di Ferrara permette di affrontare con una giusta prospettiva la pittura di Gianni Vallieri.
Comunicato stampa
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Vi sono esposte, infatti, opere che coprono pressoché tutto l’arco della sua produzione: dagli acrilici dei primi anni Sessanta sino ai più recenti oli su tela o medium density. I momenti diversi di realizzazione confermano come la pittura di tono resti sempre il centro della sua poetica. La sua ricerca nasce da una sorta di slittamento della referenza. Di quella referenza che, indagando significante e significato del codice iconico, spinge il linguaggio dell’artista a mettersi in ascolto o, meglio, in quella che Derida nelle Mémoires d’auvegle chiama, riferendola al disegno, aprospettiva dell’atto grafico. È l’aprirsi di un varco originario in cui la mano nella potenza tracciante del tratto spinge avanti, a contatto della superficie, quello che non è ancora visibile, che non appartiene all’ordine dell’oggettività di "ciò che si dà a vedere".
Proprio questa prospettiva anticipatrice ho colto in alcuni piccoli acquerelli che Vallieri mi ha mostrato nel suo studio. La punta del pennello traccia sezioni di linee sottili, deposita brevi, equorei sedimenti di una visione, di una sorta di riserva di visibilità che solo all’artista è dato sciogliere compiutamente. Al riguardante appaiono frammenti di ciò che non è ancora visibile e che, soltanto nel confronto con l’opera finita, può acquistare un senso. Sono studi del tutto privati, certamente, nondimeno riescono a far cogliere meglio di molte parole come per il pittore tutta l’esperienza artistica totalmente si giochi non al di qua o al di là dell’opera ma nell’opera stessa, nel suo farsi. La rarefazione della materia di quegli acquerelli presuppone uno stile marcato da un’operatività misurata, da una mancanza d’eccessi, da una lunga decantazione d’ogni eccedenza.
Eppure a guardarli da vicino i quadri di Vallieri hanno una ricchezza materica, una forza tracciante del segno, una proprietà di espressione spaziale che affascinano subito chi li osserva. I pigmenti miscelati all’olio di lino creano una pasta densa, translucida, sontuosa, consistente eppure rarefatta che tiene spazi e figure, che fa sbocciare i fiori e rende visibile la diafana presenza della luce. Il colore soprattutto si attesta su quella intensità particolare che in pittura è detta tono. Vi è alle spalle tutta la consapevolezza di un sapere che affonda le sue radici nei maestri che scoprono/diffondono la pittura ad olio nella nostra tradizione pittorica.
Attraverso i toni il pittore dà forma al colore, costruisce la forma direttamente con il colore senza più bisogno del filtro del disegno. Mette anzi in pratica nelle stesure delle mescole quella sprezzatura del colore che permette di far vibrare le tinte, di imbrigliare la luce. È, ad esempio, la presenza di due alberelli verdi che si muovono su di un altro verde a garantire la variata intensità luminosa dei pigmenti, più delle linee prospettiche o del chiaroscuro, essi riescono a fondere e ad armonizzare le forme con l’atmosfera che tutte le avvolge. L’esperienza, per molti versi inspiegabile della visione, si realizza compiutamente tra lo spettatore e quello che "si dà a vedere" in ragione del diverso grado d’intensità del colore all’interno della propria scala cromatica.
Il pittore sceglie l’iterazione del valore tonale per connotare la sua opera. Fonda la sua poetica dunque sulla ridondanza piuttosto che sulla mancanza. E se la mancanza fonda nel senso della perdita il tormento che essa suscita, Vallieri non sembra aver mai perduto la vocazione del mondo. Una doppia referenza, alle cose ed ai toni, resta costante nella sua ricerca, diventa la strada certa su cui trovare il proprio cammino. Anche quando l’astrazione delle forme diventa più forte, una traccia del mondo reale è sempre rinvenibile. Amabilmente l’artista mi ricorda di una sua affabile polemica con Valsecchi ed altri critici dell’informale a proposito delle prime composizioni che restavano, come restano, pur sempre dei paesaggi.
La pittura del nostro artista in tal modo procede sistematicamente da un lato alla liberazione del "peso" dell’oggettività naturalistica dall’altro all’affermazione di una percezione più densa e più forte della realtà. Con una mirata circolarità che conduce dai toni ai toni egli riesce ad articolare un linguaggio capace di tener sempre presente questa duplice intenzionalità. In questo slittamento si crea la ricchezza di valore delle presenze dei toni alti o dei toni sordi, specie quando essi si dilatano in emozioni quasi tattili che investono lo spettatore o lo stesso autore, se a distanza d’anni rivede un suo quadro. Il tempo passato è ormai tanto lontano da tenere a distanza il momento della creazione e da fare sentire il quadro non più come cosa propria ma di un altro. È in questo momento, in cui Vallieri diventa critico di Vallieri, che non si danno concessioni di sorta. Eppure se l’opera supera il suo vaglio, è proprio per il piacere che essa propone di una sensazione sempre nuova di scoperta.
Lo spettatore di questa complessa vicenda coglie l’intensità e la fluidezza di un modo di dipingere che ritorna costantemente al punto di partenza: la luce e il colore. Il paesaggio soprattutto partecipa di questa particolare felicità espressiva della tecnica tonale. La diversa gamma dei verdi sollecita rimandi spaziali ben precisi. Richiamano il verde-blu del Nord, delle selve di montagna, della Normandia, del clima atlantico oppure quello verde-giallo del Sud, del nostro meridione, del Mediterraneo. Il contrasto tra chiari e scuri diventa allora conoscenza delle forme vegetali, studio della collocazione spaziale dei luoghi rispetto al corso del sole. Acquista senso il fatto di dialogare con un tratto poco illuminato o meno esposto ai raggi del sole della Val di Rabbi. Le variazioni che questi aspetti fenomenici producono sono rinvenibili nel tono preciso dato alla vegetazione, nell’esatta mestica dei pigmenti, nell’inclinazione fluttuante della luce.
Un’empatia con il mondo "altro" della natura che ricolma di fascinazioni ma che richiede a sua volta un’attenta interpretazione. La competenza botanica dell’artista gli consente di leggere i fiori in maniera diretta. Una cultura per i fiori e per la loro bellezza stimola continuamente Vallieri a questo tema. Sono il più delle volte fiori non recisi, colti nel microclima del loro ambiente. Le larghe pennellate costituiscono un suo moderno modo di erborizzare. Il giorno in cui si deciderà ad organizzare una mostra interamente dedicata ai fiori, sarà una splendida fioritura. È un amore il suo per tutto ciò che è "natura" che provoca un sincero entusiasmo. Le lunghe frequentazioni di parchi e giardini, specie durante i suoi soggiorni parigini, le escursioni in montagna, le ricerche continue intorno ai toni sulle orme di quel maestro riconosciuto che è stato Cézanne, richiamano nelle sue opere un patrimonio mnestico, un sapere pittorico, una referenza naturale e culturale insieme, capaci di fondersi, di trovare un senso, di cogliere l’aura dei luoghi e degli elementi naturali o architettonici che quei luoghi abitano, di spingersi alla fine con i valori tonali oltre il dominio così amorevolmente e lungamente indagato dei toni.
Dicembre 2004 Gianni Cerioli
Proprio questa prospettiva anticipatrice ho colto in alcuni piccoli acquerelli che Vallieri mi ha mostrato nel suo studio. La punta del pennello traccia sezioni di linee sottili, deposita brevi, equorei sedimenti di una visione, di una sorta di riserva di visibilità che solo all’artista è dato sciogliere compiutamente. Al riguardante appaiono frammenti di ciò che non è ancora visibile e che, soltanto nel confronto con l’opera finita, può acquistare un senso. Sono studi del tutto privati, certamente, nondimeno riescono a far cogliere meglio di molte parole come per il pittore tutta l’esperienza artistica totalmente si giochi non al di qua o al di là dell’opera ma nell’opera stessa, nel suo farsi. La rarefazione della materia di quegli acquerelli presuppone uno stile marcato da un’operatività misurata, da una mancanza d’eccessi, da una lunga decantazione d’ogni eccedenza.
Eppure a guardarli da vicino i quadri di Vallieri hanno una ricchezza materica, una forza tracciante del segno, una proprietà di espressione spaziale che affascinano subito chi li osserva. I pigmenti miscelati all’olio di lino creano una pasta densa, translucida, sontuosa, consistente eppure rarefatta che tiene spazi e figure, che fa sbocciare i fiori e rende visibile la diafana presenza della luce. Il colore soprattutto si attesta su quella intensità particolare che in pittura è detta tono. Vi è alle spalle tutta la consapevolezza di un sapere che affonda le sue radici nei maestri che scoprono/diffondono la pittura ad olio nella nostra tradizione pittorica.
Attraverso i toni il pittore dà forma al colore, costruisce la forma direttamente con il colore senza più bisogno del filtro del disegno. Mette anzi in pratica nelle stesure delle mescole quella sprezzatura del colore che permette di far vibrare le tinte, di imbrigliare la luce. È, ad esempio, la presenza di due alberelli verdi che si muovono su di un altro verde a garantire la variata intensità luminosa dei pigmenti, più delle linee prospettiche o del chiaroscuro, essi riescono a fondere e ad armonizzare le forme con l’atmosfera che tutte le avvolge. L’esperienza, per molti versi inspiegabile della visione, si realizza compiutamente tra lo spettatore e quello che "si dà a vedere" in ragione del diverso grado d’intensità del colore all’interno della propria scala cromatica.
Il pittore sceglie l’iterazione del valore tonale per connotare la sua opera. Fonda la sua poetica dunque sulla ridondanza piuttosto che sulla mancanza. E se la mancanza fonda nel senso della perdita il tormento che essa suscita, Vallieri non sembra aver mai perduto la vocazione del mondo. Una doppia referenza, alle cose ed ai toni, resta costante nella sua ricerca, diventa la strada certa su cui trovare il proprio cammino. Anche quando l’astrazione delle forme diventa più forte, una traccia del mondo reale è sempre rinvenibile. Amabilmente l’artista mi ricorda di una sua affabile polemica con Valsecchi ed altri critici dell’informale a proposito delle prime composizioni che restavano, come restano, pur sempre dei paesaggi.
La pittura del nostro artista in tal modo procede sistematicamente da un lato alla liberazione del "peso" dell’oggettività naturalistica dall’altro all’affermazione di una percezione più densa e più forte della realtà. Con una mirata circolarità che conduce dai toni ai toni egli riesce ad articolare un linguaggio capace di tener sempre presente questa duplice intenzionalità. In questo slittamento si crea la ricchezza di valore delle presenze dei toni alti o dei toni sordi, specie quando essi si dilatano in emozioni quasi tattili che investono lo spettatore o lo stesso autore, se a distanza d’anni rivede un suo quadro. Il tempo passato è ormai tanto lontano da tenere a distanza il momento della creazione e da fare sentire il quadro non più come cosa propria ma di un altro. È in questo momento, in cui Vallieri diventa critico di Vallieri, che non si danno concessioni di sorta. Eppure se l’opera supera il suo vaglio, è proprio per il piacere che essa propone di una sensazione sempre nuova di scoperta.
Lo spettatore di questa complessa vicenda coglie l’intensità e la fluidezza di un modo di dipingere che ritorna costantemente al punto di partenza: la luce e il colore. Il paesaggio soprattutto partecipa di questa particolare felicità espressiva della tecnica tonale. La diversa gamma dei verdi sollecita rimandi spaziali ben precisi. Richiamano il verde-blu del Nord, delle selve di montagna, della Normandia, del clima atlantico oppure quello verde-giallo del Sud, del nostro meridione, del Mediterraneo. Il contrasto tra chiari e scuri diventa allora conoscenza delle forme vegetali, studio della collocazione spaziale dei luoghi rispetto al corso del sole. Acquista senso il fatto di dialogare con un tratto poco illuminato o meno esposto ai raggi del sole della Val di Rabbi. Le variazioni che questi aspetti fenomenici producono sono rinvenibili nel tono preciso dato alla vegetazione, nell’esatta mestica dei pigmenti, nell’inclinazione fluttuante della luce.
Un’empatia con il mondo "altro" della natura che ricolma di fascinazioni ma che richiede a sua volta un’attenta interpretazione. La competenza botanica dell’artista gli consente di leggere i fiori in maniera diretta. Una cultura per i fiori e per la loro bellezza stimola continuamente Vallieri a questo tema. Sono il più delle volte fiori non recisi, colti nel microclima del loro ambiente. Le larghe pennellate costituiscono un suo moderno modo di erborizzare. Il giorno in cui si deciderà ad organizzare una mostra interamente dedicata ai fiori, sarà una splendida fioritura. È un amore il suo per tutto ciò che è "natura" che provoca un sincero entusiasmo. Le lunghe frequentazioni di parchi e giardini, specie durante i suoi soggiorni parigini, le escursioni in montagna, le ricerche continue intorno ai toni sulle orme di quel maestro riconosciuto che è stato Cézanne, richiamano nelle sue opere un patrimonio mnestico, un sapere pittorico, una referenza naturale e culturale insieme, capaci di fondersi, di trovare un senso, di cogliere l’aura dei luoghi e degli elementi naturali o architettonici che quei luoghi abitano, di spingersi alla fine con i valori tonali oltre il dominio così amorevolmente e lungamente indagato dei toni.
Dicembre 2004 Gianni Cerioli
14
dicembre 2004
Gianni Vallieri – Al di là dei toni
Dal 14 al 23 dicembre 2004
Location
GALLERIA DEL CARBONE
Ferrara, Via Del Carbone, 18, (Ferrara)
Ferrara, Via Del Carbone, 18, (Ferrara)
Orario di apertura
dal lunedì al venerdì ore 17.00-20.00 - sabato e festivi 10.30-12.30 17.00-20.00
Vernissage
14 Dicembre 2004, ore 18