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Salvatore Astore – Spaziare con gli occhi
Si tratta di quattro grandi tele che costituiscono la prima tappa di un percorso espositivo destinato a concludersi nell’omonima galleria di Norimberga
Comunicato stampa
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In questa mostra personale dal titolo Spaziare con gli occhi, Salvatore Astore ritorna con insistenza a dipingere la figura umana - in particolare quella femminile - collocandola nel perimetro di grandi tele in relazione con oggetti domestici, con porzioni minime di spazio o isolandola nella nuda essenzialità delle forme corporee.
Sedute, accovacciate su scomode sedie in legno, sdraiate su divani o in piedi, le donne di Astore trattengono al loro interno il segreto di una forte sensualità ma non il peso della fisicità propria del corpo vivo o della carne esposta allo sguardo indiscreto dello spettatore. A partire dai primi lavori scultorei degli anni ’80 fino alle opere pittoriche più recenti, l’artista continua ossessivamente a indagare le possibilità espressive contenute nel concetto di forma tout court, dando vita ad un alfabeto di segni visivi ormai assolutamente riconoscibile. L’organicità degli elementi che definiscono la composizione è sempre il frutto di una relazione attenta fra la natura materiale dei singoli oggetti rappresentati e la materia stessa del mezzo pittorico, il colore e la sua densità. Come ha più volte rimarcato il critico Francesco Poli a proposito della ricerca linguistica ed espressiva di questo artista, la pittura di Astore – tanto nel caso delle figure quanto in quello degli ambienti domestici – è una pittura “dove ogni profondità di senso o di spazio ha subito un irreversibile processo di riduzione ai minimi termini.” A richiamare l’attenzione di chi guarda è senza dubbio la plasticità delle forme, sottolineata con sapienza da motivi lineari o circolari appena accennati, da tratti brevi e veloci che imprimono alla visione un andamento armonioso, semplice e rapido. Le prospettive frontali e gli scorci ambientali insoliti, aperti su stanze abitate da pochi elementi spesso legati al vissuto dell’artista, rompono l’equilibrio rassicurante dei quadri immettendo nella scena una sorta di inquietudine metafisica che sottrae le immagini ai loro generi di appartenenza. Di fronte alle opere in mostra, ci si dimentica di essere in presenza di ritratti di figura o di ambienti. Ciò che emerge prepotentemente è il valore pittorico del quadro, la richiesta di essere guardato, ingoiato, digerito ed espulso dallo sguardo di colui che vede. Tanti sono gli occhi invisibilmente disseminati sulla tela quanti sono gli elementi che la compongono. Hanno occhi il volto delle ragazze, la bocca, le braccia, il busto, le gambe, le sedie, i tavoli, i fondi pittorici, le bottiglie, etc. e tutti insieme formano l’occhio grande della pittura di Astore, inesorabilmente puntato verso lo spettatore.
“Attraverso lo sguardo – scrive Michel Foucault in Le parole e le cose - il ritratto ci mette di fronte all’enigma”, e proseguendo il discorso ontologico del filosofo francese, Jean-Luc Nancy sottolinea in Il ritratto e il suo sguardo come “la tela è sempre lo spazio in cui la reciprocità degli sguardi diventa possibile e tuttavia mai raggiunta perché sempre oscillante”. È proprio questa relazione intima fra artista e spettatore ad alimentare l’urgenza estetica (nel senso più alto) dei lavori di Salvatore Astore. Gli incarnati delle ragazze, lucidi e tesi come preziose maioliche, i fondi raffinatissimi e astratti che ammiccano nella verticalità delle righe al Minimalismo americano riscaldato qui dalla mediterraneità delle gamme cromatiche dei marroni, degli arancioni, dei gialli crema e dei rossi. L’intensità e la tridimensionalità raggiunta negli ultimi lavori pittorici grazie anche all’impiego di smalti brillanti su fondi neri opachi, danno luogo sulla tela ad un’economia della vita e della morte più vera, fondata sul principio del “desiderio”. Per essere più precisi questi quadri sono oggetti desideranti, elementi pieni di un respiro autonomo e rarefatto, nati da un processo di raffinamento della vita che ha finalmente cancellato il caduco, dissimulandolo dietro ai colori, alle linee, alla materia. Gli spazi inanimati carichi di solitudine o di attesa, le ragazze senza età languidamente protese verso chi osserva, le forme femminili passivamente esibite o appena occultate sotto morbidi e minimali abiti raccontano una storia attuale eppure senza tempo, si sottraggono alla logica del rapido consumo dell’immagine e della vita. A ben guardare, tutto il percorso artistico di Astore ruota intorno all’idea di reciprocità: al raccoglimento delle figure corrisponde il movimento del disegno, allo sguardo dei soggetti fa da contrappunto l’urgenza degli stessi di farsi riguardare; al vuoto degli spazi fa eco una forte spiritualità diffusa dentro e fuori gli oggetti. Spaziare con gli occhi diventa quindi atteggiamento prioritario per chi dipinge e per chi osserva il dipinto, un punto saldo che aiuta a non sprofondare la visione in un autismo auto- referenziale.
Sedute, accovacciate su scomode sedie in legno, sdraiate su divani o in piedi, le donne di Astore trattengono al loro interno il segreto di una forte sensualità ma non il peso della fisicità propria del corpo vivo o della carne esposta allo sguardo indiscreto dello spettatore. A partire dai primi lavori scultorei degli anni ’80 fino alle opere pittoriche più recenti, l’artista continua ossessivamente a indagare le possibilità espressive contenute nel concetto di forma tout court, dando vita ad un alfabeto di segni visivi ormai assolutamente riconoscibile. L’organicità degli elementi che definiscono la composizione è sempre il frutto di una relazione attenta fra la natura materiale dei singoli oggetti rappresentati e la materia stessa del mezzo pittorico, il colore e la sua densità. Come ha più volte rimarcato il critico Francesco Poli a proposito della ricerca linguistica ed espressiva di questo artista, la pittura di Astore – tanto nel caso delle figure quanto in quello degli ambienti domestici – è una pittura “dove ogni profondità di senso o di spazio ha subito un irreversibile processo di riduzione ai minimi termini.” A richiamare l’attenzione di chi guarda è senza dubbio la plasticità delle forme, sottolineata con sapienza da motivi lineari o circolari appena accennati, da tratti brevi e veloci che imprimono alla visione un andamento armonioso, semplice e rapido. Le prospettive frontali e gli scorci ambientali insoliti, aperti su stanze abitate da pochi elementi spesso legati al vissuto dell’artista, rompono l’equilibrio rassicurante dei quadri immettendo nella scena una sorta di inquietudine metafisica che sottrae le immagini ai loro generi di appartenenza. Di fronte alle opere in mostra, ci si dimentica di essere in presenza di ritratti di figura o di ambienti. Ciò che emerge prepotentemente è il valore pittorico del quadro, la richiesta di essere guardato, ingoiato, digerito ed espulso dallo sguardo di colui che vede. Tanti sono gli occhi invisibilmente disseminati sulla tela quanti sono gli elementi che la compongono. Hanno occhi il volto delle ragazze, la bocca, le braccia, il busto, le gambe, le sedie, i tavoli, i fondi pittorici, le bottiglie, etc. e tutti insieme formano l’occhio grande della pittura di Astore, inesorabilmente puntato verso lo spettatore.
“Attraverso lo sguardo – scrive Michel Foucault in Le parole e le cose - il ritratto ci mette di fronte all’enigma”, e proseguendo il discorso ontologico del filosofo francese, Jean-Luc Nancy sottolinea in Il ritratto e il suo sguardo come “la tela è sempre lo spazio in cui la reciprocità degli sguardi diventa possibile e tuttavia mai raggiunta perché sempre oscillante”. È proprio questa relazione intima fra artista e spettatore ad alimentare l’urgenza estetica (nel senso più alto) dei lavori di Salvatore Astore. Gli incarnati delle ragazze, lucidi e tesi come preziose maioliche, i fondi raffinatissimi e astratti che ammiccano nella verticalità delle righe al Minimalismo americano riscaldato qui dalla mediterraneità delle gamme cromatiche dei marroni, degli arancioni, dei gialli crema e dei rossi. L’intensità e la tridimensionalità raggiunta negli ultimi lavori pittorici grazie anche all’impiego di smalti brillanti su fondi neri opachi, danno luogo sulla tela ad un’economia della vita e della morte più vera, fondata sul principio del “desiderio”. Per essere più precisi questi quadri sono oggetti desideranti, elementi pieni di un respiro autonomo e rarefatto, nati da un processo di raffinamento della vita che ha finalmente cancellato il caduco, dissimulandolo dietro ai colori, alle linee, alla materia. Gli spazi inanimati carichi di solitudine o di attesa, le ragazze senza età languidamente protese verso chi osserva, le forme femminili passivamente esibite o appena occultate sotto morbidi e minimali abiti raccontano una storia attuale eppure senza tempo, si sottraggono alla logica del rapido consumo dell’immagine e della vita. A ben guardare, tutto il percorso artistico di Astore ruota intorno all’idea di reciprocità: al raccoglimento delle figure corrisponde il movimento del disegno, allo sguardo dei soggetti fa da contrappunto l’urgenza degli stessi di farsi riguardare; al vuoto degli spazi fa eco una forte spiritualità diffusa dentro e fuori gli oggetti. Spaziare con gli occhi diventa quindi atteggiamento prioritario per chi dipinge e per chi osserva il dipinto, un punto saldo che aiuta a non sprofondare la visione in un autismo auto- referenziale.
14
dicembre 2004
Salvatore Astore – Spaziare con gli occhi
Dal 14 dicembre 2004 al 14 gennaio 2005
arte contemporanea
Location
LINDIG IN PALUDETTO
Torino, Via Dell'accademia Albertina, 40, (Torino)
Torino, Via Dell'accademia Albertina, 40, (Torino)
Orario di apertura
ore 18.30
Vernissage
14 Dicembre 2004, ore 18.30
Autore